Perché leggere questo articolo? Donald Trump rieletto e Putin ancora in sella nel 2024? Per Aldo Giannuli questo è indice del caos della globalizzazione. Ma per il politologo il vero problema globale sta nella tragica incapacità delle classi dirigenti dei Paesi-guida di rinnovarsi.
“Il mondo con Donald Trump e Vladimir Putin al potere contemporaneamente? Lo abbiamo già visto. Ed è stata una conseguenza, più che una causa, del caos della globalizzazione”. Il professor Aldo Giannuli parla con True-News e legge gli scenari più complessi della geopolitica mondiale. Con le elezioni presidenziali alle porte negli Stati Uniti e la scontata ricandidatura di Putin in Russia, il sistema globale potrebbe riservare nel 2024 una convergenza simile a quella del 2016. E cioè il ritorno al potere di The Donald unitamente alla tenuta della leadership di Putin a Mosca. “Non mi unisco al coro di chi pensa che questo significherebbe una rivoluzione traumatica”, ricorda lo storico, politologo e analista geopolitico, a lungo docente alla Statale di Milano. “Il vero dato che leggo io in questa prospettiva è un altro”.
A cosa si riferisce, Professore?
“Alla tragica incapacità delle classi dirigenti dei Paesi-guida del sistema globale di rinnovarsi. Il fatto stesso che un leader come Trump, dopo il disastro para-golpista della sua uscita di scena a Capitol Hill del 2021, sia anche solo pensabile come presidente degli Stati Uniti è disarmante. Ma vogliamo parlare di chi potrebbe regalargli la vittoria, quel Joe Biden che appare in stato confusionale? In quanto a Putin, resterà al potere a prescindere da come andrà la guerra in Ucraina? Non dimentichiamoci del campanello d’allarme del caso Prigozhin. E ancora: in Cina Xi Jinping ha dovuto blindarsi alla presidenza in un contesto di continuo indebolimento del sistema su cui si basava l’ascesa cinese”.
In Europa non siamo da meno: Mattarella-bis in Italia, per la Commissione Ue rispunta Draghi o l’ipotesi von der Leyen-bis. Stiamo parlando dello stesso fenomeno?
Esattamente. In Italia il Quirinale ha visto la riconferma di Mattarella come un commissariamento della politica in via definitiva. L’uomo, il singolo con esperienze e contatti istituzionali globali, appare contare quanto, se non più, dell’istituzione stessa. E per la Commissione Ue si pensa solo a delle minestre riscaldate. L’ipotesi di riconfermare von der Leyen o di richiamare Draghi appare come una tendenza comune alle minestre riscaldate che è lo specchio di un drammatico declino delle classi dirigenti. E questo, per tornare a come potrà essere il mondo di Trump e Putin, richiama un dato fondamentale: quello di un mondo che non sa più pensare la complessità.
Trump e Putin simbolo del populismo e del sovranismo nel 2016, Trump e Putin simbolo della rottura dell’Occidente nel 2024, quindi?
In un certo senso, ma non solo. Una leadership mondiale che non conosce gli errori del passato è destinata tragicamente a ripeterli. Assistiamo a una ripresa non solo delle pulsioni nazionaliste ma anche di quelle egemoniche. Trump e Putin ne sono perfetti interpreti, ma questo non assolve le classi dirigenti di altri sistemi-Paese. Pensiamo al disastro securitario dei nazionalisti israeliani. Oppure all’assenza di una voce europea sulla crisi ucraina. Ieri come oggi: la globalizzazione si trasforma, e nessun Paese intende giocare un ruolo di equilibratore. Nemmeno gli Usa azionisti di maggioranza dell’ordine mondiale. E intendiamoci: Biden non è stato da meno di Trump in questa spinta competitiva.
La vulgata della Sinistra Usa parla di una possibile vittoria di Trump come assist a Putin in virtù di un possibile disimpegno Usa dall’Ucraina. Lo ritiene uno scenario possibile?
