Perché leggere questo articolo? L’Italia ha una relazione speciale con l’Azerbaijan. E Roma in nome degli affari sembra dimenticare la crisi del Nagorno Karabakh. E il rischio di persecuzione dei cristiani
Viavai intenso tra Roma e Baku, capitale dell’Azerbaijan. I governi Draghi e Meloni hanno amplificato una sintonia già consolidata negli anni precedenti. E creato in nome dei legami energetici e economici un asse tanto strategico quanto problematico. Strategico, perché l’Azerbaijan è una potenza emergente e un alleato nella diversificazione dal gas russo. Problematico, perché l’ex repubblica sovietica resta un’autocrazia monopartitica dallo scarso rispetto per i diritti umani. E, per non farsi mancare nulla, nel 2020 ha anche lanciato una guerra d’aggressione per la riconquista del territorio del Nagorno-Karabakh, conteso con l’Armenia da fine Anni Ottanta.
Diplomazia a tutto campo
La politica internazionale è un contesto problematico e sporco. Spesso si muove attraverso scale di grigi, più che in bianco e nero. Però va detto: all’Azerbaijan, amico dell’Occidente, è concesso un margine di manovra speciale nel nostro sistema di alleanze. E l’Italia, primo partner economico di Baku, è tra i principali autori di questo sdoganamento.
Dalla visita di Sergio Mattarella a Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan e dominus della politica locale, del luglio 2018 i contatti bilaterali si sono amplificati. Per un Paese fino a pochi anni fa minoritario nello scacchiere internazionale sorprende il numero di bilaterali che l’Italia ha scambiato con l’Azerbaijan. Aumentando la pervasività dei rapporti con i governi di Mario Draghi e Giorgia Meloni. Autori di un vero sdoganamento della “Baku-mania” italiana.
Luigi Di Maio, nell’aprile 2022, inaugurò una serie di visite proseguite in forma sempre più intensa visitando Baku vicino all’invasione dell’Ucraina. Accompagnato dal Sottosegretario di Stato Manlio Di Stefano, Di Maio ha visitato l’Azerbaijan dedicando parole al miele al nuovo partner di “diplomazia energetica”. Pochi mesi prima, la Settimana della Cucina Italiana nel Mondo tenutasi a Baku a novembre 2021 aveva visto la presenza dello stesso Di Maio e di una parata di Ministri. Tra questi il Ministro dello Sviluppo Economico, Giancarlo Giorgetti, del Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Stefano Patuanelli, e del Sottosegretario all’Istruzione Barbara Floridia.
La corsa dei Ministri di Meloni in Azerbaijan
Col governo Meloni la vicinanza Roma-Baku è ulteriormente aumentata. A inizio febbraio il Ministro della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin ha proposto a Baku, visitando l’Azerbaijan, il raddoppio del gasdotto Tap. Dieci giorni dopo, tra il 12 e il 13 febbraio, è stata la volta del Ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che nella capitale del Paese caucasico ha incontrato Aliyev e preso in carico la conclusione di un accordo di Ansaldo Energia. Tra le principali imprese attive nel Paese in un elenco che comprende anche gruppi come Leonardo, Snam e i colossi della strategia finanziaria con mano pubblica: Sace, Simest e Cassa Depositi e Prestiti.
La visita più importante è però avvenuta il 12 gennaio, quando in Azerbaijan si è recato il titolare della Difesa Guido Crosetto. L’export di armi italiane in Azerbaijan, inaugurata dall’interessamento di Baku per gli aerei Aermacchi A-346 da attacco al suolo già forniti al Turkmenistan, è la nuova frontiera di una partnership a tutto campo. Pecunia non olet, e gli affari dell’industria italiana nel Paese sono sicuramente portatori di opportunità di crescita e creazione di posti di lavoro.
Ma di fronte a un contesto che vede l’Italia attenta promotrice della democrazia e dei diritti, stride la carenza di critiche per gli atteggiamenti azeri nella crisi del Nagorno-Karabakh. In cui negli anni scorsi a far rumore è stato in particolare il blocco azero del conteso corridoio di Lachin.
Rischio pulizia etnica?
L’Armenia accusa l’Azerbaijan di pulizia etnica e di una conversione forzata alle logiche politiche pro-Baku dei territori contesi riconquistati in Nagorno-Karabakh. Gli abitanti della zona, ha dichiarato a Il Sussidiario Pietro Kuciukian, attivista e saggista italiano di origine armena, si “sono dichiarati indipendenti, ma gli azeri dicono che è un territorio loro. Oltretutto è stato stabilito che il territorio fa parte dell’Azerbaijan, anche se è sempre stato indipendente, da sempre, in epoca ottomana come persiana, ma anche zarista e sovietica. Gli azeri vogliono togliere questa autonomia. La questione per gli armeni è anche culturale“.
Aiuto alla Chiesa che Soffre e altre associazioni hanno sostenuto i profughi cristiani in fuga dalla regione occupata da Baku, e Aci Stampa ha denunciato che 89 chiese medievali, 5840 croci di pietra e 22 mila lapidi in una delle terre cristiane di più antica ascendenza sono andate distrutte dal 2020 a oggi.
I tanti silenzi sull’Armenia
Aliyev è stato ospite d’onore del Forum di Cernobbio nello scorso autunno e l’Azerbaijan viene ritenuto partner strategico. C’è però il fatto chiave della necessità di trovare un equilibrio politico nella regione e di risolvere la coda politica del conflitto del 2020. Giorgia Meloni, donna, italiana e cristiana continuerà a dimenticare, nel pur strategico rapporto con Baku, la tutela dei cristiani armeni nei territori riconquistati da Baku e la stabilizzazione della regione? Mario Draghi, cresciuto dai gesuiti, su questo fronte non ha speso molte parole. L’ex democristiano Sergio Mattarella, solerte dal Quirinale a criticare legittimamente altri abusi, come quelli del regime iraniano o della Russia, finora è stato molto più timido sul tema dell’Azerbaijan e dell’Armenia.