Perché leggere questo articolo: La Lega, nonostante il declino elettorale, porta in dote risultati dai primi cinque mesi di governo. Ora si apre il secondo tempo. Vediamo come Fdi può recuperare terreno sui risultati
Scollinati i primi centocinquanta giorni di governo, per l’esecutivo di Giorgia Meloni si nota un dato fondamentale: a “dare le carte” sembra essere più la Lega che Fratelli d’Italia. Il fatto che il Carroccio abbia incassato la nomina favorevole del presidente di Monte dei Paschi di Siena – Nicola Maione – e rilanciato sul canone Rai lo testimonia. C’è un’agenda politica della maggioranza in cui la Lega si trova più a suo agio rispetto ai ben più neofiti colleghi di Fratelli d’Italia.
Il presidente del Consiglio sceglie – prudentemente – la linea della mediazione politica tra le anime del centrodestra. E tra esecutivo e sottogoverno prende piede l’influenza del Carroccio. Partito più libero di giocare la propria partita autonomamente in virtù del forte ridimensionamento elettorale il 25 settembre scorso, che però ha reso la formazione di Matteo Salvini desiderosa di ottenere risultati.
Salvini come Kutuzov: avanzare ritirandosi
Dalla manovra alle nomine e dal Csm all’immigrazione la Lega sta portando al proprio mulino diversi risultati. “Il piano di Salvini è quello del generale Kutuzov, la ritirata in attesa che l’avversario si sfianchi”, ha scritto su Il Foglio a gennaio il cronista politico Carmelo Caruso. Meno presenzialismo televisivo, meno dichiarazioni forti, meno parole dure, più presenza nei ministeri e in Parlamento: la Lega e i suoi leader giocano a tutto campo.
Del resto la stessa nascita dell’esecutivo si deve alla ricucitura di Salvini del potenziale strappo tra Fratelli d’Italia e Forza Italia. La Lega è stata premiata con l’assegnazione del Ministero dell’Economia a Giancarlo Giorgetti, dunque con l’acquisizione di un ruolo forte su nomine e proposta politica. Ha incassato il via libera di Fdi al bis di Attilio Fontana in Lombardia e ha promosso la nascita di una giunta moderata e pragmatica dopo la vittoria dell’ex sindaco di Varese.
Il Carroccio ha ottenuto poi il via libera di Meloni alla rivalutazione delle pensioni in un contesto in cui la Manovra di Bilancio ha dedicato buona parte delle risorse alla lotta al caro-bollette. Notevole anche il successo politico ottenuto facendo mettere all’agenda del primo governo a guida nazional-conservatrice l’agenda dell’Autonomia con la proposta del Ministro degli Affari Regionali Roberto Calderoli.
E più sotto traccia mediaticamente ma in maniera dirompente nei palazzi a gennaio è emersa la vittoria politica della Lega con l’elezione a vicepresidente del Csm di Fabio Pinelli, avvocato vicino al Carroccio, contro la volontà iniziale di Fdi. Un segno del fatto che i giovani, rampanti rampolli della “Generazione Atreju” avranno i voti, ma è nel Carroccio che risiede, maggiormente, il metodo politico nella coalizione di governo.
Più pragmatismo e risultati per la Lega
Del resto, la politica è mestiere. Si parla di tempismo, prospettive, opportunità. La Lega, nel governo Meloni, sembra saperle cogliere di più rispetto agli alleati-rivali della destra post-fascista. Fdi si appiattisce su temi di bandiera, battaglie identitarie, sfide colorite ma dal ridotto valore pragmatico. La Lega punta ad amministrare. Si vede a Roma e si vede a Milano. Ove, non a caso, Meloni ha “schierato” gli esponenti di maggiore esperienza, non legati al mondo Atreju, come Ignazio La Russa e Daniela Santanché, per negoziare la giunta.
Stesso tema per i Ministeri di peso: i pragmatici Alfredo Mantovano, avente la delega all’Intelligence, Guido Crosetto, titolare della Difesa, e Carlo Nordio, Ministro della Giustizia, sono gli uomini di punta per Fdi nel governo e appartengono a una generazione che è quella dei Giorgetti e dei Calderoli. Persone, dunque, con un profilo non solo politico e di caccia ai consensi ma anche di risoluzione di problemi reali.
Fdi ha concesso l’ultima vetrina alla Lega e al Ministero delle Infrastrutture guidato dallo stesso Salvini aprendo, nel recente Consiglio dei Ministri, all’agognato Ponte sullo Stretto. Con cui Salvini può presentare la Lega come il partito del “fare” e rilanciare al Sud il suo progetto nazionale. Messo in stand-by dalla debacle delle politiche.
Le prossime sfide: il termometro delle nomine
Come può recuperare terreno sul piano dei risultati Fdi? In primo luogo Meloni ha la golden share della possibilità di risolvere diplomaticamente la partita dell’immigrazione, vecchio cavallo di battaglia leghista. In secondo luogo, c’è la sfida della riforma fiscale su cui il governo lavora anche su input del viceministro delle Finanze Maurizio Leo. Fedelissimo di Giorgia Meloni e – ça va sans dire – uomo di vecchia guardia e non dell’ultima generazione Fdi.
Ci sono poi i dossier caldi della Giustizia. Qui Carlo Nordio può imporre la linea al centrodestra di governo su una svolta più garantista nel processo penale e sulla corsa alla certezza della pena. Fdi vuole puntare a creare un asse con Forza Italia su una riforma complessiva della giustizia. Crosetto gestisce invece i dossier caldi della Difesa e spinge per le grandi aggregazioni come il Gcap con Regno Unito e Giappone, capace di portare importanti ricadute industriali e strategiche per l’Italia col progetto di caccia di sesta generazione.
Un termometro dei rapporti di fatto nel governo si avrà certamente con il nodo nomine. Qui Meloni ha dovuto concedere a Lega e Forza Italia una scelta più collegiale rispetto all’era Draghi. Ma il Carroccio potrà cantare vittoria solo se riuscirà a spuntare una revisione strutturale del management di Eni, Enel, Terna, Leonardo e Poste e spingere su suoi candidati per le presidenze e i ruoli di amministratore delegato. Dal ticket Paolo Scaroni–Matteo Del Fante per Enel alla discontinuità nel “partito Pd” in Leonardo e Eni, gli obiettivi della Lega sono chiare. E Giancarlo Giorgetti, titolare del Mef, avrà la penultima parola prima di Meloni. La partita politica è ancora apertissima. E dalle nomine capiremo se anche il “secondo tempo” del governo si aprirà a favore della Lega o meno.