Della guerra in Siria, ormai, non si parla più. Questo, però, non è un fatto che risale solo agli ultimi due anni, durante i quali – col mondo concentrato sulla pandemia – il regime di Bashar al-Assad è riuscito a preparare la strada per il suo ritorno nel consesso diplomatico internazionale. Le cronache sul paese mediorientale si sono fatte sempre più rare nel panorama mediatico nostrano soprattutto a partire dal ridimensionamento dell’autoproclamato Stato Islamico che invece nel periodo 2014-2018 – complici gli attentati in Europa – occupava sovente le prime pagine dei giornali. Gli unici momenti in cui i riflettori sulla Siria si sono improvvisamente riaccesi – salvo poi spengersi a distanza ravvicinata – sono stati sostanzialmente di due tipi. Da una parte gli attacchi chimici perpetrati dal regime di Damasco e le risposte (perlopiù simboliche) messe in campo da Stati Uniti e alleati, dall’altra le campagne turche contro quelli che abbiamo imparato a conoscere come “i curdi”.
Gli italiani e gli approcci “da tifosi” a scenari geopolitici complessi
Quello dei “curdi” – che in italiano si scrive con la “c” e non con la “k” – è un caso emblematico. Fa capire, infatti, il modo in cui in Occidente, soprattutto in Italia, ci si approccia a scenari complessi come la guerra in Siria. Si tratta di questioni in cui, proprio a causa della difficoltà di comprendere le intricate dinamiche di potere e gli interessi in campo, si finisce spesso per cercare sullo scacchiere l’attore per il quale parteggiare, fare il tifo. Convincendosi che questo sia “il buono” della storia.
Assad idolo dei “rossobruni”
E’ stato così che Assad, complice la sua alleanza con Putin, è diventato l’idolo dei “rossobruni”, come viene definita quell’area politica in cui convergono estremismi di destra e di sinistra. Assad unico baluardo contro l’islamismo e protettore dei cristiani, Assad uomo della resistenza contro l’imperialismo americano (come se i suoi stessi alleati non stessero in Siria per specifici interessi geopolitici), Assad vittima del solito complotto Usa-Israele per il controllo delle risorse energetiche (che in Siria sono scarse, a dir poco). Questi sono solo alcuni degli slogan più frequenti dell’assadismo italiano.
La sinistra italiana sta con i curdi
Una grossa fetta della sinistra italiana – radicale e non – ha invece scelto di sostenere “i curdi”. Le virgolette sono obbligatorie, perché si tratta di una semplificazione grossolana e pericolosa. I curdi, senza virgolette, sono infatti una popolazione di etnia iranica che abita da secoli una regione divisa oggi grossomodo tra Turchia, Siria, Iraq, Iran e Armenia. Il “feroce Saladino”, tanto per dirne una, era di origine curda.
Ma “i curdi” sono in realtà le Ypg, Unità di protezione del popolo
Quelli che nell’ambito della guerra siriana vengono spesso definiti “i curdi” sono invece le YPG, Unità di protezione del popolo. Si tratta di gruppi armati legati al PYD, il Partito democratico d’Unione siriano, nato a sua volta da una costola del PKK, il Partito dei lavoratori curdi fondato in Turchia da Abdullah Ocalan. Il movimento, sulla scorta delle elaborazioni teoriche del suo ideologo, è passato dal marxismo leninismo classico alla dottrina del confederalismo democratico, un modello che le YPG hanno cercato di impiantare nelle zone della Siria strappate via via al controllo dell’IS in questi anni. Questi gruppi, complici gli attentati effettuati in Turchia durante i moti indipendentisti degli ultimi decenni, sono considerati da Ankara organizzazioni terroristiche tour court, senza se e senza ma.
Contro lo Stato islamico in campo le Sdf, Forze democratiche siriane
Quando parliamo della guerra con lo Stato Islamico, però, bisogna fare riferimento alle SDF (Forze democratiche siriane), milizie formate col sostegno degli Stati Uniti. Dominate numericamente dalle YPG, sono formate anche da arabi musulmani, assiri etc. Altra ragione per cui “i curdi” è una dicitura erronea. Queste formazioni hanno avuto un ruolo fondamentale, grazie anche al sostegno dell’aviazione USA, nel ricacciare indietro i miliziani dell’IS. Degno di nota il fatto che le YPG – fautrici di un’ideologia libertaria, socialista, egualitaria e aperta nelle politiche di genere – siano state supportate proprio dal paese guida del capitalismo globale.
