Perché leggere questo articolo? La Banca Mondiale è tradizionalmente pensata come una struttura globale a controllo Usa. Da lei passano i finanziamenti ai Paesi in via di sviluppo e strategie di soft power. Ma la Cina ne sfida l’egemonia. Segno della rinascita politica del Dragone
C’è chi la considera una concorrente degli attori economici globali a trazione occidentale, ovvero di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Banca asiatica di sviluppo.
Per questo l’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB) viene spesso definita una World Bank cinese, la risposta di Pechino all’istituto con sede a Washington. L’AIIB è una banca multilaterale proposta e fondata in Cina nell’ottobre del 2014, con l’obiettivo di fornire e sviluppare progetti di infrastrutture nella regione Asia-Pacifico.
L’AIIB ha cominciato ad operare nel gennaio 2016. Attualmente annovera tra le sue fila 102 Paesi. Il capitale complessivo della banca ammonta a 96,74 miliardi di dollari. Grazie a politiche finanziarie e di gestione del rischio prudenziali, i titoli emessi dall’istituto godono di un rating AAA da parte delle principali tre agenzie internazionali (S&P, Moody’s, Fitch).
Un capitale complesso, con l’Italia in mezzo
Per quanto riguarda la sua composizione, l’adesione alla AIIB è aperta a tutti i paesi membri della Banca Mondiale e dell’Asia Development Bank (ADB). La Cina risulta il principale azionista con il 30,78% di capitale sottoscritto ed il 26,6% dei poteri di voto. Seguono India (8,6%), Russia (6,8%), Germania (4,6%), Corea del Sud (3,9%) e Francia (3,5%), solo per citare qualche Paese.
L’Italia ha una quota del 2,7% e rientra tra i membri non regionali, e cioè tra le nazioni al di fuori di Asia e Oceania. Roma è entrata ufficialmente a far parte dell’AIIB il 13 luglio 2016 sottoscrivendo circa 2,57 miliardi di dollari di capitale, con circa il 2,48% dei diritti di voto, occupando l’undicesima posizione in graduatoria. Ha lo status di membro fondatore, avendone sottoscritto lo Statuto entro il mese di giugno 2015 e rispettato le obbligazioni finanziarie previste, tra cui il versamento del 20% del capitale sottoscritto.
Guerra tra banche
Un anno prima che prendesse forma l’AIIB, nel 2013, durante un incontro a Bali, il presidente cinese Xi Jinping ha raccontato la sua “visione” all’allora segretario di Stato Usa, John Kerry. Xi immaginava una nuova banca multilaterale e multimiliardaria per finanziare strade, ferrovie e reti elettriche in tutto il continente asiatico. Sotto la guida cinese, questa banca avrebbe contribuito a sviluppare i Paesi più poveri, contribuendo a trasformare la regione nel nuovo hub della ricchezza mondiale.
La leadership americana appariva entusiasta all’idea. Almeno in quel momento. In realtà, l’amministrazione Obama iniziò presto una battaglia silenziosa per ridurre al minimo l’influenza globale della banca nascitura. Fu un fallimento totale, visto che si iscrisse alla banca la maggior parte dei più stretti alleati Usa, ad esclusione del Giappone e di poche altre eccezioni.
La Cina, con la sua vasta ricchezza e le sue risorse, adesso rivaleggia con gli Stati Uniti al tavolo dell’economia globale. I Paesi che hanno sostenuto l’AIIB lo hanno fatto per convenienza finanziaria, oltre che per ingraziarsi Pechino. In tutto questo, gli Stati Uniti temono che la Cina utilizzi la banca per impostare l’agenda economica globale alle proprie condizioni. Rinunciando alle protezioni ambientali, ai diritti umani, alle misure anticorruzione e ad altri standard di governance a lungo promossi dalle sue controparti occidentali.
Nella Banca Mondiale Washington punta sull’India
L’AIIB è percepita dunque in diretta concorrenza con un tradizionale gioiello della corona Usa, la citata Banca Mondiale. La nomina del presidente della Banca Mondiale, che gestisce progetti di accelerazione dello sviluppo e lotta alla povertà, spetta di diritto al presidente degli Stati Uniti, la cui scelta deve essere poi ratificata dal board. Per la prima volta la banca basata a Washington, per scelta di Joe Biden, avrà un presidente non a stelle e strisce.
Biden ha candidato infatti l’indiano Ajay Banga alla guida della Banca Mondiale. Presidente di Exor, vicepresidente di General Atlantic ed ex amministratore delegato di Mastercard, andrà a sostituire il presidente dell’era Trump, David Malpass, E sarà chiamato a governare in nome dell’ordine liberale l’istituzione, magari spingendo su progetti in Paesi target degli investimenti cinesi.
Ogni riferìmento all’Indo-Pacifico e all’Africa appare voluto. Washington cede la presidenza a uno dei tanti nuovi “indiani d’America” in nome della sfida a Pechino proprio perché la crescita dell’AIIB inizia a preoccupare soprattutto sul fronte del soft power. E vuole potenziare, con prestiti e aiuti ai Paesi chiave per la rivalità, uno dei pilastri alla base del “consenso di Washington” che regge la globalizzazione. A cui la Cina non vuole rinunciare, desiderando però partecipare con le sue strutture.
La guerra delle banche racchiude in realtà una guerra molto più ampia: quella per un nuovo ordine globale.