Perché leggere questo articolo? Il reporter di guerra Daniele Bellocchio commenta il dibattito sui reporter palestinesi al seguito di Hamas il 7 ottobre. La guerra rischia di sgretolare il confine tra informazione e propaganda. E la caccia alle streghe contro i giornalisti che raccontano l’altro campo non aiuta.
Giovedì 9 novembre la ong israeliana Honest Reporting ha accusato i reporter freelance che hanno collaborato con grandi agenzie come Associated Press e Reuters, che erano al seguito dei miliziani Hamas durante i massacri del 7 ottobre. Che legami avevano i reporter con Hamas? Come sono venuti a conoscenza dell’attacco? Qual è il confine tra informazione e propaganda? Sono domande che True-news.it ha posto a un reporter di guerra giovane ma dalla lunga esperienza, Daniele Belocchio. L’inviato di guerra freelance per diverse testate italiane e straniere, difende il giornalismo onesto dal bavaglio di dinamiche che rischiano di mettere l’informazione nel mirino.
Bellocchio, da reporter di guerra, cosa ne pensa della vicenda?
Si conosce ancora molto poco delle accuse è rivolta a dei reporter. Data la gravità, è meglio andare coi piedi di piombo per non aumentare il brusio. Il rischio, però, è che si metta l’informazione nel mirino. Ogni volta che si accusa un fotografo, un giornalista o un reporter di essere un “fiancheggiatore”, la libera informazione viene screditata.
Come giudica l’operato dei fotografi che hanno seguito i miliziani di Hamas nei massacri del 7 ottobre?
Non è compito mio giudicare il lavoro di un fotografo o di un giornalista, come non lo è della politica. Lo possono fare al massimo le autorità competenti. Mi limito a osservare che hanno fatto il loro lavoro. Il compito dei reporter è scoprire le cose, trovarsi nei posti dove accadono. E grazie a dio la stampa ha documentato un fenomeno storico. La contropartita sarebbe stata l’oblio o una ricostruzione totalmente faziosa. Pura propaganda, come è invece avvenuto all’ospedale di Gaza – da un lato – e nella vicenda dei bambini decapitati – dall’altro. Non mi addentro nella vicenda specifica dei reporter del 7 ottobre, di cui ancora si conosce troppo poco. Alla luce di quello che sappiamo oggi, mi pare che siano giornalisti che hanno fatto il loro lavoro. Non si può colpevolizzare una fonte.
Come si riconosce il vero giornalismo dei reporter dalla propaganda al seguito dei combattenti?
La stampa libera non lascia spazio agli avvelenatori di pozzi. Io sono andato un mese al fianco dei talebani. Li ho raccontati, senza giudicarli ma provando a capirli per poi raccontarli al pubblico italiano. Il dovere del giornalista è dare la notizia. Per fare questo, le fonti sono necessarie, buoni o cattive persone che siano. Un reporter deve venire a contatto con chi ha una storia, altrimenti non si fa questo mestiere. Definire “embedded” – al seguito – questi reporter è una messa all’indice che non ha senso. Per fortuna ci sono anche giornalisti dall’altro lato. Questo non significa giustificare Hamas, ma avere una storia completa.
I reporter possono raccontare la verità anche in contesti che – secondo i nostri canoni – non sono liberi?
Purtroppo esistono contesti senza libertà o con impedimenti tali per cui è impossibile fare vero giornalismo. Il massimo che si può fare è raccontare i tentativi censori delle due parti. La verità, come concetto, ha una tale magnitudo che è difficile definirla. Sarebbe meglio parlare di onestà, che è già tantissimo. Purtroppo è un peccato che siano ancora oggi posti in cui è impossibile per un reporter lavorare.
Ad esempio a Gaza, dove oggi è precluso l’accesso ai giornalisti stranieri?
E’ un vero peccato che i reporter stranieri non possano accedere a Gaza. Piovono bombe che hanno già ucciso 40 giornalisti palestinesi. Non è proprio possibile lavorare senza rischiare la vita al momento. Così è impossibile fare informazione, e ciò è controproducente per l’opinione pubblica. Si lascia un buco nell’informazione, una falla dove chiunque può instaurarsi. Il reporter traduce ciò che vede, sapendo immergersi in realtà differenti con strumenti culturali per parlare al pubblico italiano al meglio. Se l’opinione pubblica perde, vince chi pensa che il silenzio sia un’arma. Quando anche le voci individuali che al momento raccontano da Gaza verranno silenziate, Hamas sfrutterà la situazione per imporre la narrazione che più le conviene.