Pisapia e Zerocalcare, “testimonial” della causa curda
Il rapporto speciale tra certa sinistra italiana e “i curdi” ha in realtà radici molto profonde. Il sostegno alla loro causa non nasce con Zerocalcare e il suo fumetto “Kobane Calling”, pubblicato nel 2015 come una sorta di reportage a vignette sugli scontri allora in atto tra IS e SDF. Durante la sua rocambolesca fuga internazionale per sfuggire alle autorità di Ankara, Ocalan arrivò in Italia nel 1998 accompagnato da Ramon Mantovani, deputato di Rifondazione Comunista. A perorare la causa dell’attivista sul piano legale ci pensarono personaggi del calibro di Arturo Salerni, Luigi Saraceni e – soprattutto – l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. La Turchia, però, minacciò di boicottare le aziende italiane se il leader del PKK non fosse stato consegnato e il governo di allora, presieduto da Massimo D’Alema, dovette rinunciare a dargli asilo. Ocalan finì così in Kenya, dove fu catturato dai servizi turchi e imprigionato nel carcere di Imrali, dov’è tutt’ora detenuto.
Le operazioni turche contro le Ypg
La Turchia ha effettuato diverse operazioni contro le YPG negli ultimi anni, anche con il sostegno di ribelli siriani anti-Assad che Ankara ha supportato e cooptato nel nord-ovest del Paese. Le campagne militari – dai nomi spesso ironici tipo “Ramoscello d’Ulivo” o “Scudo della primavera” – hanno suscitato l’indignazione internazionale, tanto che in Italia si sono viste persino imponenti manifestazioni di piazza a favore dei “curdi” (fatto piuttosto raro ai nostri giorni, se si considera quanto il pacifismo sia in crisi).
Ypg, un superbo lavoro sulla comunicazione
Ma a cosa si deve questo attaccamento? Probabilmente, come si diceva, l’Occidente – soprattutto la sinistra nostrana – cerca un soggetto in cui specchiarsi, un attore sul campo che confermi almeno in parte quello che noi intendiamo per “buono”. Le YPG, questo bisogna ammetterlo, hanno fatto un lavoro superbo sul fronte della comunicazione. Non è un caso se le immagini più frequenti riferite alla guerra con l’IS mostrano le fiere donne curde armate di kalashnikov che combattono i brutti e barbuti fanatici islamici. Sta di fatto che, sicuramente, anche tra le fila delle SDF c’erano e ci sono anche musulmani convinti e praticanti che pregano 5 volte al giorno rivolgendosi verso La Mecca. Quando poi “i curdi” si ritrovano a fronteggiare “cattivi perfetti” come lo Stato Islamico o, peggio ancora, quella specie di spauracchio chiamato Recep Tayyip Erdogan, allora sì che schierarsi diventa fin troppo semplice.
Ma anche i curdi sono spariti dalle scene
Ciononostante, e questo prova quanto tutto questo impianto sia debole, oggi anche “i curdi” sono spariti dalle scene. Il loro destino, considerato che l’IS esiste ancora in forma cellulare, è tutt’altro che certo. Il mese scorso, ad esempio, il Guardian ha pubblicato un’inchiesta secondo cui, in cambio di un riscatto di alcune decine di migliaia di dollari, le YPG avrebbero liberato alcuni prigionieri dell’IS detenuti nelle carceri dell’est siriano. Le SDF hanno smentito la notizia, ma sta di fatto che quello del controllo degli ex miliziani jihadisti detenuti – fra i quali molti foreign fighters – è solo uno dei dossier con cui “i curdi” devono fare ancora i conti. Il regime di Assad non ha intenzione, per ora, di concedere forme di autonomia alla regione denominata Rojava. Ankara continua a considerare le YPG una minaccia esistenziale e terroristica. Probabilmente, però, bisognerà aspettare che la Turchia inizi una nuova campagna militare nel nord della Siria perché torniamo a occuparci di cosa fanno “i curdi”.