Perché questo articolo potrebbe interessarti? Nuove tensioni in Kosovo, lì dove sono impegnati i militari della Nato. Per questo si teme la nascita di un “nuovo Donbass” nei Balcani, ancora più vicino ai confini dell’Unione Europea. Tuttavia, al fianco dei parallelismi tra le due situazioni, ci sono anche profonde divergenze che potrebbero portare a esiti diversi da quelli visti in Ucraina
Mai dal 1999, anno della guerra e dell’inizio della missione Nato, in Kosovo si erano contati così tanti feriti tra i militari dell’Alleanza Atlantica. Negli scontri dei giorni scorsi, ben 41 soldati (di cui 14 italiani) sono rimasti coinvolti. Segno di una tensione sempre più forte e che inevitabilmente rimanda con il pensiero a quanto sta accadendo in Ucraina. Sono diversi i punti che rimandano a un parallelismo tra il Kosovo e il Donbass. Le rivendicazioni di natura storica e culturale, lo scontro ravvicinato tra una parte di opinione pubblica, quella serba, considerata vicina a Mosca e la Nato. Non ultimo anche la retorica del Cremlino, la quale paradossalmente ha tratto linfa dalla vicenda del Kosovo. Tuttavia è anche vero che tra i due dossier insistono profonde differenze, in grado di circoscrivere le attuali tensioni alla mera regione balcanica.
Le rivendicazioni storiche e culturali
Tra le ragioni spesso valutate dalla dirigenza russa, e dal presidente Putin in primis, per l’azione in Ucraina vi sono anche quelle di natura storica. Il capo del Cremlino, nel discorso del 21 febbraio 2022 che di fatto ha avviato la guerra, ha parlato di Ucraina come Stato artificiale, creato dalla mano di Lenin per ragioni di opportunismo politico. Un’argomentazione che si sposa con quella molto diffusa in molti ambienti russi, secondo cui la storia del popolo russo è partita dal Rus di Kiev. E che dunque ciò che adesso è Ucraina non solo è frutto di un artificio storico, ma è anche parte integrante della nazione russa.
C’è poi la questione linguistica. La decisione operata da Kiev, all’indomani delle proteste di Piazza Maidan, di togliere il bilinguismo russo-ucraino ha scatenato le ire di chi considera il Donbass come una regione vicina alla sfera culturale russa. Un concetto posto peraltro come base dei referendum, non riconosciuti dalla comunità internazionale, nelle regioni occupate di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhzhia.
Nei Balcani, lo scontro sul Kosovo è in parte basato anche su questi presupposti. I serbi considerano quella regione come parte della propria nazione. Non solo perché abitati da un’importante minoranza serba, ma anche perché sede di monumenti e luoghi storici considerati vicini come fulcro della propria identità. Qualora oggi il governo di Belgrado dovesse riconoscere l’indipendenza del Kosovo, si scatenerebbero importanti manifestazioni di piazza alimentate soprattutto dai movimenti nazionalisti.
La questione politica
Sotto il profilo politico, l’unico parallelismo riguarda il fatto che sia il dossier kosovaro che la situazione nel Donbass sono figli della caduta dei due Stati a cui le regioni appartenevano: rispettivamente la Jugoslavia e l’Unione Sovietica. Ma, sotto questo profilo, i parallelismi terminano qui. Il Donbass infatti, ammainata la bandiera rossa su Mosca, si è ritrovato all’interno dell’Ucraina. I serbi del Kosovo invece, finita l’esperienza jugoslava, erano comunque all’interno della Serbia e non in un altro Stato.
La questione kosovara non si è quindi originata da rivendicazioni serbe. Al contrario, tutto è partito quando la popolazione albanese del Kosovo ha iniziato a manifestare insofferenza per le scelte politiche di Belgrado negli ultimi anni di esistenza della federazione jugoslava. Il governo di Milosevic infatti, sul finire degli anni ’80, ha iniziato a limitare l’uso dell’albanese a favore di quello esclusivo del serbo. I disordini successivi hanno innescato gli scontri tra le due parti. Fino al distacco, proclamato unilateralmente nel 2008, del Kosovo dal resto della Serbia.
La presenza della Nato nel Kosovo
L’altro elemento che mette in relazione il dossier del Donbass con quello kosovaro, riguarda la presenza di militari dell’Alleanza Atlantica nel Kosovo. Una presenza avviata all’indomani dei raid della Nato contro Belgrado, volti a fermare le violenze perpetuate all’interno della regione contesa. Con la risoluzione 1244 delle Nazioni Unite del 1999, è stata autorizzata la presenza della forza internazionale Kfor a garanzia dell’amministrazione regionale del Kosovo posto sotto l’egida provvisoria dell’Onu. Nel 2008, come detto, Pristina ha proclamato unilateralmente la propria indipendenza, ma la Kfor è rimasta come forza di interposizione.
I recenti scontri culminati con il ferimento di 41 militari della Nato, tra cui 11 italiani, sono nati dalle proteste di parte della comunità serba contro l’insediamento di sindaci di lingua albanese in alcuni comuni a maggioranza serba. “L’attuale crisi – ha spiegato a TrueNews il ricercatore Francesco Trupia – parte da lontano, quando nel 2022 tutti i rappresentanti serbi hanno deciso di interrompere le relazione con le autorità di Pristina abbandonando le loro cariche istituzionali. Un atteggiamento ripetuto lo scorso 23 aprile, quando le elezioni volute da Pristina nella regioni settentrionali sono state boicottate dalla stessa comunità serba, preoccupata dalla mancata volontà del parlamento di attuare riforme in senso autonomistico per le municipalità serbe”.
Lo scenario è quindi quello di uno scontro tra manifestanti serbi e militari Nato. Da qui una domanda a cui da giorni, dentro molti corridoi diplomatici, si cerca di dare una risposta: possibile che in questo angolo dei Balcani si apra un nuovo fronte delicato per l’Alleanza Atlantica? La Nato dal febbraio 2022 è impegnata nel sostenere l’Ucraina nella guerra contro la Russia. In questo senso, il Kosovo potrebbe diventare o una nuova spina nel fianco oppure un vero e proprio nuovo Donbass.
Gli scenari futuri
Al momento però non ci sono elementi che portano a pensare a una mano russa sulle attuali tensioni. Mosca ha anzi sempre usato l’esempio di quanto accaduto in Kosovo per giustificare parte delle proprie azioni. La stessa annessione della Crimea nel 2014, è stata giustificata anche partendo dal riconoscimento di parte dei Paesi Nato dell’indipendenza del Kosovo. Non è detto quindi che al Cremlino convenga appoggiare le proteste dei gruppi serbi più oltranzisti.
In generale, si può dunque dire che al netto di possibili parallelismi, Donbass e Kosovo rimangono due dossier separati e due questioni differenti. L’unica convergenza potrebbe essere rappresentata dalla presenza, a due passi dai territori Ue, di due crisi internazionali tanto gravi quanto preoccupanti per la stabilità del Vecchio Continente.