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Orban leader reazionario? Soprattutto molto furbo…

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Perché leggere questo articolo: Orban reazionario? Meglio dire nazionalista e conservatore. Scopriamo l’agenda di un leader furbo capace di unire retorica e mosse concrete per i suoi fini politici

La visita di Giorgia Meloni in Ungheria ha suscitato critiche da parte dell’opposizione per il fatto che la premier ha promosso una nuova sintonia con Viktor Orban, il premier in carica dal 2010, più longevo leader europeo dopo l’uscita di scena di Angela Merkel. Orban è stato più volte presentato come l’uomo nero d’Europa, un reazionario antidemocratico. Spesso nel giudizio della sua persona, diverse definizioni politiche si sono sovrapposte rendendo poco chiaro il giudizio sul furbo discepolo di George Soros tramutatosi in icona del conservatorismo europeo.

Orban e i migranti

Partiamo dal dato con cui Meloni è stata criticata dall’opposizione di sinistra in Italia. Parliamo del fatto che Orban è presentato dalla Meloni come uno stretto alleato ideologico, salvo poi mettere in difficoltà Roma nell’agenda comunitaria sui migranti. Un fatto non nuovo e che Matteo Salvini, da Ministro dell’Interno del governo Conte I, ha dovuto sperimentare. Orban si oppone da tempo a ricollocamenti e rifugiati, e in sostanza la sua posizione è decisamente diversa da quella italiana.

Ma questo basta a definirlo “reazionario”? Le mosse compiute negli ultimi anni sono state dure e controverse, ma tutt’altro che isolate dal resto del contesto europeo.

La retorica di Orban sui migranti

Durante la crisi migratoria europea del 2015, Orban ha ordinato l’erezione di una barriera alla frontiera tra Ungheria e Serbia per bloccare l’ingresso di immigrati clandestini e l’applicazione del Trattato di Dublino da parte di Budapest. La barriera è stata criticata da gruppi di difesa dei diritti umani e da osservatori internazionali, che l’hanno definita un ostacolo al diritto alla libertà di movimento.

Nel 2016, il governo ha approvato una legge che ha reso più difficile per i richiedenti asilo ottenere asilo in Ungheria. Il governo ha promosso una retorica anti-migrante, definendo i migranti una minaccia per la sicurezza e l’identità nazionale ungherese. Ma in larga parte si è trattato, va detto, di uno specchietto per le allodole. Orban, a parte il boom della rotta balcanica del 2015, ha sempre fatto retorica politica a costo zero parlando di migranti che – quasi mai – avrebbero anche lontanamente intenzione di recarsi in un Paese come l’Ungheria.

La chiusura delle frontiere da parte del governo di Fidesz, il partito di Orban, può legittimamente non piacere. Ma si può distinguere Orban, ad esempio, dal progressista Pedro Sanchez che nulla ha fatto per fermare il muro di Ceuta? O la sua ostilità ai ricollocamenti dal cinismo dimostrato in queste settimane da Francia e Germania verso l’Italia? Difficile trovare un’eccezione ungherese.

Il caso Lgbt

Un altro tema su cui si accusa Orban di derive reazionarie è il fronte del contrasto ai diritti Lgbt. Su questo fronte è bene porre alcuni paletti: il governo ha – effettivamente – fin dal 2012 abolito i matrimoni tra persone dello stesso sesso nel Paese. La legge sul matrimonio, che definisce il matrimonio come l’unione tra un uomo e una donna, approvata nel 2011, ha impedito alle coppie dello stesso sesso di sposarsi in Ungheria. E rappresenta forse il portato più vicino al concetto di “reazione” nell’agenda di Orban.

Nel 2018, il governo ha approvato una legge che ha reso più difficile per le organizzazioni non governative ricevere finanziamenti da fonti straniere. Questa legge è stata criticata perché ha ostacolato il lavoro delle organizzazioni che si occupano di diritti umani e libertà civili. Nel 2019, il governo ha vietato la propaganda Lgbt nelle scuole e nei media. Questa legge è stata criticata perché ha portato alla censura di eventi e programmi Lgbt.

“Partner registrati”: così gli Lgbt hanno diritti in Ungheria

Alla prova dei fatti, però, non è stato mai abolito il meccanismo pre-esistente che consente a persone conviventi, a prescindere dal sesso di appartenenza, di registrarsi come “partner registrati” (Bejegyzett élettársi kapcsolat) in Ungheria. I “partner registrati” hanno diritto agli stessi diritti di successione e proprietà, pensione di reversibilità, benefici fiscali , benefici sociali e diritti di immigrazione e naturalizzazione dei coniugi sposati.

