Il caffè è da sempre e in tutto il mondo una bevanda che accomuna e fa sentire a casa. Il caffè è quindi un modo d’essere, una tradizione, un rito che si perpetua dalle prime luci dell’alba al dopo cena, per un momento di relax o di riflessione. Nel XVI secolo presero vita i primi caffè letterari, luoghi d’incontro preferiti per gli intellettuali dell’epoca, che discutevano di politica, cultura e innovazione. L’epoca d’oro dei caffè letterari è legata all’Illuminismo, che ebbe il suo fulcro in Francia durante il 1700. Solo a Parigi si contavano oltre 3000 caffè, nei quali i giovani intellettuali posero le basi per il primato della borghesia sulla nobiltà. Anche oltremanica si diffusero rapidamente le “Coffee Houses”, dove scrittori, poeti e uomini d’affari si riunivano. In Italia si svilupparono molti caffè letterari, frequentati da nobili e borghesi. La più famosa rivista illuminista italiana, fondata e diretta da Pietro Verri, si chiamava proprio “Il Caffè”. Ricchi di fascino e storia, i caffè letterari rappresentano, ancora oggi, un luogo dove si respira un’atmosfera unica e dove intellettuali e politici si scambiano le loro opinioni. Ecco i cinque caffè storici più importanti della penisola da visitare almeno una volta nella vita.
Caffè Florian – Venezia
Il Caffè Florian, situato sotto le Procuratie Nuove di Piazza San Marco, è considerato il più antico caffè europeo ed è un simbolo della città di Venezia. Fu inaugurato il 29 dicembre 1720 da Floriano Francesconi con il nome di “Alla Venezia Trionfante” e successivamente ribattezzato “Caffè Florian” dagli avventori, in onore del suo proprietario. Mentre nel suo interno si servivano i migliori vini e caffè d’Oriente, Malvasia, Cipro e Grecia, la storia trascorreva davanti alle vetrate del locale: lo splendore e la caduta della Repubblica Serenissima di Venezia, le cospirazioni segrete di quanti volevano sovvertire il dominio francese e poi austriaco, e ancora, durante i moti del 1848, la cura dei feriti all’ interno delle sale del locale. Fin dagli inizi, il Caffè Florian vanta una clientela illustre come Goldoni, Canaletto, Rosseau, Lord Byron, Pellico, Foscolo e molti altri. Oltre ad essere la più famosa bottega da caffè, il Caffè Florian era l’unico locale del tempo che consentiva l’ingresso alle donne e per questo scelto come “luogo di caccia” da Casanova, sempre alla ricerca di compagnia femminile. L’idea di creare un’esposizione d’arte nacque alla fine dell’800 all’allora sindaco di Venezia, Riccardo Selvatico, per rendere omaggio al Re Umberto e alla Regina Margherita. La prima esposizione internazionale d’arte, divenuta poi famosa in tutto il mondo con il nome di Biennale di Venezia, fu organizzata nel 1895. Agli inizi del ‘900 il Caffè Florian introduce l’idea tradizionale europea di caffè-concerto con un’orchestra permanente che contribuisce tuttora a rendere l’esperienza al Florian ancora più piacevole. Il locale è rimasto il luogo di incontro di svariati mondi e tutt’oggi permette di vivere la tradizione Veneziana. Oggi il Florian è ancora il luogo dove Venezia e il mondo si incontrano. Comodamente seduti nelle magnifiche sale ottocentesche, si può respirare la lunga e vivace storia del Caffè. Pur restando legato alla tradizione, il locale vive intensamente l’attualità organizzando manifestazioni culturali di alto livello, specialmente nel settore dell’arte contemporanea, con l’intenzione di proporre momenti di incontro-confronto con l’arte e la cultura e di offrirsi come spazio da vivere con partecipazione e coinvolgimento.
