Perché leggere questo articolo: Nel deal Kkr-Tim c’è tanta economia e tanta geopolitica. La scelta di campo pro-Usa di Meloni va di pari passo con gli obiettivi americani sui cavi sottomarini. L’ex direttore della Cia in Kkr dà qualche indizio a tal proposito…
Il governo Meloni ha dato semaforo verde all’operazione di passaggio di mano della rete di Tim e formalizzato l’alleanza tra il Ministero dell’Economia e delle Finanze e il gigante Usa Kkr. Destinato a diventare primo azionista di NetCo, la società a cui Telecom conferirà la rete primaria (che dalla centrale va agli sportelli in strada), della rete secondaria (quella che dagli hub in strada entra nelle case degli utenti) e dei cavi sottomarini di Sparkle in asse con una presenza segnaletica e operativa di un attore nazionale. Il Mef stesso, o Cassa Depositi e Prestiti in alternativa, a garantire l’applicazione del perimetro del golden power sulla rete e una voce in capitolo nelle scelte strategiche.
Kkr-Tim tra economia e geopolitica
Quando il 28 agosto il Consiglio dei Ministri si riunirà e, verosimilmente, tramite Dpcm sarà ufficialmente sanzionata l’approvazione all’offerta di Kkr valutata tra i 21 e i 23 miliardi di euro il governo aprirà alla conferma di una netta scelta di campo. Destinata a rafforzare la dorsale transatlantica delle relazioni internazionali che punta verso un rapporto privilegiato negli spazi strategici e securitari tra Italia e Usa. Alla Tim a guida francese con Vivendi primo azionista, a cui il centrodestra da tempo voleva controbattere l’idea di una nazionalizzazione o di un passaggio di quote sostanziale in mano italiana, si sostituirà un’organizzazione duale.
Da un lato Telecom Italia resterà come società autonoma nel suo attuale azionariato, ma conferirà la componente più pregiata a Kkr, fondo di private equity americano di fronte alla cui ascesa ogni discorso sulla riconquista tricolore della rete viene profondamente annacquato. Ubi maior, minor cessat: la mossa di Kkr, colosso che gestisce oltre 400 miliardi di dollari di asset e partecipazioni in tutto il mondo ha valenza economica e anche strutturalmente geopolitica. Un nome legato al fondo guidato da Henry Kravis e George Roberts, co-fondatori assieme allo scomparso Jerome Kohlberg, basta per tutti: quello del generale David Petraeus.
Il ruolo del generale Petraeus in Kkr
L’ex comandante delle forze americane in Iraq (2007-2008) e Afghanistan (2010-2011) e direttore della Cia tra il 2011 e il 2012 ai tempi dell’amministrazione Obama è infatti partner di Kkr e suo alto dirigente. Petraeus è dal 2013 presidente del Kkr Global Institute, l’organizzazione del fondo americano che si occupa sia di studi sugli scenari globali che di attività di servizio e lobbying per l’espansione del business aziendale.
L’ibridazione delle sfere della finanza d’affari e della sicurezza nazionale non è una novità negli States e la presenza di una figura come Petraeus, recatosi a Roma in alcune occasioni in questi ultimi due anni, è ben più che segnaletica in Kkr. La cui alleanza col Tesoro di Giancarlo Giorgetti, politico ben visto a Villa Taverna e negli ambienti Usa, apre a uno scenario strategico positivo per gli Usa. Che tramite NetCo possono avere una crescente influenza sul sistema di rete di Tim in un contesto in cui la competizione tecnologica con i rivali extra-occidentali, aziende cinesi in testa, è sempre più attiva. Dalla partita per lo sviluppo del 5G a quelli per i nuovi investimenti di rete, ci sarà una voce americana nella scelta delle priorità per le telecomunicazioni italiane.
Kkr-Tim: il nodo Sparkle e la “guerra” dei cavi sottomarini
La questione cardine, in quest’ottica, sono in ogni caso i cavi sottomarini, sul cui sviluppo Sparkle, partecipata di Telecom, è una delle big italiane assieme a Prysmian, partecipata da Pirelli e dunque controllata indirettamente dai cinesi di SinoChem. Come avevamo previsto su queste colonne, il tema dei cavi sottomarini ha agitato apertamente il discorso economico-strategico italiano come perno di nuovi equilibri e rotte geopolitiche. Controllare i cavi sottomarini significa blindare la protezione dei flussi dati più importanti e strategici. E per gli Usa è questione vitale di sicurezza nazionale che la dorsale mediterranea che punta all’Oceano Indiano, al Medio Oriente e all’Africa passando dallo snodo della Sicilia (Sicily Hub) possa essere gestito da attori amici.
Il passaggio di Sparkle in NetCo assieme al resto della rete acquisita da Kkr in quest’ottica mette Washington al sicuro. La visione di una figura di peso come Petraeus e di altri super-consulenti di Kkr come l’ex premier australiano Malcolm Turnbull, a sua volta molto attento a contrastare l’assertività cinese nei suoi mandati, si rivede nella ratio politica di una scelta approvata da Roma.
Roma sceglie gli Usa rispetto alla Francia
Al cospetto di Washington, dunque, il governo Meloni ha ridimensionato le sue pretese su una rete pienamente sovrana e nazionalizzata. C’entrano ragioni tecniche e operative come la difficoltà per il Mef di stanziare una somma tale da coprire l’intera offerta, ma anche la netta e decisa insistenza dell’investitore Usa. A cui l’esecutivo ha dato semaforo verde mostrando di preferire una rete in mano americana a un’equivalente situazione di controllo francese sulla società-guida dell’infrastruttura. E questo dice molto anche delle schermaglie tra Usa e Europa su temi come la sovranità digitale e tecnologica e gli approcci alle grandi potenze non occidentali.
Washington punta sull’Italia, nazione più allineata. E nella gestione della sovranità limitata sulle grandi questioni, questo è un punto su cui Roma deve adeguatamente riflettere. Capendo come, sul profilo economico e politico, lucrare da una scelta di campo che non deve però portare altrove i centri decisionali sulle grandi questioni del Paesi. E lo sviluppo tecnologico e industriale del Paese, basato sull’ex monopolista pubblico, appartiene sicuramente a questa sfera.