Il prossimo 26 settembre avrà luogo l’elezione certamente più importante del continente europeo e con buona probabilità dell’anno per l’intero pianeta. La Germania torna al voto, per la prima volta dopo i sedici anni dell’era di Angela Merkel. Cosa aspettarsi dal voto, chi sarà l’erede della cancelliera? Quanto hanno inciso pandemia, crisi ambientali e scossoni politici sugli equilibri della locomotiva d’Europa? Edoardo Toniolatti, cofondatore del blog collettivo Kater sulla Germania e curatore della newsletter RESET2021 sulle prossime elezioni politiche tedesche, fornisce una guida sul voto più atteso dell’anno.
Che paese è la Germania che tornerà al voto il 26 settembre?
La Germania che andrà a votare è un Paese in cui si incrociano vecchie questioni aperte e nuove sfide. Un Paese ancora alle prese con i temi, protagonisti di ogni campagna elettorale, della digitalizzazione e della transizione energetica, e che però deve anche fare i conti con i costi della pandemia, l’ultima fase della campagna vaccinale e una questione climatica diventata ancora più pressante dopo la catastrofe delle alluvioni in Renania di metà luglio. Un Paese che, inoltre, deve affrontare un riaggiustamento epocale del proprio sistema politico, dal momento che il più formidabile fattore di stabilità del Paese, Angela Merkel, non sarà fra i candidati. In questo senso la Germania che andrà a votare il 26 settembre è un Paese con tantissime domande, che aspetta con ansia di conoscere le risposte.
A breve scatterà l’anno zero dopo 16 di era Merkel. Quale è il lascito della cancelliera nella politica tedesca ed europea e cosa pensano del suo mandato i connazionali?
Angela Merkel lascia il suo lunghissimo cancellierato ancora saldamente in testa a tutti i sondaggi di popolarità, ancora la politica più amata del Paese. I tedeschi ne hanno apprezzato soprattutto la capacità di gestire la crisi legata alla pandemia: nell’ultimo anno e mezzo Merkel è emersa come la figura più affidabile in uno scenario che ha sconvolto la Germania così come il resto del mondo. Una volta di più la sua forza è stata l’essere la Krisenzkanzlerin, la “Cancelliera delle crisi”, una crisis-manager dal talento e dall’abilità senza rivali in Europa.
E tuttavia il bilancio complessivo, come ovvio, non può essere solo ed esclusivamente positivo. Certo la pandemia ha rimesso tutto in discussione, ma da tempo in Germania si parla di Merkel-Müdigkeit, di “stanchezza di Merkel”, per descrivere una certa insofferenza che serpeggia nell’opinione pubblica nei confronti della Cancelliera in carica ormai dal 2005. Negli anni i tedeschi hanno imparato a fidarsi di Merkel, ma ne hanno anche ben conosciuto i lati meno apprezzabili: il suo continuo attendismo, il suo centrismo esasperato, il suo rifiuto a prendere l’iniziativa elevato a strategia politica fondamentale.
La Germania uscita dalle mani del suo predecessore, il Cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, da “malato d’Europa” – come era definita alla fine degli anni Novanta – si era trasformata in locomotiva del continente, vivendo una nuova stagione di formidabile crescita economica. Col tempo però i costi sociali delle riforme di Schröder sono diventati sempre più evidenti, e avrebbero richiesto una serie di aggiustamenti e sistemazioni – d’altra parte anche la locomotiva d’Europa, come ogni locomotiva, richiede una manutenzione periodica. Merkel questa manutenzione non l’ha mai fatta. E molti temono che la Germania, anche per questo motivo, si stia ritrovando scarsamente preparata per le sfide dei prossimi decenni. Un timore condiviso anche a livello continentale, visto che spesso la Cancelliera tedesca è stata considerata un fattore di conservazione dello status quo e un freno a ulteriori processi di integrazione.
Secondo lei e secondo i sondaggi, chi sarà il suo successore e con quale coalizione?
Negli ultimi mesi i sondaggi hanno avuto un andamento a ondate, con un incrocio di cali e si ascese che ha interessato soprattutto due partiti: l’Union – cioè lo schieramento conservatore composto da CDU e CSU – e i Verdi.
La fase attuale, a un mese e mezzo circa dal voto, vede nuovamente l’Union in forte calo, ben al di sotto della soglia del 30%, che per i conservatori sarebbe un risultato catastrofico. Secondo molti il principale responsabile sarebbe proprio il candidato Cancelliere e capo della CDU, Armin Laschet. La pessima gestione delle alluvioni che hanno colpito il Land di cui è governatore, la Renania Settentrionale-Vestfalia, insieme a una serie di brutte figure e gravi cadute di stile di cui si è reso protagonista nelle ultime settimane – come la sguaiata risata ripresa dalle telecamere mentre il Presidente della Repubblica Federale Frank-Walter Steinmeier dedicava un commosso ricordo alle vittime delle inondazioni – hanno accentuato ancora di più lo scarso appeal di cui gode Laschet nell’opinione pubblica tedesca.
