L’Europa ha votato e nel Vecchio Continente torna il discorso di cosa può succedere nell’Ue e nella sua agenda politica dopo la svolta che ha premiato le tre destre, popolari, conservatrici e identitarie. Ne parliamo con Amedeo Maddaluno, analista geopolitico di Osservatorio Globalizzazione e Parabellum&Partners, che traccia la rotta dell’Europa tra Washington, Pechino, Mosca e Tel Aviv.
Maddaluno, le Europee si sono concluse. Che trend si delineano dai voti?
Nei limiti in cui si può commentare un risultato la giornata dopo la chiusura delle urne, possiamo già fare alcune constatazioni: l’avanzata delle destre cosiddette sovraniste, che trionfano in Francia e avanzano in Germania. Quali effetti questo potrà avere sulla coesione interna dell’UE e sulla politica estera della medesima è troppo presto per dirlo.
Del resto, dire destre in Europa impone di parlare al plurale. E la destra più grande resta quella popolare, alleata a socialisti e liberali. Che prospettive si aprono?
Nel complesso, contando i seggi all’Europarlamento, l’accordo strategico tra Popolari, Socialisti e galassie liberali tiene; per loro natura, i nazionalismi sono d’accordo sulla “pars destruens” (meno Europa) ma non sulla costruens (mettere d’accordo i nazionalisti polacchi russofobi e quelli francesi russofili sarà “vaste programme”). Basta guardare ai gruppi parlamentari: i nazionalisti si dividono tra ECR, ID e non iscritti (una volta si diceva dei socialisti: mettine due insieme e faranno tre partiti. Oggi si può dire dei sovranisti). Vero è che ai nazionalisti la pars destruens basta e avanza: annacquare l’Unione Europea.
Un’agenda che fuori dall’Ue molti attori guardano con attenzione…
Questo basta e avanza anche a Mosca e a Tel Aviv, le due capitali più vicine alle destre europee. Che entri ulteriore sabbia nei già esausti, inefficaci, inefficienti, lenti e macchinosi ingranaggi decisionali dell’unione è già una buona notizia per Mosca. Per Tel Aviv è una boccata d’ossigeno la crescita di partiti islamofobi e filoisraeliani fino al midollo. Torniamo però a dirlo: gli impatti concreti e fattuali che questo potrà avere sono tutti ancora da soppesare.
Sul fronte dei rapporti con la Russia, ora verranno mandate meno armi e meno aiutu all’Ucraina?
Possibilissimo: il voto europeo va nella direzione di un minore supporto a Kiev. Non però che gli europei sin qui abbiano mandato a Kiev chissà che armi-fine-di-mondo: il grosso è venuto da Washington (quindi la partita va al 2025) e da Londra, dove il supporto indefesso a Kiev è consenso generale di tutte le forze politiche. Meno supporto finanziario? Anche questo, assai probabile: ma per giocare la partita della ricostruzione devono comunque tacere le armi, quindi il discorso pertiene ad un possibile futuro anteriore, non alle scelte di domattina.
Ha citato anche Israele. Che approccio avrà la nuova Europa verso lo Stato Ebraico in guerra a Gaza?
Quanto a Tel Aviv, governi Netaniahu oggi o… Gantz domani, nulla che venga da Bruxelles cambia. Partiamo col dire che l’UE non ha una sua politica estera proattiva, ma ne ha sempre una reattiva alle crisi: oggi l’unica crisi davvero sul tavolo è quella ucraina. Del Mediterraneo, del Vicino Oriente e dell’Africa all’UE è sempre importato relativamente poco, sia quando “comandava Berlino” (distante da quei teatri, o per ragioni storiche notorie appiattita su Israele) sia oggi che i paesi dell’Est come la Polonia o la Romania si accreditano come interlocutori diretti di Washington, disintermediando la stessa UE e confermandone il focus sull’Ucraina.
Insomma, una volta di più ci aspetta un’Europa con un’agenda estera confusa?
Ed eccoci al dito nella piaga: non avendo l’UE un “interesse nazionale”, non ha una politica estera vera e propria, ma reagisce di volta in volta alle crisi del momento. Le crisi non più “in prima pagina” (terrorismo, migrazioni, guerre africane, guerre mediorientali) sono demandate ai paesi che si affacciano sul Mediterraneo. L’aggressivo espansionismo turco (dalle minacce all’Armenia a Cipro Nord) è rogna da grattarsi per greci e francesi, le migrazioni e le crisi libica e tunisina lo sono per gli italiani. In questo disinteresse dell’UE e silenzio-assenso tedesco, Israele si è crogiolato per anni comunque. L’aumento del peso dei partiti più ideologicamente affini alle destre israeliane non può che migliore le cose per Tel Aviv.
Come guardano il voto, infine, Mosca e Pechino?
Quanto alle due superpotenze, per USA e Cina poco cambia chi governa un’area geopoliticamente non priva di interesse (anzi!) ma assai meno pesante e potente rispetto a loro. La Cina è in predicato di annientare l’industria europea sommergendo il mondo con i propri prodotti manifatturieri: un’UE ancora più divisa fa solo il gioco di Pechino, ma del resto sin qui non si è fatto nulla, e di Cina in campagna elettorale non si è parlato. Gli USA sono tutti proiettati sulle proprie elezioni presidenziali: quelle avranno un impatto sul mondo molto più immediato e misurabile.