Caffè Greco – Roma
Al numero 86 di Via dei Condotti si trova un locale molto elegante, con le pareti rosse e arricchite di cimeli. Si tratta dell’Antico Caffè Greco, il più antico caffè letterario di Roma. Dopo il Caffè Florian di Piazza San Marco a Venezia, il Caffè Greco è il più antico d’Italia, certamente di Roma. Fondato nel 1760 da Nicola della Maddalena, prende il nome dall’origine levantina del suo fondatore, oppure, secondo un’altra teoria meno accreditata, dal fatto che la zona in cui si trova fosse abitata da immigrati Greci. Oltre ad essere il più antico caffè letterario di Roma, è anche la più grande galleria d’arte privata aperta al pubblico del mondo. Le sue sale contano più di 300 opere, molte delle quali ci regalano paesaggi di una Roma che non c’è più: palustre, selvatica, continuamente in bilico fra le sue rovine e la modernità che avanzava nel resto d’Europa. Insomma, un vero e proprio museo sempre aperto a tutti, senza pagare un biglietto d’ingresso, accolti dal personale gentile e disponibile anche nelle ore di punta. Cominciamo il nostro piccolo tour virtuale con la prima sala a cui si accede: la Sala Venezia, dove si trova il banco del bar e opere che celebrano la città lagunare, come il quadro che ritrae il Ponte di Rialto di Ippolito Caffi. Dategli un’occhiata prima di perdervi tra i colori e le squisitezze che offre la pasticceria del Caffè! La seconda sala celebra la città che ospita il Caffè Greco: è la Sala Roma, ornata dalle splendide opere di Vincenzo Giovannini, con vedute di alcune delle meraviglie monumentali capitoline. A queste, segue la Sala delle Vedute Romane, con immagini bucoliche di pastori e contadini. Se nella sala precedente abbiamo visto lo splendore della Roma Classica, qui troviamo una Roma più campestre, semplice, a contatto con le sue origini pastorali. Il gioiellino del Caffè è poi la Sala Omnibus, la sala preferita per i raduni dei grandi intellettuali e personaggi alla moda dell’alta società, i cui volti vengono ricordati nei medaglioni che decorano le pareti della sala. E’ in questa sala che, una volta al mese, si riunisce il Gruppo dei Romanisti, un’associazione di Romani e non, appassionati di Roma e della sua storia, fondata nel 1929. Ancora oggi il Gruppo dei Romanisti si riunisce in questa sala, e i loro studi vengono pubblicati nella Strenna dei Romanisti, tradizionalmente consegnata al sindaco della Capitale il 21 Aprile, giorno del Natale di Roma. Una piccola deviazione ci conduce poi verso un corridoio in cui troviamo un quadro di Renato Guttuso che ci propone uno scorcio, quasi uno scatto fotografico, di come doveva apparire il Caffè nel ‘900, durante una giornata di frizzante attività lavorativa, ma anche sociale e intellettuale. Nel quadro, Guttuso raffigura anche il pittore Giorgio De Chirico, assiduo frequentatore del caffè, che era solito dire: “Il Caffè Greco è il luogo in cui ci si può sedere ad aspettare la fine del mondo”.
L’ultima sala, la “Sala Rossa”, è anch’essa ricca di cimeli e curiosità: qui viene scattata la foto che compare come copertina del 45 giri “Minuetto/Tu sei così” di Mia Martini, in cui l’artista viene raffigurata con aria distante, mentre accarezza distratta il suo cagnolino. Alzando lo sguardo si può trovare il calco del pugno del pugile Primo Carnera, e, al centro della sala, un grazioso divanetto rosso appartenuto allo scrittore danese Hans Christian Andersen, che viveva al piano superiore e che aveva deciso di lasciare al Caffè Greco parte del suo arredamento una volta lasciata la sua casa romana. Moltissimi i personaggi che si sono seduti ai tavolini del Caffè Greco: Giorgio De Chirico, Giacomo Leopardi, Gabriele D’Annunzio, Antonio Canova, Arturo Toscanini, Renato Guttuso, Gioacchino Rossini, Alberto Moravia, Richard Wagner, Hans Christian Andersen, Thomas Mann, John Keats, Arthur Schopenhauer , Guillame Apollinaire, Orson Welles. All’interno del Caffè potrete divertirvi a curiosare sulle varie pareti, a cercare i cimeli e i ritratti di personaggi come Buffalo Bill e Toro Seduto.
