Perché leggere questo articolo? Ovunque si parla di fine della presenza del gas e del petrolio russo in Occidente. Ma è davvero così? Molti dati sembrano smentire questi fatti
Il gas russo? Non se ne è mai del tutto andato. Dall’Europa e dall’Italia. Certo, la drastica diminuzione delle importazioni dell’oro blu russo è sotto gli occhi di tutti. Ma la Russia continua a essere presente nel mix energetico europeo.
Chi in Europa continua a comprare il gas russo
La Russia ha rappresentato un quinto delle importazioni, come sottolineano i dati europei, dalla scelta di bandire entro il 2027 tutte le importazioni energetiche dal Paese di Vladimir Putin, presa a maggio 2022. Tale dato è in diminuzione, soprattutto perché la fine di Nord Stream ha azzerato il passaggio del gas dalla Russia al primo acquirente, la Germania. Ma è di oggi la notizia che Allianz e gli altri gruppi assicurativi che garantiscono il gasdotto ferito sul Baltico sono pronti a rendere nuovamente possibili le assicurazioni sui carichi passanti nel Baltico. Segno del fatto che l’azzeramento è considerato temporaneo.
Chi compra il gas russo in Europa? In primo luogo l’Ungheria. Che ottiene da inizio anno oltre 1,6 miliardi di metri cubi passanti per la rotta attraversante...l’Ucraina! Può sembrare strano e paradossale, ma la Russia non ha mai interrotto i flussi di gas via Ucraina fino all’Europa. Rimane dipendente al 10% anche la Romania, che sta comunque abbattendo la dipendenza. Un altro miliardo di metri cubi è passato attraverso il gasdotto Yamal diretto in Europa centrale. La Polonia, nemica numero uno della Russia in Europa, continua a acquistare 30-50 milioni di metri cubi al mese. Poco rispetto ai 330 pre invasione, ovviamente, ma una quota residua esiste.
E la neutralissima Austria continua a essere il perno della dipendenza del gas russo tra i Paesi dell’Europa occidentale. Il 70% delle importazioni di gas di Vienna arriva dalla Russia e Omv, il regolatore austriaco, a marzo ha segnalato un 100% di rispetto nelle consegne da parte di Gazprom.
La situazione italiana
E l’Italia? Anche se per ora Eni sembra sottolineare che la de-russificazione del mix energetico avverrà tra il 2024 e il 2025, l’oro blu di Mosca si aggira ancora nelle nostre condutture. Spesso per volontà non nostra; spesso sotto forma di Gnl. Dalla Spagna alla Francia, passando per il Giappone. Quali sono i paesi occidentali che ancora si servono del gas russo?
Il gas russo rientra dalla finestra
La nostra industria energetica ha aumentato del 17% le importazioni di gas naturale liquefatto dalla Spagna, di recente. Ma i terminal controllati dal governo di Madrid, riporta Bloomberg, nell’ultimo anno hanno accresciuto dell’84% le importazioni di gas dalla Russia. Un circolo vizioso favorito anche dal fatto che Roma ha “rubato” a Madrid molto del gas che proviene dall’Algeria. Gas che spesso proviene da pozzi dove Gazprom ha interessi o i cui proventi vanno a finanziare gli acquisti di armi del regime algerino in Russia.
Del resto, la Spagna nel periodo gennaio-marzo ha aumentato gli acquisti di Gnl russo, unico Paese in Europa a farlo assieme al Belgio. Da 533mila tonnellate è salita a 990, diventando il primo importatore in Ue e sorpassando anche la Francia, scesa da 1,9 milioni di tonnellate nel periodo gennaio-marzo 2022 a poco più di 700mila.
Il taglio al gas russo potrebbe non essere per sempre
Formalmente da 30-33 miliardi di metri cubi secondo le varie stime l’Italia ha tagliato a 10 miliardi nel 2022 le importazioni di gas russo nel 2022. Per il 2023 si punta a scendere a 5. Un calo notevole va detto. Nei primi mesi del 2023 dalla Russia è arrivato poco più dell’8% del gas che importiamo. Per avere un’idea, dall’Algeria è arrivato il 25,6%. Ma in quest’ottica, la fine della dipendenza dalla Russia non potrebbe essere così strutturale. In primo luogo perché il gas che esce dalla porta può rientrare dalla finestra. In secondo luogo a causa delle sfide politiche sulla sostenibilità della sostituzione del gas di Mosca, che impongono calcoli complessi.
L’alternativa al gas russo si può chiamare Algeria, ovvero uno degli acquirenti privilegiati del gas russo. Ma si può chiamare anche Azerbaijan, Paese nell’estero vicino della Russia, in cui Gazprom ha grandi affari. E in un contesto generale, si deve anche ricordare il fatto che il costo del Gnl impone cessioni di grandi opportunità economiche in termini di investimenti alternativi e, sul fronte italiano, rischia di sostituire una dipendenza con un’altra. Quella, cioè, dai gruppi stranieri di matrice soprattutto anglosassone che controllano i rigassificatori.
Il nodo petrolio
La realtà dei fatti è che è fallita la strategia di escludere completamente la Russia dai mercati mondiali. Ed è fallita perché tagliare una nazione fuori dalle logiche della globalizzazione è operazione di fantasia più che di politica. Specie se parliamo della prima potenza energetica mondiale. Non isolata come la narrativa occidentale vuole sottolineare.
Lo dimostrano anche dati. Ne mettiamo, per semplicità, in fila tre. E riguardano l’altra materia prima chiave della Russia, nonché prima fonte di entrate dell’erario di Mosca: il petrolio. In primo luogo Mosca ha goduto della prospettiva di riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, che ha stabilizzato i mercati del greggio. In secondo luogo, è riuscita a far passare in sede Opec+ la scelta di tagliare di un milione di barili al giorno la produzione di petrolio. Così da far alzare i prezzi e sfidare il price cap imposto dal G7. Cosa più importante, è riuscita a far rientrare la fronda degli Emirati Arabi Uniti, fino a poche settimane fa a un passo dall’abbandono della lobby del petrolio mondiale.
Terzo punto, la Russia è riuscita a ottenere dal Giappone una violazione del price cap a 60 dollari al barile. Nella giornata del 2 aprile Tokyo ha comprato da Mosca il petrolio a 74,8 dollari al barile. La sanzione è stata superata di fatto dal mercato. In cui la Russia, nonostante l’isolamento crescente imposto dalla guerra, gioca ancora da attore dinamico. E questo, piaccia o meno, è un dato da tenere in considerazione.