Una vita, cento vite: la storia di Francesco Mazza è da romanzo. E infatti è proposto per il prossimo Premio Strega. Il suo “Veleno nella coda” – Ed. Laurana, 2021, 600 pp. – è un regolamento di conti con “un Re Mida al contrario”, suo padre. La vita di Massimo Mazza non è meno movimentata di quella del figlio autore: protagonista di una spettacolare scalata sociale che lo porta a diventare dentista e amico intimo di Silvio Berlusconi, proprio negli anni in cui suo figlio Francesco, per altre vie, inizia a lavorare a Mediaset. Proprio nei giorni in cui il libro sta per essere concluso, il rapporto tra i due cambia per sempre: “Alle 8:03 della mattina del 4 settembre 2019, mia madre mi telefonò per informarmi che mio padre era morto suicida”.
Resa dei conti, seduta psicanalitica o album di famiglia. Da cosa nasce l’opera?
La genesi è la disperazione. Se uno sta sui social si sente uno sfigato: tutti tagliano traguardi, avverano sogni e si realizzano. Io nella vita ho fatto tante cose, tutti fallimenti. Alcuni mi hanno dato soddisfazione, altri sono stati clamorosi. Ha volte ho l’impressione di essere l’unico ad aver fallito, e infatti avrei voluto intitolare il libro “Fallimenti”. La molla per “Il veleno nella coda” è stato il rapporto con mio padre, il libro ruota intorno al nostro racconto. Mentre scrivevo però papà ha deragliato completamente, fino al momento in cui si è suicidato, che è l’inizio del libro.
Quanto ha inciso la presenza di Berlusconi nel romanzo per la proposta allo Strega?
Se Berlusconi fosse diventato Presidente della Repubblica, per il libro sarebbe certamente stato un trionfo, per il paese magari un po’ meno. Provo a parlare del cono d’ombra: Berlusconi come non è mai stato raccontato. Ho avuto accesso, anche tramite i racconti di mio padre, a un “Berlusconi sorrentiniano”. Sono cresciuto in un paese spaccato tra la retorica dell’unto del signore e quella del male assoluto. Io provo ad analizzare gli effetti di Berlusconi su di noi durante “l’era della gnocca”. L’arco storico del romanzo analizza un paese con l’orchestrina del Titanic che suonava, mentre la barca affondava. Oggi siamo alla Costa concordia.
Chi è il Silvio Berlusconi che ha conosciuto?
Come diceva Gaber, è quella parte che c’è dentro ogni italiano: l’arci-italiano. Ha rappresentato tutte le caratteristiche della “pancia del paese”: insofferente alle autorità, un talento individuale, l’intuizione geniale che permette di sopperire all’organizzazione. Rappresentava tutti gli italiani, poi la società è andata avanti, mentre lui è invecchiato. Alla fine tutti moriamo: anche il suo mito.
C’è un aneddoto che ricorda in particolare?
Il gelato. Sono salito in macchina con lui ed è stata una spy stotry. Macchine bloccate nel traffico, gli agenti della scorta trafelati per chiedere il gusto desiderato. Una scena incredibile, un peccato di gola – l’unico della carne che Berlusconi poteva concedersi in luogo pubblico – consumato con un cerimoniale presidenziale.
In questi giorni di guerra in Ucraina, Berlusconi al centro della politica sarebbe servito?
Anche Putin è invecchiato ed è molto più pericoloso di Berlusconi. Chi ha il potere assoluto a un certo punto perde la brocca. L’unico che oggi potrebbe trattarci sarebbe Daitan III. Il vero problema della politica e della società è la mancanza della politica collettiva: siamo atomizzati, il tessuto sociale è diviso in milioni di micro-spinte centrifughe. Non è possibile operare la sintesi che nel bene e – soprattutto – nel male con Berlusconi era possibile a ogni livello.
Nella politica italiana di oggi vede qualche politico da romanzo?
Nessun, oggi ci sono solo personaggi da operetta.