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Ucraina, la guerra all’ultimo atto?

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La guerra russa in Ucraina sembra essere entrata nella fase conclusiva, malgrado obiettivi e intenzioni precedentemente propagandati dalle parti, impegnate, da quasi tre anni, sul campo di battaglia.

Il “pantano ucraino”, a prescindere dalla guerra psicologica e dalla propaganda di rito, si è rivelato un incubo tanto per la Russia quanto per le forze occidentali a sostegno della difficile causa ucraina. In altri termini, una guerra che, a conti fatti, non può essere vinta né dalla Russia né dall’Ucraina, stremata e da sempre dipendente dagli aiuti occidentali. Una guerra che, progressivamente, da “blitzkrieg russo”, si è configurata come la più classica delle guerre di logoramento sullo scivoloso e sempre insidioso suolo europeo.

Ogni guerra europea è una sfida complessa

Una lettura grossolanamente “manicheistica” del conflitto, tanto diffusa da certa stampa e non solo, appare, su un piano prettamente tecnico, oltremodo ingenua e insostenibile, giacché ogni conflitto combattuto in Europa, storicamente parlando, si è rivelato molto più complesso delle narrazioni ideologiche di rito, soprattutto alla luce degli effetti scatenati. Gli scenari che questa guerra è destinata a schiudere non fanno eccezione e, quindi, saranno determinanti per il futuro assetto della società europea, nonché per l’ordine mondiale vigente. 

L’esito delle elezioni americane, che ha sancito il ritorno alla presidenza degli Stati Uniti d’America di Donald Trump, al momento, si rivela fattore decisamente più incisivo della lenta e “trionfante” avanzata russa nel Donbass. Lo stato di salute delle realtà impegnate sul campo di battaglia, difatti, è pessimo. 

La Russia e l’all-in sull’Ucraina

Partendo dalla Russia, che ha fatto dell’iniziale “Operazione speciale” una crociata vitale per la difesa dei valori tradizionali russo-ortodossi, i dati più interessanti riguardano la conversione dell’economia in economia di guerra, con investimenti nel settore della Difesa, previsti per il 2025, pari a poco meno di un terzo di tutte le spese dello Stato russo, ovvero un impegno intorno al 41% del bilancio statale.

Investimenti, alla lunga, destinati a impattare significativamente con il tenore di vita della popolazione civile, e decisamente inconcepibili e anacronistici per la società occidentale dalle “belle” linee somatiche “pacifiste” e comodamente “consumistiche”, da tempo esaltate. Uno stress economico, quello russo, certamente non sostenibile, senza importanti conseguenze, nel lungo corso, in prospettiva anche di nuove sanzioni europee. 

Dalla Corea del Nord alla Nato, gli occhi del mondo sull’Ucraina

L’altro dato rilevante è il coinvolgimento dell’esercito regolare nordcoreano nel conflitto, a seguito di precisi accordi di mutua difesa tra Russia e Corea del Nord, che tradisce il bisogno russo di “carne da cannone” straniera, al fine di non esacerbare ulteriormente gli animi locali per una guerra figlia di fatali errori di valutazione, che ha mietuto un numero di vittime – rigorosamente “top secret” –, talmente significativo da rappresentare, stando alle stime più affidabili, con la forza dell’evidenza matematica, un dolorosissimo fallimento rispetto ai tanti propagandati obiettivi iniziali. 

Così, l’iniziativa russa, in quasi tre anni, ha determinato l’ulteriore allargamento della NATO, con lo storico ingresso di Finlandia e Svezia; la guerra sul suolo russo, con la sofferta occupazione ucraina dell’area del Kursk; la perdita della Siria, con la caduta del fragile regime di Bashar al Assad sostenuto dagli aiuti russi; il rafforzamento militare dell’Ucraina, a oggi la realtà europea più armata, con il probabile ingresso nell’UE; l’isolamento europeo e occidentale e le discutibili alleanze di necessità con realtà asiatiche e mediorientali, dispotiche e culturalmente molto lontane dalla Russia; infine, la dolorosa e irreversibile uscita dell’Ucraina dall’area di influenza russa. A poco varranno le grida di giubilo per la conquista dei territori, sostanzialmente occupati da tempo, nel Donbass e pronti a essere sacrificati sull’altare della pace per espresso volere americano. 

Kiev, sedotta e abbandonata?

Dall’altra parte, quasi chiusi i rubinetti americani, Volodymyr Zelens’kyj è costretto a fare i conti con l’amara realtà del “sedotto e quasi abbandonato”. La rinuncia dei territori orientali, Crimea e Donbass, è ormai un fatto formalmente inevitabile, in quanto condizione imprescindibile per la chiusura della guerra e il classico sventolio della tanto agognata bandiera della pace.

Pertanto, cambiano anche i toni della propaganda, non più “piani per la vittoria”, ma dichiarazioni realistiche circa le possibilità effettive dell’esercito ucraino privato degli aiuti occidentali, oltre a stoccate sul blocco del transito, attraverso l’Ucraina, del gas russo/azero per gli europei, che tanto stanno allarmando Ungheria e Slovacchia.