Pochi tedeschi si fidano di lui come possibile erede di Merkel: tuttavia, numeri alla mano, risulta il candidato con più probabilità di diventare Cancelliere. I Verdi, per un breve momento addirittura prima forza nei sondaggi, sembrano ormai non poter più minacciare il primo posto dell’Union, e la loro candidata Annalena Baerbock, dopo una fase iniziale di grande entusiasmo, sta avendo grossi problemi di popolarità. Quanto ai socialdemocratici, il loro candidato Olaf Scholz, attuale vice-Cancelliere e Ministro delle Finanze, è molto apprezzato dai tedeschi, ma il partito continua a restare sotto il 20%, addirittura dietro ai Verdi. In uno scenario simile, Laschet potrebbe arrivare alla Cancelleria anche in caso di un risultato tutt’altro che esaltante nelle urne.
La coalizione di cui sarebbe a capo includerebbe quasi certamente i Verdi, ma a livello numerico sarebbe necessario un terzo partito: e qui le cose si fanno interessanti. Che strada tentare? Tirare dentro la SPD, formando così una coalizione-Kenya, dal colore dei partiti che la comporrebbero (nero, rosso, verde)? O affidarsi ai liberali della FDP, partner naturali dell’Union che però hanno da sempre un rapporto molto difficile con i Verdi, dando così vita a quella Jamaika-Koalition che sembrava cosa fatta nel 2017 prima che proprio i liberali si sfilassero?
Certo può ancora succedere di tutto. Anche che alla fine ci si ritroverà con un governo rosso-rosso-verde, composto cioè da SPD, Linke e Verdi, con questi ultimi alla guida, o una cosiddetta “coalizione semaforo”, con un accordo fra Verdi, SPD e FDP. Ma se dovessi puntare un centesimo, direi che lo scenario più probabile è che questa volta si andrà davvero in Giamaica, con i Verdi e i liberali al governo e Armin Laschet al timone.
Quale è la situazione dei partiti storicamente leader della politica tedesca, Cdu e Spd?
Per usare una metafora psicanalitica, la CDU sta ancora elaborando il lutto per l’uscita di scena di Merkel. Sono ormai tre anni che i conservatori stanno cercando un sostituto all’altezza, senza riuscirci. Prima con Annegret Kramp-Karrenbauer, erede designata costretta alle dimissioni a poco più di un anno dalla nomina, e ora con Armin Laschet, eletto proprio in quanto alfiere della continuità merkeliana che però si sta rivelando ben al di sotto dell’asticella posizionata dalla Cancelliera.
La crisi è ben evidente nei sondaggi, che con alcune eccezioni, legate soprattutto alla crisi pandemica e all’effetto di sostegno al governo che ha innescato, vedono i conservatori stabilmente sotto il 30%. E non si vedono salvatori all’orizzonte: anche figure su cui si riponevano grandi speranze, come il Ministro della Salute Jens Spahn, sono caduti in disgrazia, fra scandali vari e una campagna vaccinale lenta e disorganizzata. O meglio, un salvatore forse ci sarebbe, ma sta in Baviera e fa addirittura parte di un altro partito: si tratta di Markus Söder, leader della CSU, i “cugini bavaresi” della CDU. Söder è molto popolare in tutti i sondaggi, infinitamente più di Laschet, ma ha perso la battaglia per la candidatura alla Cancelleria. Sarà però molto interessante vedere le prossime mosse della partita fra Söder e Laschet, perché le conseguenze saranno decisive per l’equilibrio dei rapporti fra CDU e CSU e quindi per l’intero Paese.
Se la CDU piange, la SPD non ride. Il partito socialdemocratico è da anni in una crisi strutturale di cui non si vede la fine, e che molti attribuiscono agli ormai otto anni di convivenza al governo con Merkel. Questa lunghissima Grosse Koalition ha annacquato l’identità della SPD, rendendola agli occhi di molti elettori virtualmente indistinguibile dalla CDU ma meno affidabile perché sprovvista di uno (o una) Merkel. Durante la pandemia però fra i socialdemocratici si è messo sempre più in luce Olaf Scholz, il vice-Cancelliere e Ministro delle Finanze, che si è mosso molto bene nella gestione degli aiuti economici per le attività più colpite dal lockdown e ha acquisito grande popolarità nell’opinione pubblica. La sua nomina a candidato Cancelliere, l’estate scorsa, è parsa quasi inevitabile, ma la situazione disastrata in cui si trova il partito nei sondaggi rende la sua elezione praticamente impossibile. Dopo otto anni di governo insieme ai conservatori, è probabile che la SPD scelga la strada dell’opposizione per riacquistare un’identità forte e riconoscibile: ma lo stesso discorso lo si faceva quattro anni fa, e invece sappiamo com’è andata a finire.
