Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il calcio saudita ha monopolizzato l’attenzione degli appassionati e dei tifosi, costretti a veder passare campioni e beniamini a Riad e a dover fare i conti con la povertà del calciomercato locale. Ma i copiosi investimenti arabi sono destinati a cambiare davvero il mondo del calcio? Oppure tutto finirà già nelle prossime stagioni?
Sotto l’ombrellone la Serie A è stata piuttosto latitante. Gli italiani non hanno parlato dei colpi di mercato delle squadre nostrane, anche perché un vero colpo non c’è stato. Al contrario, si è parlato molto di calcio arabo e, in particolare, di quello saudita. Il mondiale in Qatar sembrava dovesse rappresentare solo una breve parentesi della ribalta mediatica e calcistica del medio oriente. Al contrario, la regione ha continuato a essere protagonista spostando i riflettori da Doha a Riad.
L’acquisto di giocatori importanti da parte dei club sauditi, l’arrivo delle dirette delle sfide del campionato saudita sulle Tv italiane, i titoli fatti sulla cosiddetta “Champions League araba”, hanno conferito al calcio mediorientale un’attenzione senza precedenti. Anche i “botti” della Premier League sono andati in secondo piano, le nuove campagne faraoniche del Chelsea o del City non hanno destato scalpore. Si è all’inizio di una nuova epoca? Oppure fra 12 mesi di tutto questo non ci si ricorderà più nulla?
Non solo “pensionati”
Il calcio già da tempo è uscito dall’Europa e dal Sud America, dalle due aree in cui si è maggiormente sviluppato in oltre un secolo di clamore internazionale. Si gioca ovunque e ci sono campionati anche in Oceania o in Groenlandia. Non c’è un lembo di terra emersa nel pianeta che non conosca il mondo del pallone. Negli anni però alcuni Paesi hanno provato a imprimere la “propria via” al calcio o di diventare potenze sportive, togliendo un po’ di luce (e soldi) alla vecchia Europa e al continente sudamericano.
Il tutto con il solito copione: nuove leghe create grazie all’attenzione degli sponsor e lunga trafila di vecchi campioni assoldati dalle squadre. È il caso degli anni ’70 negli Stati Uniti, quando anche Pelè è andato a giocare a New York nel tentativo di rendere il “soccer” più popolare e portare grandi eventi calcistici oltreoceano. Un tentativo poi ripetuto vent’anni dopo, quando la Fifa ha deciso per la prima volta di far disputare un mondiale fuori sia dall’Europa che dal Sud America. L’Mls, il principale campionato nordamericano, è nato proprio alla vigilia della rassegna iridata di Usa ’94.
Da Toto Schillaci a Mancini: noi e loro
In quegli stessi anni ha iniziato a muoversi in questa direzione anche il Giappone, Paese rimasto ai margini per molto tempo sotto il profilo calcistico. Totò Schillaci, l’eroe di Italia ’90, ha rappresentato una delle prime figure di giocatori famosi in Europa a emigrare verso il Sol Levante. Ingaggi importanti, introiti con gli sponsor e una vita agonistica meno faticosa rispetto al Vecchio Continente, hanno garantito a diversi campioni già avanti con gli anni un fine carriera “dorato”.
Nel XXI secolo è stata la Cina a proporsi come nuova meta per il calcio internazionale. Drogba, Anelka, Hulk, Oscar, Lucas Barrios, Alex Teixeira, Paulinho, i nostri Pellè ed El Shaarawy sono solo alcuni dei nomi che a un certo punto hanno deciso di avventurarsi nel campionato cinese. Una strategia che non ha funzionato, considerando lo stop imposto dal governo di Pechino ai maxi investimenti sul calcio e la fine dell’importazione di talenti dai campionati europei e sudamericani.
Adesso, per l’appunto, è il turno dell’Arabia Saudita. Ma con una differenza importante: ad andare a giocare nella penisola arabica non sono soltanto campioni prossimi ad appendere le scarpe al chiodo. Il caso di Gabri Veiga è senza dubbio quello più emblematico: il giocatore, ad appena 21 anni, ha deciso di non iniziare l’avventura al Napoli e di cedere invece al corteggiamento dall’Al Ahli. Anche Milinkovic Savic, colonna delle ultime stagioni della Lazio, ha scelto a 28 anni di giocare nel campionato saudita.
