Perché leggere questo articolo? Algeria e Egitto si avvicinano ai Brics. La loro corsa verso il gruppo di Cina e Russia può silurare il Piano Mattei del governo Meloni. Vediamo perché.
Enrico Mattei rischia di rivoltarsi molto presto nella tomba qualora il piano che il governo Meloni ha intitolato a suo nome finisse presto nel cassetto: l’avvicinamento di Egitto e Algeria ai Brics rischia di essere la pietra tombale per questo progetto. Nato per amplificare la presenza dell’Italia e, attraverso essa, dell’Occidente in Africa e oltre il Mediterraneo, il Piano Mattei rischia di arenarsi nelle secche dell’avvicinamento dei suoi due Paesi-cardine alla Russia. Oggi indicata come il rivale strategico numero uno.
Il fascino discreto dei Brics
Ancora nulla è compiuto, ma tra il 14 e il 15 giugno abbiamo assistito a due importanti accelerazioni. Il primo dei due giorni l’ambasciatore russo al Cairo, Georgiy Borisenko, ha annunciato che l’Egitto ha chiesto ufficialmente l’adesione ai Brics. Gruppo che – lo ricordiamo – unisce Brasile, Cina, India, Russia e Sudafrica in un forum di confronto tra le economie emergenti. A cui si affianca una banca per lo sviluppo volta a promuovere le valute dei cinque Paesi e presieduta dall’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff.
Il giorno successivo il presidente algerino, Abdelmadjid Tebboune, in visita ufficiale in Russia alla corte di Vladimir Putin ha detto che il suo Paese vuole accelerare l’avvicinamento ai Brics. Il leader su cui Mario Draghi e Giorgia Meloni hanno puntato come alternativa a Putin quale primo fornitore di gas all’Italia ha speso parole al miele per un Paese che “l’Algeria ha sempre sostenuto” e attaccato l’Occidete. “Nel quadro di questa situazione difficile” su scala mondiale, caratterizzata anche dall’invasione russa dell’Ucraina, Tebboune ha dichiarato che nulla “intaccherà l’amicizia tra Algeria e Russia. LAlgeria sta cercando di accelerare sull’adesione ai Brics e di uscire così dall’egemonia dell’euro e del dollaro“.
Il pragmatismo di Egitto e Algeria
La doppietta di dichiarazioni può avere effetti dirompenti per almeno tre motivazioni. Il primo punto è che il Nord Africa ha cessato di vedere come interlocutore privilegiato l’Europa e gli Stati Uniti e guarda ai suoi interessi in modo pragmatico.
Per l’Egitto ricevere un miliardo di dollari l’anno di aiuti militari americani non esclude la partnership con la Russia sulla Difesa e la Cina sulle infrastrutture. L’Algeria vuole diventare primo fornitore di gas all’Europa ma senza sottostare all’egemonia delle sue monete.
Tutti in fila per i Brics
Il secondo punto è che il mito dell’isolamento della Russia, su cui la proiezione del Piano Mattei nella narrazione insisteva mirando a colpire le zone d’influenza di Mosca in Africa, è destinato a rimanere tale. I Brics non sono un’alleanza né ambiscono a diventarlo. Troppo difficile, per esempio, far convivere Cina e India. Ma c’è sicuramente una parte di mondo fatta di economie “emerse” ed emergenti che ha obiettivi comuni. Vuole pesare di più nei commerci e nelle trattative finanziarie globali. E i cinque Paesi dei Brics sono ritenuti gli interlocutori ottimali. Mosca compresa
Del resto, dietro i Brics c’è un gruppo di Paesi che fa la fila sperando essere ammessa al forum a pieno titolo. Il 2 giugno a Città del Capo, in Sudafrica, si sono ritrovati i rappresentanti dei cinque Paesi e del gruppo di Stati che i Brics definiscono amici. Oltre a Egitto e Algeria, la lista comprende Stati da tutto il mondo. Arabia Saudita, Argentina, Bangladesh, Comore, Cuba, Kazakistan, Emirati Arabi Uniti, Gabon, Indonesia, Iran, Messico, Repubblica Democratica del Congo, Tunisia e Venezuela hanno inviato i loro esponenti.
Notevole in tal senso la presenza di potenze arabe come Emirati e Arabia Saudita. La cui convergenza promossa con la Cina sul commercio e la diplomazia, che ha aperto le porte alla distensione con l’Iran, e con la Russia sull’energia li ha posizionati in campo intermedio rispetto all’Occidente. E ha garantito effetti a cascata sul resto del mondo arabo a cui Algeria e Egitto appartengono.
Pensare una nuova agenda per l’Africa
Il terzo punto da tenere in considerazione è legato alla presa di consapevolezza del fatto che andare in Africa con l’obiettivo di cercare Paesi satelliti o zone d’influenza è ormai schema superato. Sfidare sul terreno Paesi astuti e pieni di risorse come Cina o Russia in forma esclusiva rischia di alienare all’Italia e all’Occidente spazi nel teatro trasnmediterraneo.
Piuttosto, andrebbe ripresa in considerazione la visione espressa negli anni passati da importanti esponenti delle istituzioni come Franco Frattini, Romano Prodi e Marco Minniti. Pensando, cioé, a partnership per lo sviluppo che abbiano l’Africa come obiettivo e Paesi come la Cina e la Russia quali attori con cui giocare di sponda. Attualizzando le dinamiche, le possiamo espandere alla Turchia. Mattei stesso era un terzomondista e anti-colonialista convinto, non un agente d’influenza occidentalista o ultra-nazionalista. La sua lezione è quella del pragmatismo e del mediazione. Che l’Italia deve mettere in campo spingendo a una grande agenda europea per l’Africa capace di competere in termini di opportunità con quella dei Brics. Senza però pensare di sostituirsi completamente a essa.