Il voto amministrativo di domenica 12 giugno sancisce “la fine dei populisti”, Lega e Movimento Cinque Stelle. Ma “nessuno può cantare davvero vittoria, nemmeno Fratelli d’Italia e Partito Democratico” che sono usciti meglio dal voto del 12 giugno. Parola del politologo e storico Aldo Giannuli, che a True News sottolinea come questo voto abbia “mostrato la fragilità strutturale del sistema italiano”.
Il “testacoda” di Salvini
Giannuli commenta la doppia tornata di amministrative e referendum sottolineando come “nettamente la grande sconfitta sia la Lega di Matteo Salvini. Ha fatto testacoda nel voto sulla giustizia ed è retrocessa duramente anche nelle sue roccaforti del Nord. Rischia di lasciare sul terreno anche una città fondamentale come Verona“.
Sul primo fronte per Giannuli, sostenitore del Sì, sottolinea come “l’errore più grande è stato dei Radicali. Non hanno capito che genere di alleato fosse Salvini e soprattutto che i referendum non vanno portati avanti un tanto al chilo. Ma promossi attorno a un singolo fattore mobilitante. Questo non è stato capito nemmeno da Salvini, che del resto ha compreso troppo tardi di aver messo la firma su proposte che non avevano presa sul suo elettorato”. Dunque l’atteggiamento ondivago di Salvini “dopo la magra figura sul Quirinale ne ha appannato ulteriormente l’immagine come leader nazionale”.
Giannuli: “M5S al capolinea”
Per il Movimento Cinque Stelle “la strada del declino è inesorabilmente tracciata. E forse a essere messa a rischio” per la formazione vincitrice relativa del voto del 2018 e centrale negli ultimi tre governi è la possibilità “di tornare in Parlamento dopo il voto del 2023”. Giuseppe Conte “non si è dimostrato incisivo come leader” ed è stato a dir poco “catastrofico il tentativo di rinverdire il populismo grillino delle origini con i bagni di folla” con cui l’ex premier ha “provato a costruire l’immagine di uomo del popolo attorno alla sua impostata figura di avvocato”.
Per Giannuli “il populismo lo puoi fare con Di Maio non con Conte“, e a prescindere con la Lega il Movimento è punito anche per “l’atteggiamento ondivago e ambivalente tenuto sulla crisi ucraina”. Dichiarare “esplicitamente la propria posizione in tempi di gravi crisi come quella odierna” è una “scelta più responsabile” e trasparente dell’alternanza tra toni di lotta e di governo che disorientano l’elettorato.
“Questo voto chiude il cerchio apertosi nel 2018: i populisti sono in totale ritirata”, nota Giannuli. E in quest’ottica tuttavia il loro appannamento non significa certo che tutte le altre formazioni godano di buona salute. Anzi, “questo voto conferma lo stato di graduale liquefazione in cui versa il sistema politico”, nota l’esperto politologo. E dunque “nessuno canti vittoria”, anche perché “Fratelli d’Italia e Partito Democratico sono i perni di due coalizioni molto frastagliate“.
Fdi e Pd: mezze vittorie, ma la strada è lunga
Il partito di Giorgia Meloni “si conferma indubbiamente decisivo nelle vittorie di Palermo, Genova e L’Aquila”, ma appare “più forte politicamente che elettoralmente”, aggiunge Giannuli. Sul campo politico, infatti “la Meloni incassa il sorpasso definitivo sulla Lega e la capacità di trainare la coalizione”. E guadagna visibilità dal fatto che “dove è assente dalla squadra il centrodestra va in affanno” un’indubbia centralità, ma “elettoralmente parlando i risultati medi tra l’11 e il 12% non permettono ancora di capire quanto i dati dei sondaggi nazionali”, che danno Fdi sopra il 20%, “si siano trasmessi ai territori”.
Il Partito Democratico, invece, è più forte “sul piano elettorale che su quello politico. Sul piano elettorale”, infatti, “il Pd è il primo partito d’Italia e tiene in tutte le città” anche laddove per il centrosinistra sono arrivate sconfitte o arretramenti ma “l’esperimento del campo largo di Enrico Letta è al capolinea” anche perché “laddove i centristi che Letta vuole aggiungere alla sua coalizione corrono contro il Pd ottengono risultati lusinghieri proprio perché presentati come alternativi alla coalizione giallorossa”.
Manca un punto d’equilibrio di sistema
Dunque “buon risultato elettorale, ma nessuna vittoria politica” per la segreteria di Letta che scivola nei due appuntamenti principali, Palermo e Genova, mentre era uscita risultata premiata invece al voto del 2021 in cui il Pd aveva vinto a Roma, Milano, Napoli e Torino. Dunque, “al massimo il Pd, come Fdi, pareggia. Al mondo politico italiano continua a mancare un vero e proprio punto d’equilibrio di sistema”. Tutto questo mentre, su ogni piano, la partecipazione popolare si ridimensiona. E questo, per Giannuli, è “il vero allarme per il futuro della nostra politica nazionale” che “non appare più in grado di ascoltare i messaggi che arrivano dal Paese e le sue preoccupazioni”. L’astensione è “una sconfitta per tutti” su cui in futuro bisognerà meditare. E su cui da troppo tempo il mondo politico non si interroga.