“E basta. Ma possibile essere diventati così cafoni?“, è sbottato Christian De Sica in un post su Instagram il giorno di Ferragosto.
L’attore si chiedeva se “certe persone non si so’ rotte le palle di pubblicare quello che mangiano, mentre ballano abbracciati e poi si odiano, le panoramiche delle discoteche tutte uguali, i tuffi dai motoscafi di lusso comprati facendo i tuffi?”.
Detto da uno che trenta e passa anni fa non frequentava le lezioni di bon ton di Lina Sotis, ma i set dei cinepanettoni, dove la cafonaggine era in quasi ogni battuta del copione dei film, lasciava ben sperare in una “redenzione”, anche se tardiva.
De Sica ha però dimenticato che essere cafoni non è solo ostentare con le immagini, lo si può fare anche usando in modo sbagliato le parole (il marchese del Grillo insegna), e solo pochi giorni dopo ha deluso le aspettative.
L’accusa di De Sica ai cafoni, segue una caduta di stile
Vittima del suo “io so io e voi…” è stata l’attrice teatrale fiorentina Gaia Nanni. In una intervista, la Nanni ha raccontato di volere portare in scena personaggi che prendono le distanze dagli stereotipi: “Pesco nel grandissimo supermarket dei dialetti, delle miserie umane, delle età, delle estrazioni sociali, in una ricca antropologia culturale che mi permetta di stare lontano da Mirandolina o dalla quarta amante di Christian De Sica in Vacanze di Natale“.
Pronta la replica del diretto interessato a mezzo social: “Gaia Nanni dice che rifugge da me e dalle Vacanze di Natale. Ma chi te conosce, ma chi te vo’ Gaia Nanni“. In uno dei vecchi film, De Sica al posto di “chi te vo'” avrebbe usato sicuramente un’espressione meno edulcorata, di cui vi forniamo, per decenza, solo un piccolo indizio: “ma chi te se…”.
Diatriba con la Nanni a parte, De Sica ha il merito di aver messo il dito nella piaga: in Italia il club dei cafoni continua a fare proseliti.
La notorietà e i soldi fanno emergere la natura cafone
La lista dei soci del club è a geometria variabile. Non esiste domanda di ammissione o consiglio direttivo che approvi o respinga l’iscrizione. Ci si iscrive in totale autonomia: basta soffrire di vertigine da follower o, più semplicemente, essere cafoni dentro, poi saranno i soldi o la notorietà a far emergere la natura tamarra del soggetto.
Prima di fare i nomi di alcuni soci, è d’obbligo un distinguo lessicale. Distinguiamo la cafonaggine da maleducazione e inciviltà, almeno in questa occasione. Perché se contassimo tutti i furbetti che cercano di saltare la fila in un ufficio postale, coloro che non cedono il posto sui mezzi pubblici a un anziano o a una donna, chi i rifiuti preferisce lasciarli abbandonati per strada piuttosto che rispettare il calendario della raccolta porta a porta, più che un semplice club in Italia avremmo un partito dei cafoni con percentuali da maggioranza relativa.
Sonia Bruganelli, leader del partito dei cafoni
Fatta la necessaria premessa, vediamo alcuni soci di diritto del club dei cafoni. Tra coloro che non perdono occasione di ostentare ricchezze e privilegi, un posto è da riservare sicuramente a Sonia Bruganelli, moglie di Paolo Bonolis, approdata recentemente in tv come opinionista del Grande Fratello Vip. La signora proprio in questi ultimi giorni ha raccontato una sua disavventura con il blocco di una carta di credito che non le aveva consentito di fare shopping online di abiti, ovviamente supergriffati.
La signora Bonolis ha riportato tutto il suo dialogo con gli operatori del call center per poter sbloccare la carta, sottolineando il fatto che è sbottata, esausta, quando uno di loro pretendeva che dicesse il numero di conto corrente a cui la card era collegata. La Bruganelli avrebbe potuto scrivere semplicemente che non lo ricordava, invece ha calcato la mano sottolineando che non può ricordare a memoria tutti i numeri dei suoi conti correnti, avendone sei.
Sonia Bruganelli ha un’altra passione che ama ostentare ed è quella per gli aerei privati. Nel 2016 aveva pubblicato una foto di famiglia su un jet, direzione Formentera, scrivendo «Avendo molti bimbi, di cui una non proprio velocissima negli spostamenti, lo noleggiamo ogni anno. Potendo farlo, perché no?»
A luglio di quest’anno, è tornata sull’argomento postando un’altra foto in volo: “Giuro che prima o poi la smetto. Per ora però preferisco pagarmi un aereo privato piuttosto che aspettare ore in aeroporto, rischiare di vedere annullato il mio volo, perdere bagaglio che arriverebbe forse a Toronto, riprendermi il covid e fare storie dove insulto tutte le compagnie low cost”. Mischiarsi alla plebaglia che ha potuto volare solo grazie a Ryanair? Giammai!
Se sei famoso “ami provocare”, non scrivono che sei cafone
E’ curioso notare come quasi tutti i giornali abbiano raccontato l’episodio come “l’ennesima provocazione”, parlando di una donna “che ama provocare”, quando avrebbero potuto riassumere il tutto con “che cafona”, epiteto che avrebbero utilizzato per una donna col marito muratore in nero in un cantiere, e possessore al massimo di una Postepay.