I partner hanno inoltre il diritto di ricevere informazioni sullo stato di salute del proprio partner e di prendere decisioni mediche se il partner non può farlo da solo (ad esempio in caso di incidente), sono trattati come parenti prossimi dal punto di vista penale e sono protetti dalla violenza domestica. L’unica differenza è sul tema dell’adozione e dell’inseminazione artificiale, a cui non hanno accesso. Anche su questo fronte, l’accento retorico, per quanto su molti fronti inaccettabile agli occhi di un osservatore italiano, appare ben più pesante del dato politico reale.

Nazionalismo e conservatorismo nel mix politico di Orban

Il vero ruolo decisivo delle politiche di Orban è però quello delle politiche della famiglia e della revisione istituzionale dello Stato. A cui si collegano, inoltre, una politica estera decisamente autonoma e la volontà di presentarsi come portavoce di una nuova visione ideologica. Qui Orban, più che reazionario, è definibile come nazionalista e conservatore.

In un celebre discorso del 2014, Orban ha teorizzato la “democrazia illiberale”, un modello politico che, a suo dire, è necessario per preservare l’identità nazionale ungherese. Secondo Orban, la democrazia liberale, con la sua enfasi sui diritti individuali e la separazione dei poteri, ha portato alla decadenza dell’Occidente. La “democrazia illiberale”, invece, si basa su una visione più organica della società, in cui lo Stato ha un ruolo centrale nel promuovere l’interesse nazionale.

Nel 2011, il governo ha approvato una nuova Costituzione che ha rafforzato i poteri del Parlamento e del primo ministro. Inoltre, il governo ha riformato il sistema giudiziario, smantellando l’indipendenza della magistratura. Sul fronte economico, Orban ha favorito la defiscalizzazione del Paese, attraendo imprese dall’estero, ma ha mantenuto l’Ungheria nel solco della tradizionale via di sviluppo a colpi di finanziamenti europei.

Le politiche sulla famiglia

La partita più importante, e quella a cui Meloni guarda maggiormente, è però quella su natalità e demografia. Come scritto su Inside Over, “per ovviare alla mancanza di forza lavoro nel settore manifatturiero il governo Orban” da diversi anni “sta cercando di incentivare le famiglie a fare più figli per far crescere la popolazione ungherese. Le misure di Budapest a favore della natalità sono chiare ed evidenti: niente tasse a vita delle tasse a partire dal quarto figlio, prestito di 32mila euro per le donne sposate e altre agevolazioni varie sui mutui”.

Politiche di welfare a cui si aggiungono, di recente, altri investimenti concreti. Le famiglie con due figli hanno a partire da quest’anno sussidi da 3.150 euro dati dallo stato per comprare casa e altri 12.580 dopo il terzo. Inoltre, la famiglia riceverà altri 3mila euro ogni nuovo nato e tra il 2018 e il 2022 sono stati creati oltre 22mila nuovi posti per i neonati negli asili nido.

Queste politiche possono sottendere un’ansia demografica notevole: ma del resto, l’Ungheria ha perso tra denatalità e emigrazione quasi il 10% della popolazione dalla fine del comunismo. Gli ungheresi erano 10,6 milioni nel 1990 e sono oggi solo 9,7. Negli ultimi quindici anni, la natalità in Ungheria è sicuramente salita: da 1,23 siamo passati mediamente a 1,56 figli per donna. Bisognerà aspettare anni per capire, però, se le politiche di Orban siano state la causa di questa svolta. O se parliamo di un trend generale dell’Est Europa, dopo la fase di declino demografico per la crisi economica degli Anni Novanta. Ad esempio, in Repubblica Ceca, Paese ove il welfare è assai meno generoso, la natalità è salita da 1,29 a 1,71 figli per donna.

Orban, furbo e destinato a durare

Il nodo decisivo delle politiche di Orban, insomma, è la loro furbizia. Capaci di interpretare paure e timori della società ungherese e di farsi sistema. Orban ha puntato a dare un ordine all’Ungheria passata dal comunismo al caos delle privatizzazioni e del neoliberismo Anni Novanta. Ha riscoperto nazionalismo e patriottismo come un volano politico. Al contempo, si è fatto alfiere dei valori tradizionali in forma retorica e strumentale.

Un’agenda machiavellica, che ha sicuramente affascinato i leader sovranisti e conservatori di tutta Europa. Ma che è troppo ambivalente per esser definita, in fin dei conti, “reazionaria”. Piuttosto, è uno strano amalgama di visioni conservatrici di varia portata unite a enfasi retorica su questioni-bandiera. In un clima di campagna elettorale permanente e di ricerca del nemico in cui Orban sguazza. Essendo dunque destinato a durare, non apparendo all’orizzonte sfidanti capaci di insediarlo.