Perché leggere questo articolo? Nome affascinante, prassi originale e lunga storia. Resta il fatto che il Giurì d’onore non serve a nulla. Conte lo ha invocato e ora ne chiede l’annullamento. Non ci sarà la resa dei conti – senza conseguenze – con Meloni per il Mes. E ora che succede?
Giovedì 8 febbraio è definitivamente tramontata l’ipotesi Giurì d’onore richiesto da Giuseppe Conte lo scorso 13 dicembre contro Giorgia Meloni. Niente premier contro premier, per volere proprio dell’ex Presidente del Consiglio. E’ stato, infatti, lo stesso Conte a chiedere lo scioglimento dell’istituto da lui richiesto. Dopo aver ricevuto una lettera dal leader del M5S, il presidente della Camera dei deputati Lorenzo Fontana ha proceduto alla conclusione del Giurì, che era presieduto da Giorgio Mulè di Forza Italia. È terminato tutto in caciara senza la relazione finale che aveva il compito di trovare una soluzione a questa diatriba sollevata qualche mese fa. Resta il fascino di nome affascinante, per una prassi parlamentare antica, originale e – è il caso di dirlo con chiarezza- assolutamente inutile. Il giurì d’onore è la quintessenza del parlamentarismo italiano.
I motivi dell’auto-scioglimento da parte di Conte
I motivi che avrebbero spinto Conte ad arrivare a questa paradossale scelta di auto-sciogliere il Giurì – da lui stesso invocato – sarebbero le improvvise e inattese dimissioni dei membri della commissione Stefano Vaccari (Partito Democratico) e Filiberto Zaratti (Alleanza Verdi e Sinistra) date proprio durante l’ultima riunione che avrebbe dovuto portare ad una soluzione. Il verdetto sarebbe dovuto pervenire all’Aula di Montecitorio proprio in queste ore.
Ecco però che è arrivato il colpo di scena. Secondo l’ex presidente del Consiglio, il Giurì risulterebbe privo dei requisiti di imparzialità e quindi inadatto a svolgere il suo lavoro correttamente. A seguito di questa decisione il presidente Fontana ha incontrato Mulè per comunicargli le intenzioni di Conte, ringraziandolo “per l’accuratezza e la precisione del lavoro svolto e per la perfetta aderenza al regolamento della Camera della procedura seguita per giungere alla relazione finale”.
Quali sono le conseguenze dello scioglimento del Giurì
Si è chiusa in “caciara” la questione del Giurì invocata circa due mesi fa da Giuseppe Conte a causa delle parole pronunciate dalla premier in cui affermava che il leader del M5S avesse ratificato il Mes “senza mandato parlamentare e il giorno dopo essersi dimesso” mostrando in aula la lettera dell’allora ministro Di Maio all’ambasciatore a Bruxelles in cui gli chiede di sottoscrivere le modifiche al Meccanismo Europeo di Stabilità.
Traendo le somme questo scioglimento non comporta nessuna sostanziale differenza rispetto alle conseguenze politiche che avrebbe comportato una risoluzione del Giurì. Secondo il regolamento della Camera dei Deputati (art. 58), infatti, il verdetto della commissione non avrebbe comportato nessuna sanzione nei confronti della premier ma semplicemente avrebbe accertato la verità ribadendo il valore puramente simbolico della sentenza emanata da questo organo.
L’inutilità del Giurì
Nella storia l’istituto del Giurì non è stato costituito molte. La prima attestazione si ha nella prima legislatura. Risale al 20 ottobre 1950, quando 3 deputati si dimisero per protestare contro “il rifiuto della maggioranza di inserire nella relazione finale il giudizio della minoranza”. L’ultima volta risale a febbraio 2023 a seguito delle dichiarazioni di Giovanni Donzelli sul caso Cospito e il caso è finito con l’assoluzione del deputato di Fratelli D’Italia dopo aver ritrattato. Andando un po’ indietro negli anni, il Giurì è stato costituito nel 2010 e nel 2012 e addirittura nel 2009 la sua costituzione è stata evitata semplicemente grazie alle scuse dell’accusatore.
Considerando le modalità in cui opera, il Giurì d’onore potrebbe quasi essere considerato un modo per riparare ad un’offesa ed è quasi assimilabile ad un duello d’onore. Questo concetto riparatore di un torto subito già ai tempi di Mussolini con il Codice Rocco era considerato illegale e “puniva i duellanti e i portatori di sfida con la reclusione fino a sei mesi e una contravvenzione, se non cagiona danni o lesioni all’avversario”. Risulta quindi anacronistico nel 2024 questo modo di concepire la politica in una concezione di “delitto d’onore” in cui si deve creare un organo sostanzialmente senza poteri decisionali la cui funzione è utile solo per riparare ad un’offesa subita.
Cosa succede ora?
Nella sostanza lo scioglimento del gran Giurì non cambia più di tanto rispetto alle eventuali conseguenze politiche che ci sarebbero stati dopo la “sentenza” della commissione. Stando infatti all’articolo 58 del regolamento della Camera, Il Giurì d’onore avrebbe dovuto comunicare la propria decisione all’assemblea senza nessuna discussione o votazione successiva e senza nessuna ipotetica sanzione. Con un “verdetto” non avrebbe quindi comportato alcune “pena”, ma avrebbe mirato soltanto ad accertare la verità dei fatti riportati dal deputato trascinato davanti all’organismo di Montecitorio, in questo caso il presidente del Consiglio. Insomma, la decisione avrebbe avuto un carattere meramente simbolico. Resta il fatto che sostanzialmente sono stati buttati via due mesi di lavoro.