Caffè Pedrocchi – Padova
Era detto “senza porte”, perché rimase aperto giorno e notte dall’inaugurazione, nel 1831, fino al 1916. Questo caffè è uno dei simboli di Padova, luogo eletto per la degustazione del caffè e della cucina. Riconosciuto come la sede più esclusiva del centro della città dove realizzare gli eventi più importanti e spettacolari. La presenza a Padova di un Gran caffè internazionale si deve ad Antonio Pedrocchi, famoso caffettiere, citato da Stendhal ne “La certosa di Parma”. Ai primi dell’ ‘800 nei numerosi caffè si mescolavano nobili e borghesi, intellettuali e popolani. Antonio Pedrocchi sognava un caffè monumentale, dall’architettura rappresentativa e funzionale, situato proprio al centro della città, di fronte all’Università e alla Gendarmeria Austriaca e chiamò a realizzarlo Giuseppe Jappelli, famoso architetto ed ingegnere di idee illuministe e profondo conoscitore del gusto asburgico che lo inaugurò nel 1831. Divenne presto crocevia di intellettuali e letterati “luogo dove nascevano le idee”, dove si organizzavano feste, balli, riunioni massoniche e persino trattative commerciali, un punto di riferimento per i padovani, ma anche per i viaggiatori e gli uomini d’affari provenienti da tutta la Penisola che in quest’imponente edificio neoclassico trovavano sempre accoglienza e ristoro. Il successo fu immediato e il caffè divenne ritrovo di studenti, artisti e letterati come Ippolito Nievo o Giovanni Prati, ma anche di patrioti, come Arnaldo Fusinato. Tra gli ospiti illustri oltre a Stendhal, si ricordano Alfred De Musset, George Sand, Téophile Gauthier, Gabriele d’Annunzio, Eleonora Duse, Filippo Tommaso Marinetti e molti altri. Lasciato in dono al Comune di Padova, con l’impegno “di promuovere e sviluppare tutti quei miglioramenti che verranno portati dal progresso dei tempi, mettendolo a livello di questi e nulla trascurando, onde nel suo genere possa mantenere il primato in Italia”, il Caffè Pedrocchi ha ormai conquistato una posizione privilegiata nel centro e nel cuore di Padova. Tra le tante curiosità legate al locale, la celebre stanza verde, dove gli studenti squattrinati potevano trascorrere del tempo a leggere e studiare senza che i camerieri venissero a chiedere l’ordinazione. Da qui il detto “restare al verde”.
Caffè Al Bicerin dal 1763– Torino
L’invenzione del bicerin è stata, senza alcun dubbio, la base del successo del locale e, più che invenzione, fu evoluzione della settecentesca bavareisa, una bevanda allora di gran moda che veniva servita in grossi bicchieri e che era fatta di caffè, cioccolato, latte e sciroppo. Il rituale del bicerin prevedeva all’inizio che i tre ingredienti fossero serviti separatamente, ma già nell’Ottocento vengono riuniti in un unico bicchiere e declinati in tre varianti: pur e fiur (simile all’odierno cappuccino), pur e barba (caffè e cioccolato), ‘n poc ‘d tut (ovvero “un po’ di tutto”), con tutti e tre gli ingredienti. Quest’ultima formula fu quella di maggiore successo e finì per prevalere sulle altre, arrivando integra ed originale ai nostri giorni e prendendo il nome dai piccoli bicchieri senza