Raid tra Paesi lontani da Gaza, blocco del Mar Rosso, caos geopolitico, Medio Oriente in fermento: la guerra a Gaza ha già diverse proiezioni internazionali e la situazione si fa sempre più esplosiva. Parlando con True-News l’ambasciatore Marco Carnelos, attento studioso della geopolitica regionale e già titolare della legazione di Baghdad, descrive la preoccupante situazione creatasi nel contesto mediorientale dopo oltre cento giorni di conflitto a Gaza. E traccia gli impatti di una crisi che ha già portata regionale.
Ambasciatore, la guerra a Gaza ha ormai superato i cento giorni. Che bilancio si può trarre da un conflitto su cui gli occhi del Medio Oriente e del mondo sono puntati?
Il bilancio è drammatico sotto ogni punto di vista: Israele ha subito il maggior numero di morti in un singolo giorno dai tempi dell’Olocausto e lo Stato ebraico è stato per la prima volta portato in giudizio per genocidio dinanzi alla Corte Internazionale di Giustizia a causa dell’ecatombe in corso a Gaza. Credo che questi due eventi offrano la misura della situazione senza precedenti che stiamo vivendo.
Nei giorni scorsi sono emerse notizie di possibili spaccature tra militari e governo israeliano. Anche la Difesa di Tel Aviv inizia a esser stanca dell’assenza di leadership politica?
La stampa israeliana è densa di retroscena sulle spaccature interne alle varie anime, politiche e militari, del Gabinetto di guerra costituito all’indomani degli attacchi del 7 ottobre. Ormai in Israele si stanno affilando i coltelli per la resa dei conti con Netanyahu e quest’ultimo ha solo un’opzione per allontanare il giorno del giudizio: prolungare il conflitto più a lungo possibile anche a costo di allargarlo. Un’eventualità che dovrebbe alimentare più di una riflessione e auspicabilmente qualche azione seria sia a Washington che nelle catatoniche cancellerie europee.
La guerra sta avendo una serie di spillover regionali: come giudica la prospettiva dell’espansione su Libano, Siria e Iraq legata ai raid di Israele e, in secondo luogo, Iran?
La situazione mi ricorda molto l’estate del 1914. Permaneva una tensione crescente, nessuna potenza voleva perdere la faccia, ognuna di loro era impegnata ad esercitare la propria deterrenza ma nessuna volava un conflitto vero e proprio. Alla fine, sono state tutte risucchiate nella Prima Guerra Mondiale. Oggi da una parte ci sono le esigenze ciniche di Netanyahu, dall’altra le esigenze di diversi attori regionali a partire dall’Iran che non sono più disposti a tollerare le incursioni israeliane che, va ricordato, sono in corso da anni, ben prima del 7 ottobre
L’Iran ha lanciato una serie di operazioni per vendicare gli attentati del 3 gennaio: cosa ci dice questo dell’atteggiamento della leadership di Teheran?
È proprio quello cui accennavo prima. Teheran fino ad oggi ha fatto sfoggio della cosiddetta “pazienza strategica” non raccogliendo quelle che a suoi occhi sono apparse come provocazioni israeliane. Adesso sembra intravedersi un salto di qualità, con l’abbandono di questa “pazienza strategica”. Non vorrei che questo diverso atteggiamento iraniano fosse il segnale che la soglia militare è stata ora oltrepassata per quanto riguarda il programma nucleare e in tal caso la situazione diventerebbe incandescente.
Sul fronte del Mar Rosso, cosa c’è da attendersi? In Yemen è stata negoziata una tregua all’ombra della distensione iraniano-saudita. I raid degli Houthi e i bombardamenti occidentali possono spezzarla?
Gli Houthi sono gli unici che nel mondo arabo hanno deciso di operare concretamente contro Israele per indurlo a cessare la mattanza a Gaza. Certamente lo hanno fatto in modo discutibile, rivalendosi sul traffico marittimo destinato ad Israele. Un’azione che stride con il diritto internazionale e il principio di libertà di navigazione. Del resto, però, su questo aspetto bisogna ricordare che anche alcuni Paesi occidentali hanno recentemente compiuto operazioni di sequestro di navi in mare con una scarsa copertura giuridica. Mi riferisco, in particolare, al sequestro in acque internazionali delle petroliere iraniane dirette in Siria. Diciamo che gli Houthi stanno replicando a modo loro, e con impatti tutto sommato più modesti, lo shock petrolifero che tutti i paesi arabi crearono in occasione della guerra dello Yom Kippur nel 1973. Imprevedibili, al momento, invece le conseguenze della situazione sul dialogo politico nello Yemen.
Arabia Saudita e Emirati come si muovono in questa crisi che agita il Medio Oriente?
Sono molto attenti ad evitare che la situazione sfugga completamente di mano perché un’escalation danneggerebbe tutti. La loro cautela rischia tuttavia di essere interpretata nel mondo arabo come un’eccessiva accondiscendenza verso Israele mentre sta massacrando la popolazione palestinese di Gaza, e questo potrebbe indurre i tanti facinorosi nella regione a mettere Riad ed Abu Dhabi nella lista dei Paesi che necessitano un avvertimento.
In definitiva, assistiamo a un contesto che vede il Medio Oriente ancora centrale nella geopolitica globale. Sarà così anche in futuro?
Sul Medio Oriente vale un motto molto efficace che più o meno recita nel modo seguente: “Puoi anche ignorare il Medio Oriente ma stai pur certo che quest’ultimo non ti ignorerà”. Il dramma del 7 ottobre ne è la dimostrazione esemplare. Qualcuno aveva pensato a delle scorciatoie accantonando la questione palestinese o derubricandola ad una questione meramente economica (ne sono stati un esempio gli Accordi di Abramo). La storia ha inferto l’ennesima lezione a queste soluzioni da apprendisti stregoni. Vedo segnali sempre più inquietanti a partire dallo “scambio di carinerie” tra Iran e Pakistan degli ultimi giorni. Quanto al futuro, non sono ottimista. Gli USA sono paralizzati dai veti israeliani e l’Europa è o imbelle o a rimorchio degli USA. Manca una visione per la soluzione dei problemi della regione e alla fine ci rimetterà quest’ultima e chi le è prossimo, ovvero l’Europa.