Un posto nel club dei cafoni spetta sicuramente a Chiara Nasti. La venticinquenne “fashion influencer” di origine napoletana, che ha cominciato la carriera a sedici anni, prima di Chiara Ferragni, per far conoscere il sesso del bambino che aspetta ha scelto una formula americana, quella del “gender reveal party”, un evento che serve a comunicare al mondo il sesso di un bambino in arrivo. Una tradizione abbastanza recente, nata oltreoceano agli inizi del nuovo millennio. Questi party di solito, negli Usa, vengono fatti in maniera discreta e intima.
Ma dato che l’esprit de finesse evidentemente non le appartiene, la Nasti per annunciare al mondo il sesso del nascituro non ha radunato parenti e amici intimi a casa sua, ha scelto invece di noleggiare l’intero stadio Olimpico di Roma, in omaggio al papà del bebè, Mattia Zaccagni, che gioca nella Lazio. Il calciatore ha tirato un rigore a porta vuota e quando il pallone è entrato in rete, sul maxischermo dell’Olimpico è comparsa la scritta “It’s a boy”, mentre dall’alto è scesa una pioggia di coriandoli celesti.
Noleggiare l’Olimpico sembra sia costato all’influencer (tre milioni di follower, diciassette in meno della Ferragni) 60mila euro. Una cifra esagerata per tutti i “povery” comuni mortali, evidentemente, ma non per lei che sembra si faccia pagare tremila euro per ogni suo post su Instagram.
Chiara Nasti, l’Olimpico e il “gamberetto”
A chi ha criticato l’evento, considerandolo una cafonaggine, la Nasti ha risposto: “La verità è che voi non avete mai visto una cosa simile. Disprezzare perché non potete avere lo stesso vi rende così piccoli che neanche potete immaginare. Perché noi non solo abbiamo vissuto un momento super emozionante e speciale (il più bello della nostra vita) ma siamo stati così originali che probabilmente a certa gente non scende giù. Grazie per tutta questa attenzione, sempre. Continuate così”.
C’è stata un’altra occasione, comunque, in cui la Nasti ha dimostrato di non aver mai frequentato casa Windsor. Un coro dei tifosi romanisti allo stadio durante una partita ha ironizzato sul fatto che il padre del bimbo potesse essere in realtà di Nicolò Zaniolo, calciatore della Roma ed ex della Nasti.
L’influencer ha risposto come peggio non si poteva: “Con quel gamberetto non si sa come già ne abbia avuto uno e siete tutti sfigati e fate anche schifo“. Solo dopo si è resa conto di aver esagerato (ma va!) e ha cancellato il post, ma era troppo tardi.
Salvatore Aranzulla, la new entry
Il club della cafonaggine, secondo Dagospia, ha visto recentemente una new entry, quella di Salvatore Aranzulla, l’uomo della provvidenza per chiunque ha un qualsiasi dubbio o problema con il computer.
L’imprenditore digitale di origine siciliana, il cui costo orario per una consulenza è di 10mila euro, fino a qualche tempo fa timido e riservato, dopo una dieta ferrea e tanta palestra che gli ha sagomato un fisico asciutto e muscoloso, non ha retto alla tentazione di far conoscere al mondo il nuovo Aranzulla. Che già nel 2018, a onor del vero, aveva fatto sapere di aver fatto la sua prima doccia in aereo, su un volo intercontinentale della Emirates, viaggiando da Milano a New York in una suite con letto, maxi schermo, creme viso, champagne e soprattutto bagno con doccia.
«Potrei non lavorare più. Lo faccio perché mi piace. Ma appena metto il naso fuori dall’ufficio impazzisco: il mondo del lavoro è pieno di scappati di casa». ha detto in una recente intervista al Corriere della Sera, affermando: «Le aziende assumono giovani incapaci per risparmiare. Ci ho a che fare ogni giorno».
Aranzulla, che lavora dalla sua casa di Citylife, a Milano, e possiede “domotica da centomila euro, bottoni d’allarme in ogni stanza, guardie armate in giardino, uno scaffale di manga e sei di manuali di alta pasticceria” ha omesso solo un piccolo particolare: lui i collaboratori non li assume e pretende che scrivano le schede per il suo sito, mediamente di diecimila battute, offrendo 40 euro. A quella cifra non puoi certo pretendere che ti chieda un colloquio il futuro Alan Turing.
Quand’è che abbiamo sdoganato i cafoni
Dagospia ha fatto la sua fortuna proprio con la sezione “Cafonal”. In una intervista al paparazzo Umberto Pizzi, che al sito fornisce il materiale fotografico per la rubrica, rilasciata a Giorgio Dell’Arti, Pizzi dice che l’era del Cafonal è cominciata “con Berlusconi nel ‘94. A Roma scesero i leghisti che venivano dalle montagne, urlanti, volgari, i veri cafoni. Una sera, al “Gilda”, un gruppo di leghisti e forzisti festeggiavano il compleanno di una collaboratrice. Tolgono la torta, la ragazza si sdraia sul tavolo e iniziano a versarle addosso lo champagne. Inizio a scattare, finisco la pellicola e dico: ‘Stop! fermate i giochi’. Cambio il rullino, batto il ciak e i politici ricominciano con lo champagne. Capii che quello era il mio lavoro: raccontare il cambiamento antropologico di una società, questo è il Cafonal”.