manico in cui veniva servita (bicerin, appunto). Stefani-Mondo scrisse: “…è la bibita prediletta della mattina: ministri, magistrati, professori, negozianti, fattorini, cestaie, venditori e venditrici ambulanti, campagnuoli ecc, tutti spendono volentieri i loro tre soldi per rifocillarsi economicamente lo stomaco“. Il Risorgimento e l’Unità d’Italia passano da questo locale con la presenza di Camillo Benso di Cavour. Si dice che il Conte, liberale, laico e anticlericale, anziché accompagnare la famiglia reale al santuario, ne attendesse l’uscita comodamente seduto al tavolino sotto l’orologio, controllando da dietro le tendine l’ingresso della Consolata. Un tempo, i caffè erano esclusivo dominio maschile: gli uomini ci si ritrovavano per bere, fumare e parlare. Le donne “rispettabili” non potevano frequentare luoghi così poco adatti a loro. Anche in questo il Bicerin si dimostrò ben presto un locale unico: era stato aperto da un uomo, ma la gestione presto passò in mano a delle signore. La particolare posizione di fronte al Santuario della Consolata lo faceva meta preferita da un pubblico femminile che in tale ambiente si sentiva protetto e a suo agio, le specialità servite erano tipiche di una cioccolateria-confetteria e come alcolici venivano serviti solo vermuth, rosolio e ratafià. Per molti anni è stato uno dei pochi luoghi dove le donne potevano mostrarsi sole in pubblico; qui inzuppavano nel bicerin i biscottini al burro, per rompere il digiuno dopo le funzioni nel santuario di fronte. Il fatto che fosse un locale a conduzione femminile lo rendeva consono per essere frequentato dalle dame. Questa caratteristica diede al locale un’impronta di garbo e delicatezza che ancora oggi si è mantenuta e che si desidera preservare. Dal 1917 al 1971 il locale è stato gestito dalla signora Ida Cavalli (conosciuta come la cicolatera d’piazza d’la Consolà) con l’aiuto della sorella e successivamente della figlia Olga, poi dal 1972 al 1977 venne gestito dalla signora Silvia Cavallera. Le signore Cavalli sono state molto amate e conosciute da tutta la città: più padrone di casa che ostesse, amorevolmente accudivano tutti gli intellettuali squattrinati che nel Caffè Al Bicerin cercavano riparo dai rigori del freddo. Nel 1983 Maritè Costa ha raccolto l’eredità delle signore Cavalli, portando il locale al livello di notorietà internazionali a cui è oggi conosciuto. Il suo è stato uno straordinario lavoro di vera archeologia del cioccolato e dei dolci torinesi: la sua ricerca e studio delle ricette originali, dei materiali di qualità e un vero ed autentico amore per la cioccolata e la pasticceria tradizionale piemontese, hanno fatto sì che questo piccolo caffè venisse conosciuto ed amato nel mondo intero. Presto vennero i molti riconoscimenti, uno per tutti è della prestigiosa rivista Gambero Rosso, che nella prima edizione della Guida ai Bar, nomina nel 2001 il Caffè Al Bicerin “Migliore Bar d’Italia“. Mancata nel 2015, la gestione prosegue, orgogliosamente nel solco della tradizione, sempre con la nostra famiglia e con la collaborazione delle signore che da anni lavorano al caffè.
