Perché questo articolo potrebbe interessarti? Spesso i rapporti tra Erdogan e i vari governi italiani che si sono alternati in questi 20 anni sono stati altalenanti. Questo porterebbe a pensare che a Roma, nelle stanze della diplomazia, si tifi per un cambio di passo ad Ankara. Ma, in realtà, la situazione appare più complessa.
Il primo turno del voto in Turchia ha avuto una forte eco mediatica internazionale. Mai come quest’anno le elezioni nel Paese anatolico sono apparse così importanti per gli equilibri del medio oriente e della regione euro-mediterranea. Il ballottaggio di domenica 28, in cui Kemal Kilicdaroglu sfiderà il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan, attirerà quindi l’attenzione di molte cancellerie internazionali. Compresa ovviamente quella italiana.
E Roma appare come una delle spettatrici più interessate. I rapporti con Ankara sono essenziali per tanti motivi. A partire dalle questioni energetiche e commerciali, visto che la Turchia si sta progressivamente confermando quale nuovo hub del gas nel Mediterraneo. C’è poi il dossier libico: dal 2019 Erdogan è principale alleato di Tripoli e l’Italia non può fare a meno di dialogare con il governo turco. Infine la questione migratoria: dalla Turchia partono molti migranti e anche in questo caso parlare con Ankara è importante per ridimensionare il flusso. Ma da spettatrice, per chi tiferà l’Italia?
I rapporti altalenanti con la Turchia di Erdogan
Erdogan è in sella dal 2002. Prima come leader del partito vincitore delle legislative di quell’anno, ossia il “suo” Akp, poi dal 2003 come premier. Nel frattempo i suoi governi hanno introdotto modifiche costituzionali che hanno portato il presidenzialismo in Turchia e, dal 2014, Erdogan governa in qualità di capo dello Stato. A prescindere dallo scranno occupato nell’ultimo ventennio, il fondatore dell’Akp dalla sua posizione ha visto l’avvicendarsi di varie stagioni politiche italiane. Nell’era di Berlusconi, i rapporti apparivano molto intensi anche sul piano personale: tra i due era nata un’intensa amicizia, Ankara e Roma hanno vissuto un periodo di intenso avvicinamento.
Lo scenario è iniziato a mutare dal 2011 in poi. A livello internazionale, l’immagine di Erdogan in quel momento è cambiata: i suoi primi tentativi di riforma costituzionale e la guerra senza quartiere contro i gruppi curdi hanno iniziato a farlo apparire come un leader dai tratti autoritari. In Italia non sono state poche le voci che hanno suggerito una presa di distanza da Ankara. Ma è stato l’attivismo in campo internazionale di Erdogan a creare in più occasioni attrito con l’occidente e con Roma. Nel 2018 la marina turca ha costretto la nave Saipem 12000, inviata dall’Eni per le esplorazioni a largo di Cipro, a sospendere le proprie attività. Ankara ha rivendicato i propri diritti e quelli della Repubblica turca di Cipro (riconosciuta solo dalla propria diplomazia) nelle esplorazioni. Nel 2021, pochi giorni dopo il suo insediamento, il presidente del consiglio Mario Draghi ha definito Erdogan un dittatore. Per tutta risposta, il presidente turco ha dato del maleducato all’allora capo dell’esecutivo italiano.
Eppure i rapporti non si sono mai interrotti, né tanto meno hanno subito battute d’arresto. L’Italia è il quinto partner commerciale della Turchia, tra i due Paesi l’interscambio è sempre stato molto florido. Al netto delle varie tensioni politiche. Più di recente, anche a livello politico la situazione sembra essersi rasserenata. A novembre, in occasione del G20 di Bali, Erdogan e Giorgia Meloni hanno avuto il loro primo bilaterale e hanno promesso di rilanciare i legami.
Gli attriti sulla Libia e sui migranti
Roma comunque continua ad avere una certa diffidenza nei confronti del presidente turco. Le sue mosse non permettono di far dormire sonni tranquilli, almeno per ciò che attiene gli interessi nazionali italiani. Preoccupa e non poco l’attivismo di Erdogan in Libia. Con il memorandum sottoscritto da Ankara e Tripoli nel novembre 2019, la Turchia è diventata il principale partner politico della Libia. Questo non ha per la verità, a distanza di tre anni, scalzato il ruolo dell’Italia. Roma è infatti ancora il primo partner commerciale del Paese nordafricano. Ma ovviamente ha posto la Turchia come principale “competitor” nel dossier libico.
Anche sui migranti non sono certo mancati attriti. Nonostante gli impegni di Erdogan a chiudere la rotta turca, sottoscritti nel 2016 con l’Ue al prezzo di tre miliardi di Euro all’anno che Bruxelles ha promesso di girare ad Ankara, dalla Turchia si sta continuando a partire. Il barcone affondato a Cutro nel febbraio 2023, ad esempio, è partito da una spiaggia turca.
Il timore di un salto nel vuoto
Le considerazioni precedenti, spingerebbero a considerare il prossimo ballottaggio come un’occasione a cui guardare per “sperare” nella fine dell’era di Erdogan. E quindi nella fine delle tante ambiguità sorte tra Roma e Ankara. Ma è proprio qui che la realtà pone sulla via diplomatica un importante paradosso: sono quelle ambiguità che rendono l’Italia così legata a Erdogan. Da un lato l’attuale presidente turco è un competitor tra i più agguerriti sul fronte politico. Dall’altro, la sua Turchia è diventata un partner imprescindibile dell’Italia nei dossier seguiti in comune. Non si può operare sull’immigrazione senza coinvolgere Ankara. E lo stesso vale per la Libia.
Un discorso analogo può essere riferito al gas e alle risorse energetiche. Lo ha lasciato intendere, in una recente audizione alla commissione Esteri della Camera, l’amministratore delegato Eni Claudio Descalzi. Quest’ultimo ha parlato dell’importanza di lavorare per la realizzazione del gasdotto EastMed, capace di fornire all’Italia il gas israeliano ed egiziano e di collegare il nostro Paese con un’aerea dove sono in corso esplorazioni di nuovi giacimenti. “EastMed è una sfida – ha detto Scalzi – ma non si può fare senza la Turchia, occorre un accordo con la Turchia”.
E per fare accordi con Ankara, Roma deve forse sperare di non cambiare interlocutore. Nel bene e nel male, in questi 20 anni un rapporto con Erdogan è stato avviato e consolidato. Con un nuovo presidente, occorrerebbe ripartire da zero. Non solo, ma una vittoria di Kilicdaroglu potrebbe aprire le porte a un periodo di instabilità interna visto che il candidato dell’opposizione non ha ottenuto la maggioranza in parlamento. Per questo quindi, molto probabilmente, seppur sottobanco la diplomazia italiana “tiferà” per Erdogan. Il principio è molto semplice: meglio continuare con un interlocutore difficile ma conosciuto, piuttosto che assistere a possibili salti nel vuoto.