Il sasso nello stagno lo ha lanciato il giornalista di Radio24 Alessandro Milan con quello che lui stesso ha definito un “appello (inutile) ai colleghi”: «Possiamo smetterla di dare queste notizie? Ci sono persone che viaggiano senza cinture di sicurezza e muoiono, persone che fumano 100 sigarette al giorno e muoiono per questo, persone che si strafanno di droga e muoiono, ma non ne pubblichiamo i nomi e le storie con un intento moralisteggiante. Ha sbagliato, d’accordo, ma è morta. Non è abbastanza così? O dobbiamo additare queste persone con tanto di nome e cognome a esempio negativo, perché tutti imparino? Da quando siamo diventati tutti dei Savonarola? Rispetto per favore”.
Il conduttore di “Uno, nessuno, 100Milan” si riferiva alla notizia di una No Vax morta di Covid, pubblicata con estrema dovizia di particolari, foto compresa, da quasi tutti i quotidiani.
La “Schadenfreude” anti No Vax solleticata dal giornalismo italiana
“Schadenfreude”, l’ha definita Milan. Che, tradotto dal tedesco, altro non è che il godimento che si prova per le sciagure altrui. Soprattutto quando, a disgrazia avvenuta, il nostro istinto è quello di poter dire allo sventurato “ben ti sta”.
Spiega il giornalista: «Continuo a trovare sbagliati articoli che solleticano il desiderio di molti di dire “ti sta bene! Te la sei cercata!” Continuo a trovare stucchevole la ricerca del no vax pentito, da esibire come ammonimento morale a chi non vuole vaccinarsi. E trovo incredibile che un medico, Cartabellotta, faccia il verso a Povia che si becca il Covid. Mi sembra tutta una follia, un tutti contro tutti. Anche io ritengo i no vax degli scriteriati, nel senso che si muovono senza criterio, riempiendosi la bocca di stupidate. Ma se poi si ammalano, stanno male o muoiono non trovo di che gioirne e non penso di usarli come arma da brandire per educare gli altri».
Milan, campagna contro una comunicazione sbagliata
No, il giornalista non entrerà nel think tank di Cacciari e Agamben, quella “Commissione Dubbio e Precauzione” che raggruppa antivaccinisti e anti Green Pass, perché spiega, raggiunto da true-news, che la sua battaglia è solo contro una comunicazione sbagliata che i giornali stanno facendo sulla pandemia.
“Noi giornalisti non dovremmo prestarci a certi giochetti”
«Io sono totalmente pro vaccini e seguo i medici e le indicazioni dello Stato», dice, però «la comunicazione, quindi noi giornalisti, non dovremmo prestarci a certi giochetti triti e ritriti. Quando si è deciso di partire con le vaccinazioni ai bambini, guarda caso, abbiamo letto ovunque che aumentavano i casi di Covid grave tra i bambini. Questa modalità non aiuta a convincere gli scettici. Anzi, li radicalizza e li fa arroccare nelle loro posizioni». A chi gli fa osservare che questa affermazione potrebbe uscire dalla bocca di un qualsiasi complottista, Milan ribatte: «Ribadisco, sono pro vaccini al 150%. La mia è una critica all’informazione». E dice di condividere le parole di Mario Monti sulla “comunicazione di guerra”, in cui molti hanno invece visto la volontà di mettere un bavaglio all’informazione.
“Monti ha ragione, basta parlare solo di Covid”
«No, Monti ha ragione quando parla di informazione di guerra e dice che ci vorrebbe una informazione meno democratica, non dedicata secondo per secondo al Covid. Monti ha spiegato cosa significa: significa che intendiamo che sia una supposta libertà il diritto di affermare, in ogni dove, panzane, stupidaggini, inesattezze scientifiche. A ogni ora del giorno, in ogni trasmissione. È quello che io, modestamente, dico da due anni. Non se ne può più di tv e giornali e radio che parlano, sempre e solo, del virus. Di telegiornali che aprono dicendo “oggi abbiamo importantissime novità sul virus” e dicono le stesse cose di ieri, e le stesse che diranno domani».
Per il giornalista di Radio24, «Monti ha messo il dito nella piaga purulenta dell’informazione italiana, e ovviamente l’informazione, cioè i colleghi, cioè la categoria, si indigna, si arrabbia».
Ma non rischiamo di tornare al ministero della propaganda e ai tempi bui della censura fascista?, gli chiediamo. «Ma no, è più semplice. Il controllo dell’informazione spetta agli informatori, alla categoria, se esistesse ancora una deontologia, se parole come equilibrio, obiettività, buon senso, attaccamento ai fatti, diniego del sensazionalismo spicciolo avessero ancora senso per una categoria totalmente o in larga parte screditata. Mi ci metto dentro: ci provo, ci proviamo ogni giorno, in due ore scarse di trasmissione, a parlare anche di altro, a non dire ogni giorno la stessa solfa sul Covid. A volte ci riusciamo, a volte no. Ma ci proviamo. Senza per questo sentirci censurati».
La Schadenfreude funziona a due direzioni
«La rovina massima del giornalismo», conclude, «ormai sta nel mantra “eh ma il pubblico vuole quello?” Ma con questo mantra (il lettore vuole quello) la gente non compra più i giornali, e ora accende più Netflix e Amazon prime».
Attenzione, però, a non collegare la Schadenfreude solo a chi prova piacere nel leggere la notizia della morte di un No Vax a causa del Covid. In un articolo pubblicato sul Foglio il 9 novembre scorso, Enrico Bucci ammoniva: «Per la semplice legge dei grandi numeri sarà inevitabile che anche fra i vaccinati si verifichino ospedalizzazioni e perfino qualche morte; ed è qui che la “Schadenfreude” dei No vax troverà la sua stupida soddisfazione, e la parte più opportunistica dell’arena politica potrebbe cercare il suo consenso».
Ma non dovevamo uscirne migliori?