Perché leggere questo articolo? Scrivete “Giorgia”. Così la premier Meloni invita gli elettori a votare scrivendo solo il solo nome di battesimo alle Europee. Non sarà la prima a usare questo espediente. La lunga storia dei nomi di battesimo e pseudonimi alle urne.
“Scrivete Giorgia. Chiedo agli italiani di scrivere il mio nome, ma il mio nome di battesimo. La cosa che personalmente mi rende più fiera di questi giorni è che la maggior parte dei cittadini che si rivolge a me continui a chiamarmi semplicemente ‘Giorgia’: non ‘Presidente’, non ‘Meloni’, ma ‘Giorgia’. Se volete dirmi che ancora credete in me, mi piacerebbe che lo faceste scrivendo sulla scheda semplicemente ‘Giorgia’”. C0sì ha parlato la premier Meloni – o, come preferisce, Giorgia – nell’annunciare la propria candidatura alle Europee. Ma è davvero possibile votare un nome di battesimo sulla scheda elettorale delle Europee?
Sì, si può “Giorgia” grazie a un espediente
La possibilità di dare la preferenza a un candidato o a una candidata scrivendo solo il nome di battesimo o un soprannome non è una novità, anzi è un espediente diffuso da molti anni. Questa opzione è regolata da una sentenza del Consiglio di Stato del 2007 e vale anche per le elezioni europee, in base all’articolo 69 del testo unico per l’elezione della Camera.
Si tratta di un modo per evitare che l’elettorato sbagli a scrivere un nome sulla scheda, oppure quando una persona è conosciuta prevalentemente tramite un diminutivo del nome o con un soprannome. Il caso più noto è quello di Marco Pannella, ex leader dei Radicali, il cui nome era Giacinto e che sulle liste elettorali era indicato come “Giacinto Pannella detto Marco”, proprio per consentire il ricorso al soprannome per non trarre in errore gli elettori.
Il principio del favor voti
L’articolo 69 del testo unico della Camera prevede che “la validità dei voti nella scheda deve essere ammessa ogni qualvolta possa desumersi la volontà effettiva dell’elettore”. La specifica serve a privilegiare la volontà di chi vota, andando quindi a rendere valide le schede dove è chiaro a chi sia stato dato il voto, nonostante non sia stato usato il nome completo. La sentenza del Consiglio di Stato specifica invece come sia possibile usare solo il nome proprio se questa possibilità è stata comunicata preventivamente all’elettorato e se il nome o il soprannome sono riportati correttamente sui manifesti ufficiali.
Negli anni il principio del favor voti e la necessità di evitare conflitti di attribuzione con partiti avversari ha alimentato diciture che possono sembrare persino paranoiche: alle ultime regionali nel Lazio dell’anno scorso un candidato consigliere di Azione era «Federico Petitti, detto Petiti, Pettiti, Pettitti, Petti». In Lombardia invece un candidato di Forza Italia era «Daniele Cassamagnaghi, detto Cassa detto Magnaghi». Silvia Maullu di Fratelli d’Italia, sempre candidata in Lombardia, era «detta Maullo detta Maulo detta Maulu». Tutti questi casi sono stati ritenuti legali. Servivano ai politici a evitare di perdere qualche voto in caso di errori nel riportare il cognome del candidato o della candidata.
La lunga storia dei nomi sulle schede
Com’è noto, l’uso del soprannomi, degli pseudonimi o delle versioni alternative dei nomi delle persone candidate in Italia ha una lunga storia. In effetti spesso questo riguardava il nome con cui la singola persona era più nota (il caso più famoso è probabilmente quello di “Pannella Giacinto detto Marco”), senza che questo mutasse il cognome da scrivere sulle schede, ma con il tempo è capitato che si indicassero veri e propri modi alternativi di esprimere il voto.
Ad esempio quando il cognome era noto con più versioni (“Mario D’Ambrosio detto Dambrosio” o “Maria Dimasi detta De Masi”, dalle ultime elezioni amministrative di Roma), quando potevano sorgere dubbi su quale fosse il nome o il cognome tra due o più elementi identificativi (“Manfredi Maria Granese detto Manfredi”, “Andreea Arnatu detta Andrea”) o ancora quando il cognome risultava particolarmente difficile da scrivere per cui si suggeriva di optare per il nome: sempre alle ultime elezioni comunali a Roma si sono trovati “Zeinab Ahmed Dolal detta Ahmed detta Hamed detta Zeinaba” o “Malena Halilovic detta Malena” (curiosamente non si avvalse invece di questa possibilità Jas Gawronski, nelle sue candidature alle elezioni europee prima con il Partito Repubblicano Italiano e poi con Forza Italia).
Meloni tarpa le ali alle altre Giorgia di Fdi
Interpellato da Repubblica in merito alla legittimità della proposta di Meloni, il costituzionalista dell’università Sapienza di Roma Gaetano Azzariti ha fatto riferimento a un’eccezione contenuta sempre nella sentenza del Consiglio di Stato del 2007: nel caso preso in esame dai giudici la candidata ha potuto farsi votare semplicemente come Anna perché “nessun altro candidato nelle due liste in competizione aveva il nome proprio di Anna”. «Solo Giorgia? E se c’è un’altra Giorgia che fanno? Saranno costretti a eliminarla? Vietate tutte le Giorgia dentro FdI?», ha detto Azzariti.