Mi sembra una chiave di lettura semplicistica. Trump non è filorusso, ammira Putin come simbolo di leader carismatico e autoritario capace di decidere col pugno di ferro. Alla prova dei fatti, mi limito a ricordare che fu Trump, tra il 2018 e il 2019, ad avviare la consegna di armi pesanti all’Ucraina che combatteva la guerra a bassa intensità nel Donbass, non l’amministrazione di Barack Obama. La Russia non è rientrata nel G8 e non mi sembra ci sia stato un calo delle sanzioni. In sostanza, la traiettoria di conflittualità non è stata smorzata. E sia Putin che Trump hanno contribuito a demolire l’ordine basato sui trattati di non proliferazione, mentre il secondo ha aggiunto una conflittualità con la Cina che Biden si è ben guardato dal depotenziare. E sull’Ucraina dirò di più…
Continui, Professore…
Mi sembra che Washington stia mollando il colpo gradualmente, e non certamente per paura dell’appuntamento elettorale o della vittoria di Trump. Bisogna uscire dall’idea che gli Usa e l’Occidente abbiano dato a Kiev tutto il supporto che gli serviva per vincere la guerra. Da sostenitore dell’Ucraina, ho sempre sottolineato un dato di fatto: il mito della guerra per procura è infondato. Le armi promesse a Kiev sono sempre arrivate in ritardo, dopo lunghi tira e molla e in quantità modeste. Sul fronte geopolitico, questo è un dato comprensibile: Washington non vuole rischiare in Ucraina i suoi migliori armamenti, e sa che una sconfitta definitiva della Russia e un collasso del Paese creerebbero un buco nero securitario. Provocatoriamente, mi viene da dire che la guerra tra Russia e Ucraina appare quasi “concordata” tra Washington e Mosca.
In che senso?
Chiaramente non mi riferisco a una regia organizzata. Ma se guardiamo al timing degli incontri tra alti funzionari di intelligence russi e americani, alle notizie di confronti tra le intelligence e alla cautela sia degli Usa nell’aumentare il sostegno all’Ucraina sia di Mosca nell’intensificare gli attacchi capiamo che le due parti hanno ormai ben chiare quali siano le reciproche linee rosse. Il vero problema è politico: non si capisce come e in che misura venire fuori da questo pantano.
Insomma, la sfida più grande per Trump e Putin rischia di essere quella di ritrovarsi di fronte a un dopoguerra caotico?
Esatto, senza che nessuno dei due abbia la capacità di essere leader in forma unitaria e strutturale per il proprio Paese. E senza, ovviamente, capacità e volontà di portare quel bilanciamento e quell’ordine che serve per garantire la stabilità globale. Capacità e volontà che mi sembrano, purtroppo, carenti su scala mondiale. In termini di classi dirigenti, iniziano a tradirci [ride, ndr] anche quegli attori che non ci avevano mai deluso per qualità. Pensiamo a Germania, Vaticano e Cina. Ma quanto sta succedendo è insito nella storia della globalizzazione.
Si riferisce al declino delle classi dirigenti?
Si. Pensiamo a quanto si può confrontare, su scala globale, la classe dirigente dell’era degli Andreotti, dei Reagan, dei Kohl, dei Mitterrand e delle Thatcher con quella attuale. Quella classe dirigente era migliore di quella dell’epoca dei Berlusconi, dei Bush jr. degli Schroeder, dei Chirac e dei Blair. Si è poi scesi all’epoca dei Renzi, dei Macron, degli Obama, delle Merkel, dei Cameron. Per poi precipitare ulteriormente: pensiamo a leader diversi tra loro come Boris Johnson, Donald Trump, Olaf Scholz. Cosa li accomuna? Il fatto di aver fatto ampiamente rimpiangere ogni loro predecessore. Idem con la von der Leyen. In Italia è stato un flop l’esperimento di portare un “Papa straniero” come Draghi a Palazzo Chigi, mentre Meloni deve ancora dimostrare molto. In quest’ottica, il ritorno di Trump e Putin sarebbe simbolo dell’auto-perpetrazione su scala globale di una classe dirigente disastrosa che non ha saputo governare le crisi della globalizzazione e dal Covid all’Ucraina, su ogni fronte, non ne sta azzeccando una. La storia è maestra di vita, anche quella recente. Ma continua ad avere pessimi studenti.