Perché questo articolo potrebbe interessarti? I raid del Pakistan in Iran, avvenuti in risposta ad analoghe azione di Teheran contro Islamabad, hanno aggiunto in medio oriente ulteriore tensione. Si guarda con sospetto anche a quello che può accadere in Libano, qui dove l’Italia potrebbe giocare un ruolo di primo piano su richiesta degli Usa.
Il timore per un’escalation regionale in medio oriente appare sempre più marcato. Dopo i raid di Usa e Gran Bretagna sullo Yemen, con gli Houthi come obiettivo, è arrivata la volta delle mosse dell’Iran. Teheran lunedì scorso ha lanciato almeno quattro missili e un drone sull’area del consolato statunitense di Erbil, capoluogo del Kurdistan iracheno. Circostanza che ha allarmato molti analisti: un’azione del genere infatti, potrebbe suscitare un’ulteriore reazione di Washington.
Martedì invece le forze iraniane hanno preso di mira obiettivi più a est. Missili lanciati dal Belucistan iraniano sono caduti nel confinante Belucistan pakistano. Secondo quanto dichiarato dalle stesse autorità di Teheran, gli ordigni sono stati puntati contro basi del gruppo islamista Jaish al-Adl. Giovedì è arrivata la risposta del Pakistan, con l’aviazione di Islamabad che ha preso di mira il Belucistan iraniano bombardando basi di una fazione terrorista ricollegabile agli indipendentisti beluci. Anche se Teheran e Islamabad non sono arrivati a contatto diretto, le schermaglie preoccupano e non poco. Rappresentano un altro grande tassello nel sempre più frastagliato mosaico del medio oriente.
La nuova fonte di tensione in medio oriente: la crisi tra Iran e Pakistan
Al momento la crisi è circoscritta in una specifica area, quella del Belucistan. Una vasta regione a cavallo di Iran, Pakistan e Afghanistan abitata in massima parte dai beluci. Questi ultimi rappresentano una minoranza etnica in tutti e tre i Paesi in questione: in Iran costituiscono lo zoccolo duro della comunità sunnita, circostanza non certo vista di buon occhio dalla teocrazia sciita al potere a Teheran, in Pakistan invece i beluci appartengono alle minoranze iraniche. I confini che percorrono il Belucistan, come spesso capita in medio oriente, sono in gran parte figli dell’era coloniale.
Per cui molti beluci non riconoscono le frontiere iraniane e pakistane, considerando invece l’area come parte di un’unica regione. Circostanza che non ha mancato in passato di generare tensioni tra Iran e Pakistan. Ma adesso la situazione si è fatta ancora più seria. Gli iraniani sono dell’idea che nel Belucistan si nascondano le basi usate dai terroristi per colpire il proprio territorio. Un’idea solidificatasi poi dopo l’attentato che, il 3 gennaio scorso, ha ucciso più di 80 persone durante le commemorazioni del generale Soleimani. Zahedan, capoluogo del Belucistan iraniano, viene considerato come un centro molto sensibile sul fronte della sicurezza per via di sospette attività terroristiche.
I generali iraniani, nel colpire i gruppi islamisti, hanno quindi deciso di non considerare la frontiera che passa dalla regione dei beluci. Teheran ha così bombardato in pieno territorio pakistano, suscitando come prevedibile le istantanee ire di Islamabad. Dopo esattamente 48 ore, l’aviazione del Pakistan ha dato vita a una risposta esattamente simmetrica: gli aerei pakistani si sono alzati in volo per colpire bersagli terroristici al di là del confine, in pieno territorio iraniano.
I due Paesi quindi non sono entrati a contatto diretto. Il timore è che potrebbero farlo presto. Da Pechino, i funzionari della diplomazia cinese si sono messi subito a lavoro: la Repubblica Popolare ha ottime relazioni sia con l’Iran che con il Pakistan, l’obiettivo è scongiurare altre reciproche ritorsioni. Ma c’è anche chi fa notare come la risposta pakistana sia stata fin troppo simmetrica. Con Teheran che nell’area del Belucistan, nelle ore del bombardamento, non aveva attivato le difese aeree. Il sospetto di un’azione coordinata o “telefonata” sta quindi prendendo piede nelle cancellerie internazionali. Del resto, entrambi i Paesi hanno bisogno di scaricare all’esterno le tensioni interne senza però arrivare a un’escalation: in Pakistan si vota a breve e in Iran i problemi economici alimentano malcontento, alcuni razzi sparati all’estero potrebbero tornare comodo a entrambi i governi.
I timori lungo l’asse tra Iraq e Libano
Di razzi l’Iran ne ha lanciati diversi anche più a est del suo territorio. Lunedì le sirene di allerta aerea hanno risuonato attorno il consolato Usa di Erbil. Una città quest’ultima strategica per le forze statunitensi stanziate in Iraq: qui ci sono importanti basi e qui il governo di Washington ha la possibilità di dialogare con il governo della regione autonoma curda, un vero e proprio Stato nello Stato dentro i confini iracheni.
Dopo le almeno cinque esplosioni che hanno interessato la zona della rappresentanza diplomatica, le guardie rivoluzionarie da Teheran hanno rivendicato l’azione. Non c’è quindi stato alcun dubbio sulla matrice del bombardamento. Altre simili operazioni sono state ripetute nella serata di giovedì. Missili iraniani sono arrivati anche in Siria, lì dove nel mirino sono finte alcune presunte basi dell’Isis tra le province di Aleppo e Idlib.
Al momento da Washington non sono arrivate risposte. Il timore principale riguarda adesso però un altro Paese della cosiddetta “mezzaluna sciita”, ossia il Libano. Da un lato, i raid iraniani potrebbero spingere gli alleati degli Hezbollah a essere più coinvolti nella guerra regionale. Le milizie sciite inoltre, da giorni subiscono raid e bombardamenti da parte israeliana. Una situazione quindi incandescente e potenzialmente in grado di far aprire, tra il nord di Israele e il sud del Libano, un nuovo fronte.
Il possibile ruolo dell’Italia
In questo contesto a entrare in gioco potrebbe essere il nostro Paese. La diplomazia Usa, secondo i resoconti emersi dalla stampa statunitense nelle ultime settimane, è interessata affinché l’onda dell’escalation non arrivi definitivamente tra Libano e Israele. Così come ricostruito venerdì sul Corriere della Sera, l’inviato speciale della Casa Bianca, Amos Hochstein, nei giorni scorsi si è recato a Roma per un incontro con il presidente del consiglio Giorgia Meloni.
I due avrebbero conversato per circa un’ora tra le stanze di Palazzo Chigi. Prima di partire alla volta di Beirut, l’inviato di Joe Biden avrebbe chiesto all’Italia un’opera di mediazione tra gli israeliani e i miliziani degli Hezbollah. Secondo Washington, la diplomazia italiana può essere decisiva soprattutto per il suo ruolo nell’ambito della missione Unifil, l’operazione dell’Onu che prevede una linea di divisione e interposizione presidiata dai caschi blu tra il territorio libanese e quello israeliano.
Roma fornisce alla missione il contingente più numeroso e, nel corso degli anni, ha coltivato e maturato legami con i vari attori che operano nel territorio, Hezbollah compresi. Dunque, l’Italia avrebbe le carte in regola per un lavoro di mediazione e anche per mandare avanti un possibile piano, redatto da Usa e Francia, che prevede l’allargamento della zona di cuscinetto tra lo Stato ebraico e il Paese dei cedri.