Tre anni di guerra contro una realtà dalle risorse molto più importanti hanno ridotto allo stremo l’Ucraina, che, a un prezzo altissimo, è riuscita abilmente a convogliare, in difesa della propria causa, tutte le forze occidentali in una vera e propria crociata antirussa, determinando un nuovo quadro globale bipolare.

Il “risorgimento” ucraino

La rinuncia dei territori orientali è probabile che si traduca in ingenti risorse economiche per la ricostruzione, risorse così importanti da rappresentare un nuovo miracolo economico, a mo’ di Repubblica Federale di Germania. L’altra situazione, di natura geopolitica e portata storica, è il completamento del processo di “risorgimentale” europeizzazione e, quindi, di piena indipendenza dalla Russia. Quest’ultimo aspetto, alla luce di elementi storici e culturali, rappresenta la conquista più importante dell’accanita resistenza ucraina e, al contempo, un dolorosissimo ed epocale fallimento della politica di Vladimir Putin. 

La guerra che non può essere vinta e che, certamente, registrerà solo “vincitori”, ancora una volta, presenta il proprio ago della bilancia nelle scelte americane. Di fatto, la linea politica operata dal Presidente Donald Trump risulterà decisiva ai fini dell’economia del conflitto e della pace. 

Trump e il dossier Ucraina

Le ultime indiscrezioni e dichiarazioni tradiscono la volontà di chiudere una “pratica” particolarmente esosa e lontana dal sentire americano. Le modalità di chiusura, tuttavia, a prescindere dalle uscite vulcaniche e propriamente trumpiane, rappresentano la difficoltà maggiore da gestire.

Le timide “aperture” di Vladimir Putin nel discorso fiume di fine anno e in altre occasioni, unitamente a quelle di Volodymyr Zelens’kyj di uguale direzione, devono, però, fare i conti con l’eredità storica di ogni guerra sul suolo europeo e, in particolar modo, con il futuro assetto geopolitico dell’Europa orientale, dove il conflitto in oggetto, a differenze dell’Europa occidentale, è maggiormente e realmente sentito. L’Europa, con tutti gli ex paesi satelliti dell’Unione Sovietica, resta il nodo più complesso da sciogliere.

La percezione delle iniziative russe (dal 2008 a oggi) a Varsavia, Tallinn, Vilnius o Praga, per ovvie ragioni di carattere storico, non può risultare di uguale importanza a Roma, Madrid e Parigi, dove il conflitto è ormai talmente inquinato di ideologia, retorica, pacifismo e “social network” da suonare come un fastidio per l’opinione pubblica, quasi una volgare barzelletta raccontata, male, da Stati Uniti d’America e Unione Europea.

L’Europa alla prova del conflitto russo-ucraino

Invero, l’Europa occidentale dalla crociata antirussa, in un breve arco di tempo, può essere solo interessata negativamente, in pesanti termini di natura economica e rifornimenti di risorse naturali non rinnovabili. Un caso su tutti è rappresentato dalla Germania, fatalmente legata al gas russo da linee politico-economiche poco oculate e per anni adottate con una certa cecità e, in alcuni casi, anche con dolosa complicità.

Alla lunga, lo spettro della dipendenza dal gas russo, infatti, è l’arma più temibile che Vladimir Putin possa usare contro l’opinione pubblica europea occidentale, notevolmente infastidita da una guerra lunga e interminabile, i cui benefici, materialmente parlando, non esistono affatto. 

Mentre la fine della guerra, per bocca degli attori principali, è prossima, i cannoni, però, continuano a esprimersi ferocemente sia sul territorio ucraino sia su quello russo, in uno scenario che, a ben vedere, è servito, e serve, anche a testare nuove tecniche e armi, prodotto di un’avanzatissima e raffinata tecnologia al servizio della guerra.

Il mondo dopo l’Ucraina

Il fango ucraino ha manifestato potenzialità belliche impressionanti, fornendo ai tanti soggetti interessati (europei ed extraeuropei) una grande opportunità per studiare e testare la portata distruttiva degli armamenti contemporanei, destinati a impattare terribilmente sulla conduzione di tutti i futuri conflitti.

Il prepotente ritorno dell’imperialismo russo, con il tentativo di creare un nuovo ordine mondiale capeggiato da Cina e Russia; l’asse Mosca-Pechino-Teheran; la ferma linea politica di Washington, Bruxelles e Gerusalemme, in difesa nel vigente ordine mondiale, sono tutti effetti derivanti dalla realtà ucraina, dove la “guerra lampo”, poi guerra di logoramento, ha conosciuto la conversione in conflitto globale di ardua risoluzione, ossia “caos globale”.

Dopotutto, la guerra che non può essere vinta è solitamente vinta dalla propaganda bellica di tutti i principali attori in scena. L’epilogo, comunque, non è affatto scontato, giacché sovente i cannoni travolgono anche linee e prospettive politiche ottimistiche operate ai tavoli della pace, oltre ai tavoli stessi della pace.