Perché questo articolo potrebbe interessarti? Antonio Tajani è volato in Cina per chiarire la posizione dell’Italia in merito alla Nuova Via della Seta. Il ministro avrebbe dovuto mettere in atto una exit strategy soft per consentire a Roma di fare un passo indietro sulla Belt and Road. Il tutto senza alterare Pechino. Ha invece commesso qualche passo falso di troppo, rischiando di generare effetti indesiderati.
È atterrato in Cina per preparare l’uscita dell’Italia dalla Belt and Road Initiative (Bri). Ma ha sottolineato chiaramente che Roma sostiene il dialogo con Pechino e intende aumentare le esportazioni oltre la Muraglia. Antonio Tajani ha spiegato che il governo italiano sta “valutando la partecipazione alla Via della Seta”, sottolineato però che intende rafforzare l’accordo di cooperazione forzata con il Dragone.
“Continueremo a lavorare dal punto di vista economico, industriale, commerciale con la Cina”, ha dichiarato il vicepremier e ministro degli Esteri italiano, durante una visita alla Città Proibita. Se tutto questo lascia ben sperare in vista delle future relazioni italo-cinesi, allo stesso tempo l’inviato di Giorgia Meloni ha effettuato almeno due errori evitabili. Che potrebbero generare effetti indesiderati nei rapporti con il gigante asiatico, soprattutto nel lungo-medio periodo.
I tweet di Tajani
Il primo errore che ha fatto storcere il naso agli alti funzionari del governo cinese coincide con il primo tweet pubblicato da Tajani appena sbarcato in Cina. Il cinguettio riporta quattro foto e una didascalia inequivocabile. “Appena arrivato in Cina ho voluto partecipare alla Messa nella bella Cattedrale del Nord a Pechino. Inizio la visita, sottolineando i nostri valori: il dialogo e il rispetto della libertà religiosa sono alla base della nostra civiltà e il fondamento della convivenza pacifica”, si legge nel messaggio postato dal ministro italiano.
È lecito supporre che Tajani volesse inserirsi sulla scia di Papa Francesco, che dalla Mongolia aveva lanciato, poche ore prima, segnali di apprezzamento alla Cina, facendo leva sulla sfera religiosa e proprio sulla convivenza pacifica.
Il punto è che l’ospite italiano ha calcato troppo la mano, sottolineando in maniera abbastanza esplicita la differenza valoriale che sussiste tra l’Occidente e la Repubblica Popolare Cinese. Il tutto, pare, prima di incontrare ministri e funzionari. E quasi a voler evidenziare una certa superiorità occidentale.
“La missione non inizia con le migliori premesse”, hanno spiegato a True-news fonti vicine a Pechino. Non era difficile immaginarlo, visto che l’obiettivo di Tajani dovrebbe teoricamente coincidere con la ricerca di una exit strategy soft dal Memorandum of Understanding stipulato tra Italia e Cina e inerente alla Bri.
In seguito, Tajani ha aggiustato il tiro pubblicando il resoconto della sua visita presso la tomba di Matteo Ricci, “un grande italiano che, viaggiando in Cina, ha avvicinato i nostri popoli e le nostre culture”, e degli incontri con il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, e con il suo omologo Wang Yi.
Il futuro della Via della Seta
Tajani ha preso parte all’11ma sessione del comitato governativo Italia-Cina, co-presieduto con il citato Wang Yi. Ha spiegato che “l’attenzione al prodotto italiano non cambierà, indipendentemente da quelle che saranno le decisioni sulla Via della Seta“.
Preludio al dietrofront dell’Italia? Difficile dirlo, anche se tutti gli indizi sono orientati verso una risposta affermativa. “Mentre stiamo valutando la partecipazione alla Via della Seta, noi vogliamo rafforzare l’accordo di cooperazione rafforzata, quindi continueremo a lavorare dal punto di vista economico, industriale, commerciale con la Cina e anche i prodotti di lusso continueranno ad avere grande spazio nel mercato cinese”, ha aggiunto il ministro italiano.
Tajani ha chiarito che l’Italia intende avere relazioni positive con la Cina, definita un “mercato di grande opportunità”. Sulla Via della Seta sarà “il Parlamento che dovrà fare una valutazione e poi decidere se rinnovare o meno la nostra partecipazione a questo progetto”. Qualunque sarà la decisione, ha assicurato l’inviato di Meloni, questa “non pregiudicherà gli ottimi rapporti che abbiamo con la Cina”.
I prossimi passi
Per smarcare Roma dalla Bri è però necessario non commettere scivoloni diplomatici. Ad esempio, Tajani ha più volte ribadito che la Via della Seta non avrebbe portato alcun vantaggio all’export italiano oltre la Muraglia. Salvo poi, davanti al ministro cinese del Commercio, cambiare versione e affermare che Italia e Cina hanno “un interscambio in crescita“.
Per quanto riguarda il futuro della Bri, Tajani ha auspicato l’apertura di una nuova stagione per il Partenariato Strategico tra i due Paesi. Pechino si accontenterà di questo? Il quotidiano Global Times ha scritto che l’Italia “cerca cooperazione e dialogo” e che l’uscita dell’Italia dalla Via della Seta “non dovrebbe avere un impatto fondamentalmente dannoso per le relazioni bilaterali”.
In attesa di saperne di più, entro la fine dell’anno ci saranno altri viaggi di rilievo. Dovrebbero volare in Cina il ministro della Ricerca e Università, Anna Maria Bernini, e quello del Turismo, Daniela Santanché. Seguite da Meloni, che entro la fine dell’anno dovrà spiegare a Xi Jinping la posizione dell’Italia sulla Bri, e da Sergio Mattarella. L’ultimo jolly giocato da Roma per salvare il salvabile.