Perché questo articolo potrebbe interessarti? Il governo Meloni sembra essere intenzionato a non rinnovare l’adesione alla nuova via della Seta cinese. Considerando che la Cina è ben radicata in Africa, l’Italia avrebbe potuto sfruttare la sua posizione per incrementare la cooperazione con Pechino nel continente africano. Nel tentativo di limitare i flussi di migranti verso l’Europa.
L’emergenza migranti non si ferma. L’Italia continua ad essere alle prese con un fenomeno impossibile da arginare, tanto più senza un concreto sostegno a livello europeo. L’ultima mossa da Bruxelles per frenare le partenze dall’Africa coincide con la fumata bianca sull’accordo sul regolamento di gestione delle crisi, uno dei pilastri del Patto migrazioni e asilo dell’Ue.
In attesa di capire se e quando questo piano porterà gli effetti sperati, vale la pena interrogarsi sulle possibili alternative. Una su tutte: lavorare di sponda con la Cina, un soggetto che in Africa è presente da decenni. Lavorarci, va da sé, per creare migliori condizioni economiche in loco, tali da convincere le persone a restare nel continente.
“La Cina potrebbe essere l’interlocutore privilegiato per l’Europa in Africa. Anche per l’Italia, e questo indipendentemente dall’uscita o meno di Roma dalla via della Seta. I governi africani sono molto diffidenti nei confronti degli europei in virtù del colonialismo del passato. Pechino ha un approccio diverso e potrebbe svolgere un ruolo di trait d’union tra i due mondi, anche in materia migratoria”, ha spiegato a True-news.it Daniela Caruso, professoressa di Chinese studies presso l’Università Internazionale per la Pace (Upeace) di Roma.
Un interlocutore per i migranti
L’Italia, che ufficialmente non è ancora uscita dalla Nuova Via della Seta, sta però pensando di non rinnovare la sua adesione al Memorandum of Understanding relativo al progetto cinese. Una decisione del genere si rivelerà un autogol?
Al netto delle valutazioni di natura macro economica e geopolitica, è interessante capire se la retromarcia di Roma potrà trasformarsi in una mancata occasione di cooperazione con la Cina per arginare l’immigrazione dall’Africa. Già, perché un conto è collaborare facendo parte della Bri, un altro farlo da una posizione “meno privilegiata” in termini diplomatici.
“Il punto è che l’autogol lo stiamo facendo in Africa a prescindere dalla Cina. I popoli africani faticano a fidarsi di noi, intesi come europei e occidentali. Le vicende del passato sono impresse nel loro dna. Significa che quando hanno a che fare con l’Occidente partono col presupposto che ci sia qualcuno che voglia prendersi gioco di loro”, ha commentato Caruso.
E la Cina, invece, perché è più accettata dai governi africani rispetto agli europei? “Senza fare infinite digressioni storiche, fin dal suo arrivo in Africa non sono seguiti massacri, stermini o cannoniere. I rapporti tra le parti sono subito stati molto amichevoli”, ha aggiunto Caruso. C’è poi un altro punto da sottolineare. Ovvero che la Cina, essendo un paese comunista, anche quando era povera, ha sempre supportato l’Africa. “Nella sua pianificazione politica hanno sempre trovato ampio spazio i Paesi in via di sviluppo, compresi quelli dell’Africa compresa”, ha chiarito la professoressa.
In virtù di tutto questo, si capisce perché la Cina avrebbe le credenziali di assumere il ruolo di interlocutrice tra i governi africani diffidenti e quelli europei desiderosi di arginare i flussi migratori provenienti dal continente.
Il ruolo della Cina in Africa
Nel medio-lungo periodo, respingere le navi e assistere alle accuse incrociate dei leader europei sulle quantità di migranti da accogliere, non risolverà il problema alla radice. Per provare a risolverlo, almeno in parte, sarà semmai doveroso intervenire direttamente in Africa. Proponendo accordi con le amministrazioni locali e dirottando nella regione investimenti strategici. Il tutto nella cornice di un piano a livello europeo.
“La Cina, ripeto, ha tutto per essere l’interlocutore privilegiato tra questi due mondi. La loro storia e il loro approccio con l’Africa sono diversi rispetto a quelli europei. Certo, l’Italia non ha alle spalle un retaggio colonialista, tranne che per un breve periodo, ma siamo comunque identificati in un Occidente aggressivo”, ha chiarito Caruso. Da qui l’ipotesi di fare leva sulla Cina per sfruttarla come canale africano. “Non vedo tuttavia questa apertura mentale nella programmazione politica italiana. E neppure a livello europeo”, ha spiegato ancora l’esperta.
Nessun Paese occidentale, del resto, ha intenzione di investire in Africa le stesse enormi cifre movimentate dalla Cina. “Non solo. La Cina ha capito che la maggior parte dei governi africani non è in grado di portare avanti determinati progetti. Molti di quelli che sono falliti, hanno fatto questa fine a causa di una pessima gestione locale. Ebbene, Pechino ha cambiato politica iniziando ad investire sulla formazione, anche manageriale, delle persone. L’Europa, invece, non non sembra avere in cantiere una visione tale per imbastire qualcosa del genere”, ha concluso Caruso.