Lo scambio di raid tra Iran e Pakistan avvenuto nei giorni scorsi ha aggiunto un nuovo fronte di guerra, l’ennesimo, in questo turbolento inizio di 2024 per il Medio Oriente. La realtà è che dalla brutale aggressione di Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso è come se si fosse aperto il Vaso di Pandora. Timori, strategie e ataviche paure rimaste sopite a lungo dopo la graduale compressione dei conflitti in Siria e Yemen e il loro sostanziale congelamento sono esplose negli oltre cento giorni di conflitto a Gaza.
I raid surriscaldano il confine iraniano-pakistano
Da ultimo è avvenuto lo scambio di bombardamenti al confine tra Iran e Pakistan, con i primi colpi lanciati dalle forze armate iraniane, che non hanno individuato obiettivi ufficiali pakistani come target dei lanci di missili da parte delle Guardie della Rivoluzione, mirando piuttosto a colpire, nelle dichiarazioni ufficiali, membri iraniani di una formazione radicale, Jaish al-Adl.
Essa sarebbe connessa, direttamente, all’affiliata locale dell’Isis, ritenuta responsabile dell’attentato di Kerman del 3 gennaio scorso. Quel giorno, infatti, un attentato ha ucciso cento persone nell’importante città iraniana. E all’Iran è apparso come non casuale tanto la data quanto la scelta del bersaglio. L’attentato è avvenuto presso la tomba del generale Qassem Soleimani, ucciso nel 2020 in un raid americano in Iraq e ritenuto l’eroe della guerra di Teheran contro l’Isis e i nemici del fronte sciita negli scorsi anni. Cosa più importante, il 3 gennaio segnava proprio il quarto anniversario della morte dello storico comandante dei Pasdaran
Israele senza una strategia e l’Iran sotto assedio
Le rappresaglie iraniane per l’attacco di Kerman non sembrano avere alcun collegamento diretto con la guerra di Gaza, ma sono arrivate in un momento in cui il conflitto sta già diffondendo instabilità nella regione. E nei pensieri dello Stato profondo iraniano c’è l’idea di un vero e proprio stato d’assedio. Il 4 gennaio l’alto consigliere del presidente iraniano Ebrahim Raisi, Mohammad Jamshidi, ha dichiarato di vedere la mano di Usa e Israele dietro gli attentati di Kerman. In precedenza, il giorno di Natale Sayyed Razi Mousavi, capo delle Guardie della Rivoluzione in Siria, era stato ucciso proprio da un raid israeliano a Damasco. Israele sta colpendo anche Hezbollah e i membri di Hamas in Libano.
Nel frattempo, con Benjamin Netanyahu che fatica a trovare una via d’uscita militare al conflitto a Gaza e i militari israeliani che iniziano a subire sempre di più le pressioni del radicalismo nazionalista del governo d’ultradestra di Tel Aviv, la guerra a Gaza continua, brutale, con scontri frontali e bombardamenti. I circa 25mila morti nei cento giorni di guerra, i bombardamenti sui civili e la crescente asprezza delle condizioni di vita dei palestinesi hanno portato Israele a subire diverse critiche. Legate, innanzitutto, alla difficoltà del governo di Netanyahu di fissare la linea della vittoria militare mentre, attorno alla Palestina e a Israele, nuovi fronti venivano aperti con i raid in Siria e Libano dall’Israel Defense Force e il conflitto assumeva portata di proiezione regionale.
I timori dell’Iran espandono la guerra
Le paure che l’Iran vive e quelle che Israele percepisce si autoalimentano nell’incendiare il fuoco che arde in Medio Oriente. Sostanzialmente, Tel Aviv vede agitarsi come quinte colonne iraniane tanto Hamas quanto i libanesi sciiti di Hezbollah, oltre ai lealisti siriani vicini al regime di Bashar al-Assad. L’Iran ritiene che Israele manovri i gruppi militanti islamisti sunniti contro le sue zone d’influenza.
Inoltre, Teheranvede la lunga mano dello Stato ebraico anche dietro l’affare Soleimani e l’uccisione del generale del 2020. In questa fase convulsa, intende vendicarsi della lunga guerra-ombra condotta dal Mossad nei suoi confronti con raid in Siria e sabotaggi interni. Oltre al raid in Pakistan, nei giorni scorsi Teheran ha anche colpito quelli che ritiene essere obiettivi dello Stato islamico nel nord della Siria e, soprattutto, lanciato missili contro postazioni jihadiste a Erbil, nel Kurdistan iracheno. Criptiche le dichiarazioni iraniane a riguardo: è stato dichiarato colpito “il quartier generale del Mossad”.
I curdi iracheni sono notoriamente vicini a Israele dai tempi in cui Tel Aviv foraggiava la loro resistenza contro il regime di Saddam Hussein. Erano gli anni caldi della guerra Iran-Iraq degli Anni Ottanta: la teocrazia iraniana di Ruhollah Khomeini combatteva contro l’aggressione di Saddam, sostenuto da buona parte del mondo. Il dittatore nazionalista e laico di Baghdad godeva del supporto di Stati Uniti e Unione Sovietica mentre, paradosso dei paradossi, un solo Paese sosteneva l’Iran: Israele. Memore del fatto che Saddam stava sviluppando un programma nucleare, cassato dai raid di Osirak lanciati dall’aeronautica israeliana nel 1981, Israele fornì informazioni segrete e d’intelligence a Teheran. Sostenendo al contempo i curdi nella loro guerriglia contro il dittatore. Ora i campi sono totalmente stravolti.
Commerci e tensioni, la guerra e il caos regionale
Il Medio Oriente che, parafrasando Winston Churchill, produce più storia di quanta ne possa digerire, è tornato strategico e centrale. A dimostrazione che non è solo il petrolio a renderlo decisivo per la geopolitica globale, ma anche la sua natura di crogiolo mondiale di culture, religioni e identità e il suo ruolo di pivot economico-commerciale tra tre continenti, il Mediterraneo e l’Oceano Indiano. Reso sempre più evidente dai problemi sulla libertà di navigazione resi palesi dall’attivismo degli Houthi iracheni, sciiti in passato armati dall’Iran in funzione anti-saudita nella guerra civile in Yemen.
Oggi Iran e Arabia Saudita, via mediazione cinese, si sono pacificati. Ma gli Houthi hanno voluto prendere le redini di un autoproclamato “asse della Resistenza” filopalestinese interdicendo il traffico navale nel Mar Rosso. Il risultato, come noto, sono stati i raid anglo-americani dell’11 gennaio contro le postazioni dei militanti che occupano la capitale Sana’a. Ad oggi non risolutivi nel riaprire le linee commerciali recise nelle scorse settimane.
La guerra regionale, che nessuno ha voluto e che per ora non è di tutti contro tutti, è realtà. I suoi impatti per l’equilibrio di una regione tesissima, su cui insistono le attenzioni delle grandi potenze, pure. In quest’ottica il caos mediorientale consolida la “Terza guerra mondiale a pezzi” di cui parla Papa Francesco. Il mondo inquieto crea crisi che si sovrappongono aggiungendo fuoco al grande disordine globale che, dall’Ucraina all’Africa della “cintura dei golpe”, ha visto destabilizzazioni crescenti nell’ultimo biennio dopo lo shock del Covid-19. E mese dopo mese la realtà riserva sempre nuova instabilità.