Gli “altri” – Verdi, liberali e Sinistra – a cosa possono ambire?
Verdi e liberali hanno un obiettivo chiaro per queste elezioni: tornare al governo. I Verdi si trovano di fronte a un’opportunità storica, quella di sfondare il muro del 20%, risultato mai neanche neppure sognato, ed esprimere il Cancelliere, che in questo caso sarebbe una Cancelliera, Annalena Baerbock. Se raggiungere il 20% è un traguardo ancora ampiamente alla portata, è invece più difficile che Baerbock possa diventare Cancelliera: per questo sarebbe necessario che i Verdi superassero l’Union, un’eventualità che appare davvero poco probabile. Certo però il partito può ambire a ricoprire ruoli cruciali nel prossimo governo, di cui quasi sicuramente farà parte. Dal Ministero degli Esteri a quello dell’Ambiente, che negli anni a venire avrà un peso sempre più rilevante, i Verdi sanno di potersi fare sentire nell’amministrazione che succederà al lunghissimo quindicennio merkeliano.
I liberali della FDP stanno tornando in doppia cifra nei sondaggi dopo anni in cui erano addirittura a rischio di scendere sotto il 5% e quindi di tornare fuori dal Bundestag, il Parlamento federale. Ora hanno tutta l’intenzione di capitalizzare il consenso che probabilmente li vedrà ottenere almeno il 10% nelle urne, e che in uno scenario molto frammentato come quello post-elettorale li renderà una pedina fondamentale per la costruzione delle alleanze. È facile prevedere che il loro leader, Christian Lindner, otterrà un incarico di peso nel prossimo governo, se deciderà di farne parte.
Diverso il discorso per la Linke. La forza di sinistra continua a essere preda delle lotte interne fra moderati e radicali, e sebbene sia i Verdi che la SPD non sarebbero pregiudizialmente contrari a un accordo di governo che li includesse non è detto che l’ala moderata, quella che appunto vedrebbe con favore un ingresso in un’alleanza rosso-rosso-verde, riesca a prevalere su un’anima movimentista e radicale che è ancora molto forte.
Rimane Afd, continuerà ad essere l’elefante nella stanza? 30 anni dopo la riunificazione la Germania sta tornando ad essere un paese diviso?
I numeri di AfD nei sondaggi, soprattutto a Est, ci dicono che gli alternativi sono qui per restare, almeno anche per la prossima legislatura. Resta però anche l’ambiguità di fondo degli altri partiti nel maneggiare la faccenda: tutti si dichiarano assolutamente contrari a ogni tipo di collaborazione e denunciano il carattere profondamente antidemocratico di AfD, però tentativi di avvicinamento, a Est, ci sono stati sia da parte della CDU che della FDP. Tentativi di avvicinamento duramente criticati dalle dirigenze nazionali dei due partiti, ma che mostrano una volta di più quanto il Paese rimanga diviso, e quanto la “eccezionalità” dell’ex Germania Orientale rimanga ancora un problema di difficile soluzione. A livello politico, economico e sociale, il solco fra Est e Ovest rimane profondissimo, e ad approfittarne in questa tornata elettorale sarà probabilmente di nuovo AfD, molto più della Linke che comunque a Est rimane una forza tutt’altro che secondaria.
Con un nuovo cancelliere, la politica verso la Ue della locomotiva d’Europa potrebbe cambiare dopo il voto?
Tutto dipenderà da chi sarà il nuovo Cancelliere. Se, come credo, si tratterà di Armin Laschet, è probabile che i cambiamenti più significativi saranno nei confronti della Francia di Emmanuel Macron e del suo progetto di integrazione a trazione franco-tedesca. Laschet è molto più vicino alla Francia rispetto ad Angela Merkel, e a volte ha criticato la relativa freddezza della Cancelliera davanti alle proposte del Presidente francese.
Da un lato è possibile che Laschet, se sarà davvero lui il Cancelliere, sfrutterà la relazione privilegiata con Macron per dare una nuova sterzata all’integrazione europea, non solo in termini istituzionali e politici ma anche su questioni più operative come la politica estera comune e la sicurezza. Dall’altro però non dimentichiamoci che Laschet è un realista, come lo era Merkel, e che quindi il primo comandamento resta sempre la tutela degli interessi tedeschi all’interno del quadro comunitario condiviso.
Il discorso potrebbe essere leggermente diverso in caso di una cancelleria Baerbock, o Scholz: sia la candidata Verde che quello socialdemocratico sembrano più inclini a un maggiore investimento nell’integrazione europea, in senso più deciso da quanto emerge dal programma dell’Union e dalle dichiarazioni di Armin Laschet. Ma come detto devono succedere molte cose, alcune davvero improbabili, perché uno di loro due arrivi alla Cancelleria.