Gran Caffè Gambrinus – Napoli
La storia del Gran Caffè Gambrinus di Napoli inizia con l’Unità di Italia quando, nel 1860, al piano terra del palazzo della Foresteria, l’elegante edificio del 1816 che oggi ospita la sede della Prefettura, viene aperto il “Gran Caffè”. Affacciato direttamente su Piazza Plebiscito e Palazzo Reale, il Caffè diventa in breve tempo il salotto del bel mondo cittadino. La fama dovuta all’opera dei migliori pasticceri, gelatai e baristi provenienti da tutta Europa procura subito al locale la benevolenza della famiglia reale e il riconoscimento per decreto di “Fornitore della Real Casa”, onorificenza tributata dai Savoia soltanto ai migliori fornitori del Regno delle due Sicilie. Nel 1885 il Gran Caffè sembra essere sul punto di chiudere, ma di lì a poco le sue sale sarebbero state aperte ai napoletani e ai viaggiatori in una nuova più grande magnificenza. Nel 1890, infatti, Mariano Vacca, uomo avveduto e frequentatore di artisti e attori, prende in fitto i locali della Foresteria e ne affida la ristrutturazione all’architetto Antonio Curri, docente di Architettura, nonché Ornato nella Real Università di Napoli e professore onorario dell’Istituto di Belle Arti. Grazie alla perizia di più di quaranta tra artigiani e artisti, il Caffè diventa uno scrigno prezioso di opere d’arte: le sale vengono decorate con i marmi di Jenny e Fiore, gli stucchi del Bocchetta, i bassorilievi del Cepparulo e le tappezzerie del Porcelli; le pareti decorate dai più importanti paesaggisti napoletani. Il Caffè diventa una preziosa galleria d’arte nel cuore nobile di Napoli e viene valorizzata con l’ultima conquista della modernità , l’illuminazione elettrica. Per festeggiare la rinascita, il Caffè viene ribattezzato “Gran Caffè Gambrinus”, in nome del leggendario re delle Fiandre inventore della birra. L’intenzione è quella di fondere nell’immaginario le due più famose bevande d’Europa: la birra, nordica, bionda e fredda, e il caffè, scuro, bollente, piacere tipicamente napoletano. Inaugurato ufficialmente il 3 novembre 1890, il Gran Caffè Gambrinus diventa da subito il cuore della vita mondana, culturale e letteraria della città: re, regine, politici, giornalisti, letterati e artisti di fama internazionale ne fanno il luogo dove incontrarsi, discutere e scrivere versi, come nella migliore tradizione europea del caffè letterario. Le sale iniziano ad essere indicate per l’argomento degli incontri e dei simposi che vi si tengono: la sala politica, la sala della vita, la sala rotonda. Il Caffè è ormai tappa obbligata per qualsiasi visita della città: non c’è un solo viaggiatore che, arrivato a Napoli, rinunci a fare sosta al Gran Caffè Gambrinus. Lo storico locale partenopeo è sbocciato nel periodo della Belle Epoqué; infatti durante gli anni del primo novecento era il centro della cultura e dell’arte della città ; ricordiamo tra gli ospiti più illustri l’imperatrice d’Austria Sissi, che degustò un ottimo gelato alla violetta, Gabriele D’Annunzio che scrisse al Gambrinus i versi della celebre canzone “A’vucchella”, Matilde Serao che fondò il quotidiano “Il Mattino” seduta proprio ai tavolini del caffè, Benedetto Croce che fece di Napoli la sua seconda città , lo scrittore Oscar Wilde che si recò nella città partenopea con Lord Alfred Douglas dopo i tristi giorni di prigionia, Ernest Hemingway, il filosofo francese Jean-Paul Sartre che scrisse pensieri su Napoli ai tavolini del Gambrinus “davanti a una granita che guardavo malinconicamente mentre si scioglieva nella sua coppa di smalto”e tantissimi altri. Sull’onda francese anche a Napoli verso la fine dell’Ottocento arrivò il Cafè Chantant o detto anche Caffè Concerto. Insieme al Salone Margherita, il Gambrinus fu uno dei ritrovi più frequentati dalla nobiltà napoletana. Il Gran Caffè Gambrinus prosperò fino al 1938 quando il prefetto Marziale ne ordinò la chiusura perché considerato luogo antifascista e da quel giorno i locali furono ceduti in parte al Banco di Napoli. Dei fasti che vide il Gambrinus, con questa scissione rimase solo il ricordo, imboccando una triste strada di decadenza. Agli inizi degli anni ’70 Michele Sergio dà inizio alla battaglia per recuperare i locali del Caffè situato nel cuore di Napoli. Grazie al lavoro minuzioso di restauro degli antichi stucchi e di recupero dei pregevoli affreschi, il Gran Caffè Gambrinus rinasce a nuovo splendore.La battaglia è vinta. Napoli si riappropria della sua storia. Riportato ai suoi antichi fasti, il Gran Caffè Gambrinus torna ad essere il cuore pulsante e il salotto elegante della città. Oggi, il lavoro di valorizzazione iniziato da Michele Sergio è portato avanti dai figli Arturo e Antonio Sergio che fanno ancora grande l’unico storico caffè letterario della città di Napoli.