Via i ribelli grillini dai Cinque Stelle, epurati dopo il no a Draghi, dentro Giuseppe Conte con un ruolo di primissimo piano. È questa la strategia che, volente o nolente, i 5 stelle stanno seguendo per ripartire. Dai contiani ai taverniani fino ai più numerosi dimaiani ne sono convinti tutti, nonostante alti e bassi registrati in questi mesi con l’ex premier. Con Beppe Grillo, da tempo sostenitore di un’alleanza strutturale con il Pd, sponsor principale dell’operazione.
La linea pare tracciata, serve solo capire le tempistiche. Giuseppe Conte, corteggiatissimo oggi come non mai, per ora glissa e preferisce prendere tempo. “Tornerò a insegnare all’Università di Firenze”, è quello che ha affermato più volte sui giornali in questi giorni. Peccato che, contrariamente alla sua volontà, le aule non potranno riaccoglierlo subito, ad anno accademico in corso. Dovrà accontentarsi al massimo della ricerca universitaria, con molto tempo libero all’orizzonte. Ragion per cui è difficile pensare che, nei prossimi sette/otto mesi, Conte rimanga quieto e lontano dalla politica (il nuovo anno accademico parte il prossimo autunno). Alcuni grillini, per valorizzare la sua esperienza, ipotizzano di eleggerlo presidente dei Cinque Stelle ma servirebbe un cambio dello statuto. Idem per un suo ruolo da “primus inter pares” nel futuro direttorio a cinque. Più facile che diventi, per questi motivi, semplice membro di grande influenza della segreteria grillina. Ma è pur vero che, su chi andrà a comporla, regna oggi il caos più totale. Si vocifera ad esempio, per dare segnali all’elettorato più fedele, che 4 personalità su 5 proverranno dal Sud Italia. E il Nord? Se andrà bene si accontenterà di un solo membro, con buona pace dei Buffagni o Toninelli che tentano da anni di farlo emergere.
Ma nella galassia grillina attuale ci sono anche gli espulsi, o nostalgici del Movimento originario, che non hanno intenzione di rimanere a guardare. Barbara Lezzi e Nicola Morra, per dirne una, hanno annunciato una guerra legale contro Vito Crimi e i vertici. Ma non è solo in tribunale che la battaglia dei ribelli avrà luogo. Il grande ex Alessandro Di Battista, il primo ad aver detto no a Draghi, sta sondando il terreno e pensando ad un suo nuovo partito. Secondo sondaggi che circolano un suo nuovo soggetto politico, con lui alla testa come leader, potrebbe raccogliere alle elezioni nazionali fino all’8%. E chissà mai che anche Davide Casaleggio, da tempo in rotta con Grillo & Co, non decida di seguirlo portandosi dietro Rousseau.
Se questa però è la prospettiva a lungo termine, nel breve serve fare opposizione a Mario Draghi, “l’apostolo delle élite”. In che modo? L’idea è raccogliere fondi per una campagna comunicativa di opposizione, martellante e decisa come Dibba e pochi altri sanno fare. Come fare? Si guarda ovviamente al Parlamento. Per avere soldi sufficienti – calcolati in 2,5 milioni di euro – serve un nuovo gruppo parlamentare che abbia almeno 35 persone. Al progetto potrebbero aderire certamente gli espulsi cinque stelle, ma anche Gianluigi Paragone (Italexit), gli ex-Leu di sinistra più spinta (come Stefano Fassina) e qualche cane sciolto che si trova attualmente nel gruppo misto (ad esempio Carlo Martelli).
Obiettivo è creare un soggetto che predichi un “sovranismo di sinistra”: sì alla sovranità energetica, sociale e ambientale, basta all’atlantismo a tutti i costi, Europa sì ma non troppo.