Perché questo articolo ti potrebbe interessare? Giovanna Cristina Vivinetto, poetessa e insegnante, era stata licenziata nel 2019 dall’Istituto Paritario Kennedy di Roma. Ora il tribunale ha emesso la sentenza: si è trattato di transfobia e dovrà essere rimborsata.
Licenziata perché transessuale. Questa era la denuncia della poetessa Giovanna Cristina Vivinetto, nata nel 1994 a Siracusa. Poetessa vincitrice di premi e insegnante, ma solo per pochi giorni. Nel settembre 2019 era stata assunta come docente di italiano in un liceo paritario di Roma, il linguistico Kennedy di Roma. La scuola dopo nemmeno venti giorni di lezioni didattiche l’ha convocata in presidenza per rescindere il contratto. Da lì è partita una lunga vicenda legale, che in settimana ha dato ragione a Vivinetto. Il tribunale di Roma ha considerato illegittimo il licenziamento e condannato la scuola a risarcire la docente gli stipendi fino alla fine dell’anno scolastico.
Nel 2019 la scuola in cui lavorava – l’Istituto Paritario Kennedy di Roma – ha scelto di rescinderle il contratto. Com’è andata?
Sì, la scuola, dopo nemmeno venti giorni di lezioni didattiche, mi ha convocata in presidenza per rescindere il contratto, che era di collaborazione con l’istituto paritario per 16 ore settimanali suddivise in quattro classi. Io ero tra l’altro appena ritornata da un periodo di malattia. Quindi una volta rientrata al posto di andare in classe sono andata in presidenza e lì mi hanno comunicato questo fatto.
Quali motivazioni hanno addotto?
Mi hanno detto che in quei giorni di assenza molti genitori si sono lamentati, sostenendo che io non fossi una buona insegnante. Si sono posti da soli in una posizione controversa, perché questo tipo di contratto non prevede una motivazione per la recessione. Mi hanno quindi fornito ragioni contrastanti: ero troppo poetessa per fare l’insegnante e avrei dovuto fare solo la scrittrice, ero indietro con il programma, spiegavo troppo velocemente, etc. Già allora c’erano tutte le premesse per farmi pensare che la motivazione fosse altro: una discriminazione transfobica.
Quali segnali l’hanno portata a pensare a un episodio di transfobia?
L’ho capito con il passare delle ore perché inizialmente non volevo crederci. A distanza di qualche giorno ho sporto denuncia e la vicenda è divenuta pubblica a livello mediatico. Sono stata quindi contattata da un ragazzo, mio coetaneo, che mi ha comunicato di aver fatto un colloquio il giorno dopo il mio licenziamento in quella stessa scuola. Durante l’incontro la direttrice ha confessato di aver mandato via la precedente professoressa perché trans. Questa chiamata è stata depositata agli atti e costituisce la prova fondante del processo.
Quali erano le aspettative a inizio processo?
Le possibilità di vittoria erano pochissime. Sono infatti esigue le volte in cui si riescono ad avere prove sufficienti per dimostrare una discriminazione di questo tipo. In questi anni – dal 2019 a pochi giorni fa – ci sono state diverse udienze. Tra i testimoni sono stati ascoltati un docente interno e la madre di un’alunna ma le loro testimonianze – che sostenevano un problema legato alla mia professionalità – sono state rigettate dalla giudice.
Il collega sosteneva che non seguissi i PDP per gli studenti con DSA, ma quando io lavoravo lì i PDP in questione non erano ancora stati approvati. La seconda testimone ha riportato la testimonianza della figlia su affermazioni che io avrei fatto. Era una testimonianza indiretta, quindi non consistente. E inoltre io non ho mai insegnato (nemmeno durante le supplenze) a questa ragazza. Per la gravità delle sue affermazioni (sosteneva che io avessi posto agli studenti domande sul loro comportamento sessuale), l’ho denunciata per diffamazione nel febbraio 2021.
Quindi il processo si è concluso con una vittoria?
Sì, viene considerato nullo e illegittimo il mio licenziamento e la giudice ha condannato la scuola a risarcirmi di tutti gli stipendi che io avrei percepito fino alla fine dell’anno scolastico. È stata riconosciuta la discriminazione di genere. Si tratta quindi di una sentenza storica che costituisce un precedente per i casi di transfobia sul lavoro.
Nella sentenza, infatti, si dice esplicitamente che “le dichiarazioni non appaiono significative di un’effettiva inadempienza della professoressa Vivinetto ai propri impegni didattici. […] Sicché può ritenersi adeguatamente provato che le ragioni che hanno indotto la società resistente a risolvere il rapporto di lavoro con la Vivinetto siano ascrivibili proprio alla sua condizione di transessuale”. In sostanza è stato violato l’articolo 3 della Costituzione, secondo cui non si può discriminare su base sessuale.
Come ha reagito la scuola dopo la sentenza?
La sentenza è esecutiva, ciò significa che la scuola deve rispettare ciò che la Giudice ha stabilito, quindi risarcirmi di quanto deve. Il mio avvocato ha inoltrato la sentenza alla controparte, che deve ancora rispondere. La scuola non si è espressa in merito ma credo proprio che la sconfitta per loro sia stata schiacciante.