Il clamore del calciomercato saudita
Tra arrivi di giocatori con ancora anni di carriera in Europa davanti e di campioni prossimi al tramonto dell’attività agonistica, il calciomercato saudita ha suscitato molto interesse. Nel locale campionato militava già da un anno Cristiano Ronaldo. Adesso ci sono nomi del calibro di Benzema, Neymar, Ngolo Kante, Koulibaly, Sadio Manè, Fabinho, Brozovic e tanti altri con una chiara fama nei tornei europei più importanti.
Tra critici e semplici curiosi, nessuno tra gli appassionati si è lasciato sfuggire le dinamiche del calciomercato saudita. Tanto che alcuni canali in Europa hanno deciso di acquistare i diritti delle partite di campionato. Come anche in Italia, dove su Sportitalia è andata in onda la finale della Champions araba e su La7 vengono trasmesse alcune sfide di cartello del torneo. Una circostanza inedita per un campionato fuori dai circuiti europei.
Una strategia di soft power di Riad
L’intento dei vertici politici e sportivi sauditi è quello ovviamente di sfruttare lo sport come elemento di soft power. I vicini di Riad hanno iniziato a farlo già da più di due decenni. Il Qatar nei primi anni 2000 ha investito sulle strutture sportive, nel campionato locale nel 2004 è arrivato anche l’attaccante Omar Gabriel Batistuta e dal 2005 è tappa fissa nel calendario della MotoGp. In Bahrein invece nel 2004 è arrivata per la prima volta la Formula Uno, Dubai e Abu Dhabi hanno iniziato a ospitare grandi eventi subito dopo.
L’Arabia Saudita è invece rimasta attardata. Soltanto con la scalata al potere del principe ereditario Mohammad Bin Salman il governo di Riad ha pensato a precise strategie di soft power. Per i sauditi è importante dare impulso alla cosiddetta Vision 2030, l’agenda con cui il regno vuole provare ad affrancarsi dalla dipendenza dagli introiti del petrolio e a costruire un’economia più moderna. Dovendo recuperare due decadi di distanza con i vicini, Riad non sta badando a spese. Nel 2021 è arrivata la Formula Uno, la capitale è candidata all’Expo del 2030 e la locale federazione calcistica vuole provare a ottenere, sempre per quell’anno, i mondiali di calcio in coabitazione con l’Egitto. Forse le campagne di calciomercato faraoniche hanno come obiettivo massimo proprio l’assegnazione della rassegna iridata. Ma l’orizzonte degli sforzi fin qui effettuati è più politico che sportivo.
Fuoco di paglia o progetto a lungo termine?
Tornando agli aspetti più legati al calcio, la vera domanda è su quanto tempo durerà la luna di miele tra le finanze saudite e il mondo del pallone. I casi prima elencati relativi ai copiosi investimenti fatti sul calcio, non hanno scosso del tutto gli equilibri internazionali. La Cina ha fallito i propri obiettivi, è andata meglio a Usa e Giappone dove la qualità del calcio locale è aumentata e le rispettive nazionali sono potenze continentali e sono presenza fissa ai mondiali. Ma, per l’appunto, nessuno di questi Paesi è diventato nuovo grande centro calcistico internazionale a scapito dell’Europa.
Forse il calcio saudita farà il medesimo percorso, fatto di investimenti non in grado però di spostare gli equilibri. C’è però una differenza con gli altri Paesi che hanno provato a diventare potenze calcistiche. Negli Usa, così come in Giappone o in Cina si è intervenuti in un contesto in cui il calcio non è mai stato lo sport più seguito. In Arabia Saudita invece si gioca da molti decenni e la nazionale è già una delle più importanti del proprio continente.
Una crescita sportiva importante
Nell’ultimo mondiale ha battuto nei gironi l’Argentina futura campione del mondo, nel 1994 la selezione è riuscita anche a qualificarsi per gli ottavi di finale. Inoltre, la nazionale è composta da giocatori nati e cresciuti in Arabia Saudita e raramente si è fatto ricorso alle naturalizzazioni come in altri contesti regionali. Il locale movimento calcistico ha quindi già una certa esperienza e il pubblico è sempre stato molto attratto dallo sport più popolare al mondo. Una base importante, la quale potrebbe essere in grado di sostenere i copiosi investimenti che le società stanno attuando negli ultimi mesi. A patto però che, dopo il consistente esborso di denaro, arrivi anche una costanza anche nella programmazione e nella crescita sportiva dei club. Circostanza quest’ultima non garantita dalla pioggia di petrodollari.