Perché questo articolo potrebbe interessarti? La Cina ha avviato una diplomazia a tutto campo. Pechino dialoga con Mosca e con i leader europei, con i Paesi in via di sviluppo e con i rivali indiani. Ecco cosa muove il Dragone: accordi, affari e tanto pragmatismo.
In ordine cronologico, l’ultima mossa della Cina è coincisa con l’attesissima telefonata tra Xi Jinping e Volodymyr Zelensky. Il presidente cinese ha promesso al suo omologo ucraino di inviare un rappresentante speciale a Kiev per cercare di risolvere la crisi ucraina.
Xi si è quindi limitato a rimarcare l’importanza del dialogo per evitare un conflitto nucleare. Poca carne al fuoco, dunque, ma che è risultata sufficiente per far brillare l’immagine di Pechino in un panorama privo di veri pacificatori. Tanto più se messa accanto alle altre, recenti, iniziative diplomatiche del Dragone.
Dopo esser volato a Mosca da Vladimir Putin, Xi ha ospitato all’ombra della Città Proibita il capo dell’Eliseo, Emmanuel Macron, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il premier spagnolo Pedro Sanchez.
Il governo cinese ha inoltre messo sul tavolo una proposta in 12 punti per una soluzione alla “crisi ucraina” e coordinato il disgelo tra Iran e Arabia Saudita, mentre le sue delegazioni hanno continuato ad occuparsi del nodo Afghanistan, delle diatribe con il rivale indiano e della sicurezza in Asia centrale. Per non parlare degli accordi economici con i partner asiatici degli Usa e del rapporto con l’Europa. Insomma, la diplomazia cinese è attivissima su scala mondiale. Per quale motivo?
Il modus operandi della Cina
Due sono le risposte. La prima: la Cina ha capito che è il momento di sfidare gli Stati Uniti. La posta in palio è la leadership globale, con la possibilità di essere il deus ex machina di un possibile, nuovo ordine internazionale.
Se l’attuale è frutto dell’architettura diplomatica statunitense nel post Seconda Guerra Mondiale, la Repubblica Popolare Cinese spera di mettere il marchio sul prossimo. Per farlo, Xi ha bisogno di raccogliere consensi e, soprattutto, di trasmettere l’immagine del mediatore per eccellenza.
Ma c’è una motivazione parallela al testa a testa con gli Usa, utile a spiegare le mosse del Dragone: l’economia. Già, perché la Cina si muove diversamente rispetto alle potenze occidentali.
Pechino stringe accordi con chiunque, rivali compresi, mentre i governi europei e Washington ragionano basandosi sulla dicotomia “amico-nemico”. In altre parole, l’Occidente tratta con gli amici e ignora, o peggio isola, i nemici. I cinesi adottano invece un approccio pragmatico.
Gli esempi non mancano. Per quanto riguarda la crisi ucraina, la Cina ha rafforzato la partnership con la Russia, salvo poi continuare ad essere uno dei principali partner commerciali dell’Ucraina.
Giusto per capirsi, dal 2016 al 2020, Kiev è stato addirittura il terzo fornitore di armi di Pechino, dietro Russia e Francia. Nel 1998, inoltre, la Cina ha acquistato una portaerei di fabbricazione sovietica attraverso l’Ucraina; da lì sarebbe sorta la Liaoning, la prima portaerei.
Altro esempio di pragmatismo cinese orientato al business: tra la Repubblica Popolare Cinese e l’India ci sono vecchie tensioni lungo il confine himalayano. Al netto delle divergenze, Pechino sta tuttavia sondando la situazione indiana, per capire se esiste un margine di manovra per spingere le sue grandi aziende di Stato ad investire in casa del rivale.
Obiettivo Sud del mondo
In principio c’era la Nuova Via della Seta. Nel 2013, Xi aveva lanciato un maxi progetto, la Belt and Road Initiative appunto, nel tentativo di rafforzare la cooperazione tra la Cina, l’Asia, l’Europa e l’Africa.
In che modo? Principalmente attraverso la costruzione di grandi infrastrutture, seguite dal rafforzamento delle relazioni bilaterali reciproche e dalla firma di accordi economici.
La controffensiva diplomatica statunitense, unita alla pandemia di Covid-19, hanno congelato il piano cinese. Costringendo, di fatto, Pechino a ricalibrare il tutto.
Se la Nuova Via della Seta doveva inizialmente creare una ragnatela diplomatica includendo anche l’Europa, adesso la BRI sembrerebbe puntare sul cosiddetto sud del mondo, ovvero sui Paesi in via di sviluppo.
In primis perché i loro governi sono più attratti dalla posta in palio della BRI. E poi perché al Dragone, adesso, serve la quantità più che la qualità.
In ambito diplomatico, poter contare su Paesi deboli, demograficamente rilevanti e ricchi di risorse energetiche è per la Cina molto più utile che non affidarsi alle ricche democrazie europee, decisive, al contrario, soltanto in ambito economico.
Nel frattempo, Xi ha presentato altre due iniziative: la Global Security Initiative (GSI) e la Global Development Initiative (GDI). La prima mira a salvaguardare la pace e la sicurezza nel mondo, mentre la seconda intende ridare energia e accelerare l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
Proprio come nel caso della BRI, qualsiasi governo può scegliere di farne parte. Altre due calamite diplomatiche attivate da Xi per riportare la Cina al centro del mondo.