Perché leggere questo articolo? La Turchia è centrale nella partita del grano. Ritirandosi dagli accordi Onu la Russia può garantirle spazi geopolitici che si possono spendere in Africa. Ove Ankara può pestare i piedi all’Italia.
La fine degli accordi sul grano tra Russia e Ucraina danneggia apparentemente la strategia geopolitica della Turchia di Recep Tayyip Erdogan ma in realtà ne può esaltare la centralità. L’accordo mediato nel maggio 2022 per il transito del grano ucraino nelle acque di guerra del Mar Nero, denominato Black Sea Grain Initiative, vedeva Onu e Turchia come pontieri. Ora il ritiro russo dal rinnovo delle clausole lascia ad Ankara una finestra d’opportunità non secondaria.
L’accordo sul grano è finito, per ora…
La Turchia ha fatto filtrare la notizia che, in prospettiva, le navi civili ucraine cariche di grano possano essere scortate dalla sua Marina Militare fuori dal Mar Nero, passando attraverso quei Dardanelli che la Convenzione di Montreux del 1936 regola a livello internazionale. Garantendo però alla Turchia ampie prerogative sovrane.
Nell’ultimo anno, la Black Sea Grain Initiative ha permesso l’esportazione di circa 33 milioni di tonnellate di cereali e semi oleosi, offrendo un’ancora di salvezza agli agricoltori ucraini e ai paesi con insicurezza alimentare nel Sud del mondo.
Le mosse della Turchia sul grano
Ora la Turchia vuole nuovamente che l’accordo torni in pista e punta a farlo per consolidarsi come pivot geopolitico tra Occidente, Russia e Oriente. Ma anche per aumentare il suo soft power nel Sud globale, a partire dall’Africa. In cui le ambizioni turche, in diversi scenari, dalla Libia al Corno d’Africa si confrontano, sovrappongono e a volte scontrano con quelle italiane.
Il tempo sarà decisivo. Ad agosto Vladimir Putin è atteso ad Ankara. Erdogan sarà pronto all’offensiva diplomatica. La Turchia ha rifilato due sonori schiaffi alla Russia accogliendo prima Volodymyr Zelensky in visita di Stato e poi la Svezia a diventare parte della Nato. A Vilnius al summit Nato con cinico e spietato realismo Erdogan ha dimostrato che nell’Alleanza Atlantica i valori sono secondari. Contano gli interessi. E ha acquisito centralità sbloccando l’impasse per l’adesione di Stoccolma. Ora tocca al grano e alla nuova mediazione con la Russia.
La geopolitica attiva della Turchia
L’obiettivo? Ampliare la strategia della Turchia “ponte” tra mondi. Aprire in diversi Stati, soprattutto africani, alla visione di Erdogan come uomo di pace e grande visione. E dunque spalancare alla Turchia le porte dell’Africa in termini economici, commerciali, diplomatici. Arrivando a promuovere quella “geopolitica attiva” indicata da Lucio Caracciolo, direttore di Limes, come vero obiettivo di Erdogan nel mondo per il post-rielezione.
🖋️ L’editoriale odierno di Lucio Caracciolo
Dopo la vittoria,
Erdoğan riprenderà la sua geopolitica attiva#29maggio #Turchia https://t.co/NPIdNuuwtS— Limesonline (@limesonline) May 29, 2023
Una geopolitica che guarda all’Africa. E può pestare duramente i piedi al Piano Mattei di riconquista di spazi d’influenza e quote di mercato in Africa su cui Giorgia Meloni e l’Italia hanno costruito il loro nuovo asse di politica estera. In quest’ottica, la Turchia può cercare politicamente di presentarsi come il Paese che lotta per sfamare l’Africa. Unito al peso dato dal governo di Erdogan all’Islam politico, questo combinato disposto può essere un asset formidabile per la Turchia.
La Turchia si prende l’Africa?
“Nel commercio estero della Turchia l’Africa ricopre un ruolo sempre più significativo, con una crescita aumentata dal 4,5% dei 2003 (2,1 miliardi di dollari), al 9,4% del 2021 (21,2 miliardi di dollari)”, scrive Nigrizia. “E con un volume complessivo di scambi che quest’anno dovrebbe più che raddoppiare, raggiungendo i 45 miliardi di dollari”: dai porti nel Golfo di Guinea alla conquista di quote di mercato per le infrastrutture e l’energia, passando per l’ingresso di beni turchi nei mercati in via di sviluppo, la mossa di Ankara è chiara. E si può esprimere in un concetto: colmare i vuoti.
Con gli accordi sul grano la Turchia di Erdogan, cinicamente atlantica quando c’è da battere cassa alla Nato e proteggere l’economia dalle fughe di capitali occidentali, eurasiatista quando c’è da fare affari con Cina e Russia e terzomondista nel resto dei casi ha provato a cercare la quadratura del cerchio. Ottenendo poi l’unico successo diplomatico di un “paciere” dall’invasione russa. Con la loro fine la Turchia può essere paradossalmente ancora più decisiva vendendosi come la protettrice dei Paesi poveri aumentando la prospettiva politica della sua influenza. Tutto questo a scapito di Paesi come l’Italia che cercano un affaccio nel continente più conteso. E che proprio sulla battaglia per la sicurezza alimentare devono giocare attivamente. Per non farsi scavalcare, come successo più volte in passato, dal furbo e machiavellico Sultano turco.