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Guerra a Gaza, Negri: «Sta diventando un campo di sterminio»

Guerra a Gaza, Negri: «Sta diventando un campo di sterminio»

Il conflitto a Gaza continua, e il popolo palestinese viene lentamente prosciugato giorno dopo giorno.

Lunedì, le Nazioni unite si sono esposte annunciando lo stop alla consegna degli aiuti umanitari nella Striscia.

La motivazione sarebbe l’eccessivo pericolo che gli operatori sanitari sono costretti a correre per aiutare la popolazione. Un funzionario dell’Onu ha commentato la misura in questo modo: «Stiamo provando a bilanciare i bisogni della popolazione con quelli di sicurezza del personale delle Nazioni unite».

In quasi undici mesi di conflitto, 289 operatori sanitari hanno perso la vita, e 207 di questi appartenevano all’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.

Neanche due giorni dopo, l’esercito israeliano ha avviato una grossa operazione militare in Cisgiordania, con l’obiettivo di contrastare «attività terroristiche» nella zona. Tra i bersagli colpiti c’è il nome di Muhammad Jabber, noto come Abu Shujaa, comandante del Jihad Islamico.

Ma tra questi bersagli, vi sono come al solito numerose vittime civili: 14 “terroristi” secondo Israele e 18 civili secondo l’Autorità nazionale palestinese.

Più passa il tempo, più Israele allarga i gomiti e più i negoziati di pace sembrano solo un miraggio. Ne abbiamo parlato con Alberto Negri, reporter di guerra per Il Sole 24Ore. «La situazione in Palestina? Gaza sta diventando un campo di sterminio». L’intervista.

Negri, un commento sullo stop agli aiuti umanitari a Gaza da parte dell’Onu?

Siamo di fronte all’ennesima violazione del diritto internazionale e delle più basilari ragioni umanitarie.

Tra l’altro, la Striscia di Gaza, come ci hanno detto tutte le istituzioni internazionali, sta attraversando un periodo terrificante perché ci sarebbero da vaccinare centinaia di migliaia di bambini contro la poliomielite. Fermare nuovamente gli aiuti umanitari diventa qualcosa che va contro ogni principio di umanità, in un momento in cui è sotto tiro anche la Cisgiordania.

Invece di contenerlo, il conflitto si va allargando. La domanda sorge spontanea: ma di che cosa stanno parlando questi signori a questo ipotetico tavolo negoziale? E soprattutto, gli Stati Uniti che cosa fanno?

Purtroppo, la risposta è tristemente e banalmente un nulla di fatto. Si continua a dire che ci sarà un cessate il fuoco, ma poi non si arriva mai a niente.

Gaza non è più soltanto una prigione a cielo aperto, come la descrivevamo tutti noi che ci siamo andati. La Striscia sta diventando un campo di sterminio.

Data la sua esperienza sul campo, a che punto siamo del conflitto? Quale secondo lei potrebbe essere una soluzione?

In primo luogo, bisogna evitare che questo conflitto si allarghi ulteriormente e diventi di tutti i territori palestinesi, soprattutto della Cisgiordania. A questo attuale governo israeliano, di Gaza non importa nulla. Gli israeliani si erano già ritirati nel 2005 con Sharon.

Quello che conta per loro è la Cisgiordania, dove ci sono centinaia di migliaia di coloni: sono loro che oggi comandano in Israele. Nel 1993, all’epoca degli accordi di Oslo, nei territori palestinesi c’erano circa 100mila coloni, oggi sono più di 700mila.

La soluzione al conflitto ci sarebbe anche, ma il problema è che Israele in trent’anni ha tolto giorno dopo giorno la possibilità di una risoluzione. È stato divorato il 50% del territorio palestinese in Cisgiordania.

Se si vuole attuare la soluzione “due popoli due Stati” bisogna avere anche però il territorio del secondo Stato.

Dire “due popoli due Stati” ormai non vuol dire più nulla, è una formuletta con cui la diplomazia internazionale cerca di lavarsi le mani. Inoltre, coloro che parlano di questa soluzione sono gli stessi che non hanno quasi mai riconosciuto uno Stato palestinese.

Sono 150 forse gli Stati dell’Onu che l’hanno già riconosciuto, tra cui il Vaticano. Quindi, dobbiamo attentamente riflettere su che cosa facciamo ogni giorno per fare in modo che questa soluzione sia attuabile. Se noi lasciamo che i coloni israeliani e lo Stato di Israele consentano ogni giorno di sottrarre il territorio, soprattutto alla Cisgiordania, tutto ciò diventa impossibile.

Le elezioni Usa potrebbero cambiare le sorti?

L’unico spiraglio di un cessate fuoco è l’interesse dell’attuale amministrazione americana di fare un accordo che in qualche modo vada a beneficiare la corsa della Vicepresidente Kamala Harris alla Presidenza contro Trump.

Se l’amministrazione Biden valuta che con i cessate il fuoco la Harris riesce a vincere la corsa presidenziale, allora, forse qualcosa avverrà.

Con Trump Invece?

Peggio. Le faccio rispondere da Trump stesso: nel 2018 Trump si ritira dall’accordo con l’Iran. Successivamente, riconosce la sovranità israeliana su Gerusalemme trasferendo l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme; non solo, riconosce anche contestualmente la sovranità di Israele sulle alture del Golan siriane, occupate dal 1967. Ora Trump, invece di disinnescare i pericoli di un conflitto, li ha moltiplicati.

Non che la Harris sia molto meglio. Il suo discorso alla Convention democratica sulla questione è stato abbastanza ambiguo, esprimendo solidarietà prima di tutto ad Israele e una vaga comprensione dei problemi palestinesi. Tuttavia, quando si è trattato di far parlare i palestinesi alla Convention, li ha fatti cacciar fuori.

Le risposte sono i fatti o i non fatti di questi due personaggi.

Intifada e terrorismo, quali sono le conseguenze per il popolo palestinese?

Immagini tutti questi ragazzini palestinesi che sono stati bombardati per 10 mesi a Gaza, cosa penseranno appena saranno più grandi?

In questo modo non elimini il problema Hamas, anzi, forse dai luogo a formazioni e movimenti ancora più radicali. Che cosa rimane ai palestinesi?

Proviamo a metterci nei panni di qualcuno che arriva a casa tua con un fucile, un carro armato, droni e jet, perché Israele questo è: un ministato che però è una grande potenza militare. Arriva e ti porta via la casa, la tua terra e tutto il resto.

Ti rimane soltanto la rivolta. Ed è quello che vuole Israele, un’altra rivolta palestinese per giustificare il suo diritto all’autodifesa. Ma questo non è più diritto all’autodifesa.

Khaled Meshaal, uno dei capi di Hamas, oggi ha detto bisogna ritornare agli attentati suicidi. Questo è il risultato quando mancano le risposte politiche. Il risultato dall’altra parte è l’orrore.