“Insieme per il Futuro” è il nome con cui è in via di costituzione il gruppo parlamentare dei fedelissimi di Luigi Di Maio su cui il Ministro degli Esteri prepara una nuova forza politica centrista e moderata. Il movimento dimaiano è il settimo esempio di scissione di partiti fuoriusciti dai movimenti principali in Parlamento dall’inizio della XVIII Legislatura ad oggi.
Tana libera tutti
Il 2018, anno del boom elettorale di Movimento Cinque Stelle e Lega, sembra lontano anni luce. Come ha ricordato a True News il professor Aldo Giannuli, i populisti protagonisti del Governo Conte I appaiono sul viale del tramonto; pandemia, ascesa del governo Draghi, guerra in Ucraina e ritorno del vincolo esterno stanno cambiando il tavolo. Di un gioco già modificato, negli anni scorsi, dalla nascita di nuove forze politiche.
Al 2023 vedremo presentarsi alle urne sette formazioni politiche che non esistevano nel 2018. Nel 2019, poco dopo l’alleanza tra il Partito Democratico e il Movimento Cinque Stelle, dal Nazareno sono usciti dapprima Azione, il movimento fondato da Carlo Calenda, e in seguito Italia Viva di Matteo Renzi; nel 2020, invece, il Movimento Cinque Stelle ha subito l’uscita di Gianluigi Paragone e del suo movimento Italexit, a cui si è aggiunta nel 2021 quella di Alternativa, fronda della sinistra sovranista del partito ostile al governo Draghi. Due scissioni anche per Forza Italia nella sua componente centrista. Cambiamo, legata al Presidente della Regione Liguria Giovanni Toti, da un lato e Coraggio Italia, fondata dall’ex sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, dall’altro.
Cosa aspettarsi
C’è da aspettarsi che molte di queste formazioni, specie per la comune vocazione centrista di molte e la convergenza anti-governista delle due grilline pre-Di Maio, cercheranno alla prova dei fatti una forma di federazione. E che sia possibile non vedere tutti e questi sette simboli partecipare contemporaneamente al voto del 2023. Lo stesso Di Maio, per fare un esempio, è dato in dialogo con Brugnaro e il sindaco di Milano Beppe Sala, mentre al di là delle rivalità personali il fronte Calenda-Renzi-Toti non appare ancora tramontato, specie alla luce del voto recente a Genova. Quel che è certo è che il sistema dei partiti politici nazionali va gradualmente in liquefazione senza che, gramscianamente parlando, si capisca quale mondo nuovo possa sostituirsi a quello odierno sul viale del tramonto.
Ma guardando alla storia (e ai sondaggi più recenti) il trend della politica italiana è chiaro: strappare non paga. Non pagava ai tempi della Prima Repubblica, nei rari casi in cui per ragioni ideali diverse formazioni fuoriuscivano dalla casa-madre dei principali partiti nazionali. Molte formazioni politiche, soprattutto a Sinistra. Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, Partito d’Unità Proletaria, Democrazia Proletaria. Riuscirono nel corso degli anni a mantenere una voce parlamentare senza però mai emergere come grandi attori protagonisti. Senza mai arrivare a tanto, difficilmente questo è accaduto dopo il crollo del sistema a guida democristiana nel 1992-1994. Del resto strappare con i partiti maggiori non ha quasi mai pagato nemmeno nella girandola di scissioni, personalismi e partiti nati e morti in Parlamento della Seconda Repubblica.
Di Maio, il nuovo Alfano?
Luigi Di Maio, in particolare, sembra ricalcare un percorso già visto nelle precedenti legislature, quella dello strappo in nome del potere senza appiglio elettorale: nel 2010-2011 la rottura di Gianfranco Fini e nel 2013 quella di Angelino Alfano con Silvio Berlusconi e il Popolo delle Libertà portò alla nascita, rispettivamente, di Futuro e Libertà per l’Italia e del Nuovo Centrodestra.
Nel primo caso, Fli divenne un perno del sistema del governo Monti dopo la caduta del Cavaliere. Ma fu pressoché annientato al voto del 2013, dove pur correndo in sostegno a Scelta Civica e al premier uscente non raccolse alcun seggio; Alfano, invece, tra il 2013 e il 2018 è stato protagonista decisivo per la sopravvivenza di tre governi (Letta, Renzi, Gentiloni) e gamba d’appoggio al Partito Democratico passato fino al Ministero dell’Interno e a quello degli Esteri. Ma Ncd è rimasto a secco di seggi alle Europee 2014 e la sua erede Alternativa Popolare, nel 2018, presentandosi nella lista Civica e Popolare a sostegno del centrosinistra ha vinto solo in due collegi uninominali, conquistati da Beatrice Lorenzin e Gabriele Toccafondi, oggi militanti rispettivamente nel Pd e in Italia Viva.
Le scissioni flop della Seconda Repubblica
Fli e Ncd/Ap non sono casi isolati. Al voto del 2018 solo per il rotto della cuffia Liberi e Uguali, nato dalla scissione a sinistra del Pd. E’ riuscito a entrare in Parlamento con poco più del 3% dei voti, un sesto di quelli raccolti dall’ex partito-guida. E guardando ai precedenti si tratta quasi di un risultato lusinghiero. Anche l’ex presidente della Camera Pierferdinando Casini, uscito dalla sua Udc per formare Centristi per l’Europa e entrare nel centrosinistra nel 2018, ha visto il suo partito non lasciare traccia. Non molto meglio era andata, in passato, alle varie scissioni della Sinistra. Il Partito Comunista dei Lavoratori e i Comunisti Italiani, fuoriusciti da Rifondazione tra fine Anni Novanta e i primi Anni Duemila, hanno sempre fatto flop alle urne dopo essere nati nei palazzi.
Raro caso in leggere controtendenza, invece, quello dell’Udeur di Clemente Mastella, sorto a partire dell’esperienza dell’Unione Democratica per la Repubblica di Francesco Cossiga nel 1998 e arrivato tra il 1999 e il 2008 a fornire un presidio centrista alla coalizione progressista. Mastella e il suo Centro Cristiano Democratico, nato dalla diaspora popolare, fondarono l’Udeur. Conquistando sette seggi alla Camera e quattro al Senato nel 2001 e quattordici seggi a Montecitorio e tre a Palazzo Madama nel 2006. Pochi in entrambi i casi ma sufficienti per staccare la spina al Governo Prodi II nel 2008. Canto del cigno dell’esperienza politica mastelliana su scala nazionale mentre del partito fondato dall’attuale sindaco di Benevento si sono perse le tracce. Il dato storico rema in controtendenza agli avventurieri di oggi: ma nel quadro del rimescolamento dell’offerta politica può succeder di tutto.