A che punto è la corsa dell’Italia a mettere a terra il “Piano Mattei” promosso da Giorgia Meloni per i rapporti Italia-Africa? Il sistemico progetto di inter-relazione tra Roma e il continente africano annunciato già a fine 2022 e strutturato nel 2023 dall’attuale esecutivo, intitolato alla memoria del fondatore dell’Eni, sta via via prendendo forma. Più come processo che come progetto, viene da dire.
Che cos’è davvero il Piano Mattei
Esiste una cabina di regia, ampissima per il Piano Mattei; esistono risorse, esistono strutture operative alla Farnesina e non solo che vi lavorano. Ma un “Piano Mattei” messo nero su bianco non c’è, e probabilmente mai esisterà: esiste una strategia, una visione generale, una comunione d’intenti in un progetto saldamente in mano alla Presidenza del Consiglio.
Da questo fatto derivano sia le forze che le debolezze del processo. Su quest’ultimo fronte, si può analizzare come dentro il Piano Mattei possa esser fatto rientrare di tutto, qualsiasi questione inerente il rapporto tra Italia e Africa, e al contempo la legge di fine 2023 contenente “disposizioni urgenti” per avviare il Piano Mattei non prevede coordinamento con i grandi piani europei, come Global Gateway, e stanzia poche centinaia di migliaia di euro per consolidare le strutture preposte a supervisionare sui rapporti italo-africani.
La forza politica del Piano Mattei
Al contempo, però il Piano Mattei può beneficiare della forza propulsiva della legittimità politica e dell’emersione di una scala di priorità ad esso legate nel governo Meloni. E questo, per una tematica di politica estera, può far la differenza perché un piano possa o meno diventare una strategia. Nei fatti, il Piano Mattei sarà la sommatoria delle iniziative avviate congiuntamente da Italia e Paesi africani a partire dal primo summit congiunto di gennaio. Sarà poi la strada, per così dire, a fare selezione indicando tra i Paesi del continente quelli più confacenti.
Nel frattempo l’espansione del business as usual rafforza le prospettive di analisi. Sicuramente sono cornice del Piano Mattei le attività delle imprese italiane in Stati come Algeria (sul gas), Egitto (energia e infrastrutture) e zona sub-sahariana (soprattutto sulle rinnovabili)). Ma da questo possono nascere ulteriori prospettive. Ad esempio, alla recente riunione del G7 industriale a Verona, nota Il Riformista “la presidenza italiana aveva proposto e ottenuto di inserire nella dichiarazione dei 7 la realizzazione di un Hub per lo sviluppo sostenibile dell’Intelligenza artificiale in Africa. L’Hub sorgerà in Italia ma sarà rivolto ai paesi africani. Servirà a fare da collettore di sinergie tra i paesi e consentirà agli stati africani coinvolti nel progetto di accedere a software e tecnologie italiane per sviluppare progetti di AI nei loro paesi. Uno di questi, o comunque il primo a dirsene interessato, è l’Egitto”.
La presenza militare in Africa
Resta poi da capire come si sovrapporrà il Piano Mattei con le altre strategie geopolitiche e diplomatiche dell’Italia nel continente africano. La presenza militare di Roma nel Golfo di Guinea per la lotta alla pirateria, nel Mar Rosso con Aspides, a Gibuti con la sola base permanente all’estero delle nostre forze armate e in Niger come ultimo baluardo della presenza occidentale nel Paese governato da una giunta golpista danno una struttura di hard power all’azione di Roma in Africa. Da bilanciare con cura in un progetto che può e deve essere fatto avanzare in sinergia con gli africani. Non dando la prospettiva, invece, di un rapporto neo-coloniale. Il vantaggio dell’Italia è che Roma può, rispetto a Francia e Regno Unito, avere credibilità in tal senso. Compito e dovere del governo è non gettarla al vento.