Perché leggere questo articolo? “Sono pronta a servire come leader”. L’annuncio di Kamala Harris suona quasi come uno sgambetto a un Biden in affanno e acciaccato. In molti in Italia discutono della possibile candidatura – nel 2028 o chissà. Ma la vicepresidente al momento è un flop: agli americani non piace proprio.
Quello del vicepresidente degli Stati uniti è un compito ingrato. Thomas Riley Marshall, vicepresidente di Woodrow Wilson dal 1913 al 1921, definì la sua carica propria di “una persona in perenne catalessi. Perfettamente consapevole che intorno a lui tutto si muove, ma anche che quello che si muove non lo riguarda”. Mai definizione parrebbe più per azzeccata per l’attuale vicepresidente Usa, Kamal Harris. La prima donna della storia americana è elogiata in Italia. Ma agli americani proprio non piace. Non è che la stiamo sopravvalutando?
Kamala Harris si sente pronta
La vicepresidente americana Kamala Harris si dice pronta a “servire” come leader. Mentre i timori sull’età avanzata di Joe Biden dilagano, Harris – in un’intervista al Wall Street Journal condotta due giorni prima del rapporto del procuratore speciale Robert Hur – se ne esce con una dichiarazione sibillina. “Sono pronta, non c’è dubbio”. Con l’intervista la vicepresidente cominciava a costruire la propria candidatura per il 2028. Ma il tempismo e il contesto lasciano aperti spiragli per pensare a un anticipo. Vuoi vedere che Kamala Harris voglia fare uno sgambetto a Biden e cercare di rimpiazzarlo prima di novembre 2024? Una serie di fattori fanno dire, senza beneficio del dubbio, che sarebbe una follia. Primo fra tutti, l’impopolarità di Harris.
Negli ultimi mesi la Casa Bianca ha cercato di rilanciare l’immagine di Kamala Harris che, nei sondaggi, registra performance peggiori di Biden. Sulla vicepresidente Usa l’attenzione è alta, considerato l’età del presidente e la possibilità che potrebbe essere lei a sostituirlo nel caso in cui succedesse qualcosa mentre è in carica. Nel 2020 Kamala Harris fu la terza donna candidata e la prima a essere eletta. È anche la prima vicepresidente appartenente a una minoranza etnica, dato che ha origini asiatiche e afroamericane.
Fino a qui una vicepresidenza nell’ombra
Per tutte queste prime volte e per un passato di successo come procuratrice e senatrice in California, la sua candidatura al fianco di Joe Biden aveva suscitato forti attese e qualche entusiasmo in campo Democratico. Un entusiasmo che continua a resiste alle nostre latitudini, ma che in America si è ben presto dissolto. Il mandato di Kamala Harris, fino a qui, è stato un autentico flop. E’ rimasta schiacciata in un ruolo complesso, complicato anche da molti cambi nel suo staff personale, e si è dimostrata inefficace nelle poche occasioni in cui avrebbe potuto ottenere attenzioni e visibilità.
A nemmeno un anno dall’entrata in carica, la vicepresidente era così in difficoltà da doversi presentare per un’intervista televisiva in cui ha dovuto smentire di essere stata sostanzialmente messa da parte dall’attuale amministrazione. “Sono molto, molto entusiasta del lavoro che abbiamo compiuto. Ma sono anche molto, molto consapevole del fatto che c’è ancora moltissimo da fare, e che lo faremo”, ha detto ad ABC News. Dick Cheney, probabilmente il più potente vicepresidente della storia recente americana, era soprannominato “l’uomo nell’ombra”. La vicepresidenza di Kamala Harris, invece, in questi tre anni e più è solo rimasta nell’ombra. Le ragioni di questo flop sono vari, alcune anche difficili da cogliere.
Un flop chiamato Kamala Harris
Una prima problematica è il profilo stesso di Kamala Harris. La vicepresidente sembra destinata a non incastrarsi perfettamente con Biden. E’ decisamente più a sinistra di lui su vari temi. E poi è la prima vicepresidente in vari decenni che entra in carica con meno esperienza politica a Washington del suo presidente. A peggiorare le cose c’è anche il fatto che Harris sia una donna e appartenga a una minoranza etnica: due categorie contro cui tv e giornali di destra tendono più facilmente a puntare il dito.
Dietro l’insuccesso di Kamala Harris ci sarebbero anche tensioni latenti tra il proprio staff e quello di Joe Biden. “Quando decidi di nominare vicepresidente una persona del genere, hai quasi una responsabilità nell’assicurarti che abbia l’appoggio necessario per avere successo e trovare il suo posto. E a me sembra che le persone che dirigono i lavori e stanno intorno a Biden non capiscono esattamente cosa significhi proteggere qualcuno come Kamala Harris”, ha detto a Vanity Fair Nina Smith, una consulente politica Democratica.
Lontano dalla dietrologie, l’insuccesso di Kamala Harris è anche molto politico. I principali dossier che le sono stati affidati sono stati due. Le leggi sul diritto di voto e la gestione dei migranti. Due clamorosi flop. La dichiarazione di Harris sui migranti hanno fatto il giro del mondo: “Voglio essere chiara con le persone di questa regione che stanno pensando di intraprendere quel pericoloso viaggio verso il confine tra Stati Uniti e Messico: non venite. Non venite“. Un’uscita che ha contribuito al disamoramento degli americani. Al punto che c’è chi ipotizza che sia stata una “patata bollente” volutamente rifilatale da Biden.
L’entusiasmo per Kamala Harris continua, ma solo in Italia
Insomma, la vicepresidente si è fatta avanti. Per la Casa Bianca, nel 2028 (o tra nove mesi), servirà ben altro. Il più recente sondaggio registra un tasso di impopolarità preoccupante per la vicepresidente. Nbc ha rilevato che al 42 per cento degli americani non piace Kamala Harris. Un indicatore peggiore di quello di Joe Biden, che sta andando di per sé già abbastanza male. Indicatori pesanti, che però non sembrano scalfire l’entusiasmo dei pasdaran democratici di casa nostra. Se da noi ogni scusa è buona per entusiasmarsi – fino a spingersi a sognare una candidatura di Michelle Obama alla Casa Bianca – la realtà americana e ben diversa. Basta citare un dato: al momento Trump sarebbe in vantaggio su Biden di tre punti percentuali. Ed è il dato migliore di cui dispongono i democratici.