Perché questo articolo potrebbe interessarti? Sta facendo discutere l’avvento di Matteo Renzi alla direzione del giornale Il riformista. Il leader in coabitazione del Terzo Polo non è infatti iscritto all’Ordine dei Giornalisti. Ecco cosa comporta la mancata iscrizione di Renzi all’albo dei giornalisti.
“Giornalista è chi il giornalista lo fa“. Per commentare la notizia dell’approdo di Matteo Renzi alla direzione del quotidiano Il riformista si può scomodare la celebre citazione di Forrest Gump. Il leader – in comodato d’uso con Carlo Calenda – del Terzo Polo infatti guiderà per un anno il giornale online, pur senza essere iscritto all’Albo dei giornalisti. Una questione che da anni fa discutere.
“Abolirei l’Ordine dei giornalisti domani mattina”
A cominciare dalla dichiarazioni del diretto interessato. Renzi negli anni non ha certo risparmiato bordate nei confronti dell’Ordine. Memorabile la sua uscita, quando era premier, nella conferenza di fine anno del dicembre 2015. Alla domanda del presidente dell’Odg, Vincenzo Iacopino, sulle criticità delle condizioni della stampa in Italia, Renzi rispose così: “L’Ordine dei giornalisti lo abolirei domani mattina“.
Un conto aperto, quello tra l’ex premier e l’Ordine – un ente pubblico nato nel 1963, mentre l’albo professionale dei giornalisti è stato istituito dal regime fascista nel 1925. Che però è destinato a rimanere tale. Potrebbe sembrare incredibile, ma per dirigere il giornale Renzi non ha bisogno di alcuna iscrizione all’Albo. Il motivo? Presto spiegato: sarà direttore editoriale ma non responsabile. E qualcuno, all’interno del gruppo editoriale, potrebbe iniziare a fare gli scongiuri…
Unità, il giornale che Renzi ha già fatto chiudere due volte
Il ruolo di responsabile legale della testata – che, tra l’altro, ha delle vicende giudiziarie aperte proprio con Renzi – sarà ricoperto da un giornalista iscritto all’Albo. Non si esclude che possa continuare ad essere Piero Sansonetti; che nel frattempo è passato a dirigere la rediviva Unità. Lo storico quotidiano della sinistra, fondato nel 1924 da Antonio Gramsci, è rinato per la terza volta grazie ad Alfredo Romeo, editore proprio del Riformista. Romeo ha acquistato dalle aste fallimentari il quotidiano sul quale Renzi vanta il primato storico di essere responsabile della chiusura, per ben due volte.
Lo ha riassunto un’altra storica testata del panorama di sinistra, Il manifesto. “La prima nel 2014, quando da neo segretario del Pd favorì la liquidazione della società editrice per costituirne una nuova di zecca in cui la fondazione del partito – Eyu – era socia di minoranza insieme al gruppo Pessina. La seconda nel 2017: quando l’Unità renziana tracollò a causa di una linea turboriformista sdraiata sul “caro leader”, lui battezzò una nuova testata di partito, Democratica, diretta da Andrea Romano, solo online e presto affondata“.
Politici e/o giornalisti nell’attuale Parlamento
L’approdo alla direzione di Renzi immette nel mondo della carta stampata italiana un potenziale triplice paradosso. Primo: non è iscritto all’Albo. Secondo: ha grosse responsabilità sulla chiusura di uno storico giornale. Dulcis in fundo: è un politico; e anche di rilievo, essendo il leader (e detentore del simbolo) dell’alleanza Azione-Italia viva, insieme con Carlo Calenda. L’ipotetico conflitto d’interessi tra il ruolo di politico e quello di giornalista non riguarda solo la figura di Matteo Renzi; che in Parlamento è in buona compagnia.
Nella XIX legislatura da poco insediatasi, i deputati che dichiarano la professione di giornalisti sono numerosi. Ci sono 17 senatori (su 200 totali), tra cui Matteo Salvini; poi ci sono 22 deputati della Camera (su 400 totali), tra i quali anche Umberto Bossi, Antonio Tajani e Roberto Giachetti. Matteo Renzi sulla scheda del portale del Senato è registrato come “Dirigente d’azienda“.
I parlamentari direttori di giornale
Nella conferenza stampa di presentazione del Riformista, Renzi ha inoltre dichiarato che: “Un parlamentare può fare il direttore di giornale“. Ha poi aggiunto che “ce ne sono stati tantissimi nella storia di questo Paese”. Facendo i nomi dell’ex segretario del Partito democratico Walter Veltroni, ex direttore de L’Unità; e del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in passato direttore del quotidiano Il Popolo. Due precedenti significativi, ma non perfettamente identici alla vicenda di Renzi.
Come ha analizzato il sito Pagella Politica, la legge n. 69 del 1969 indica le eccezioni per le quali si può derogare alla norma secondo cui un quotidiano dovrebbe avere un direttore responsabile o un vicedirettore responsabile iscritti all’Albo e non essere deputati. Le eccezioni sono i quotidiani che sono giornali ufficiali di un partito, di un movimento politico o sindacale. In punta di legge, Veltroni era iscritto all’Odg quando nel 1992 venne nominato direttore de L’Unità, all’epoca quotidiano ufficiale del Pds; per questo venne affiancato dal giornalista Giuseppe Federico Mennella, in qualità di direttore responsabile della testata.
Stesso discorso vale per Mattarella, tra il 1992 e il1994 “direttore politico” del quotidiano Il Popolo, organo del Partito Popolare. Anche Flavia Perina dal 2000 al 2006 è stata direttrice responsabile de Il Secolo d’Italia, organo di Alleanza nazionale. Quando nel 2006 venne eletta alla Camera, Perina l’incarico di direttore responsabile a Luciano Lanna per assumere quello di direttrice. Nel 2011 venne nominato l’ex senatore Marcello De Angelis al posto di Perina, per dirigere quello che nel frattempo era diventato uno dei giornali del Popolo della libertà.
L’anomalia e l’Ordine dei giornalisti
L’eccezionalità del caso Renzi-Riformista non poteva che accadere in Italia, dove l’anomalia è la norma. Anche in materia di regolamentazione della professione di giornalista. Leggi per regolamentare la natura e l’attività dei giornalisti esistono in tutto il mondo; ma l’Italia è uno dei pochissimi paesi del mondo in cui per accedere ed esercitare la professione in maniera determinata è richiesto un esame e l’iscrizione a un Albo. La Francia è il solo Paese democratico in cui la Carte de presse viene assegnata da un organismo statale. Esistono delle tessere in Belgio e nei paesi Scandinavi. Mentre negli Stati Uniti esistono tessere di lavoro non esiste una carta professionale ufficiale, ma delle tessere aziendali fornite dai datori di lavoro. Nel resto del mondo – su tutti Germania, Regno Unito e Spagna – vige invece il liberismo assoluto per una professione con varie sfumature “aperta” a tutti. Insomma, l’Ordine dei giornalisti col suo Albo è quasi un’eccezione italiana.