La vicenda del Covid mi ricorda quella di tutti gli scandali italiani, dal ponte Morandi al DC9 di Ustica alla strategia del terrore alle stragi di Stato. E’ come se il dolore si potesse lenire – e non si può, non si può – solo con una verità giudiziaria che sappiamo fin dall’inizio che non si può avere. Non si può avere perché in Italia la giustizia è profondamente intrecciata con i media, e i media sono infiltrati dal potere politico. Tutto è politica, in Italia.
E se in Italia tutto è politica, allora tutto è di parte, e quando qualcosa è di parte, quasi sicuramente non può essere la verità. Ho passato l’infanzia a sentir parlare del DC9 di Ustica, i miei genitori hanno passato trent’anni a sentir parlare della strage di Bologna, e altri mille casi mai chiusi e sempre riaperti, con sentenze passate in giudicato che non hanno mai mai mai fatto giustizia a nessuno. Sarà lo stesso con il Covid. Con una differenza. Se in un attentato c’è una responsabilità oggettiva, con tanto di persona che schiaccia un pulsante per far esplodere una bomba, in una pandemia è tutto più complicato. Chi davvero poteva essere interessato ad ammazzare decine di migliaia di persone? Chi ne avrebbe avuto un vantaggio?
Quindi, al massimo si tratta di errori. Errori senza dolo. E qui si arriva nel campo della politica. Per la sinistra Roberto Speranza era un mito, fino ad un anno e mezzo fa, e Attilio Fontana il peggiore di tutti. Per la destra Roberto Speranza e Domenico Arcuri erano due politici che facevano politica sulla pelle dei lombardi. E Attilio Fontana? Attilio Fontana non è stato sostenuto, dalla sua parte politica nazionale. La destra ha semplicemente lasciato il campo ai media, che hanno sparato a palle incatenate per 18 mesi, costruendo una realtà alla quale praticamente tutti i media si sono uniformati: la Lombardia ha avuto il record di casi e di morti perché ha fatto male le cose, perché c’è la sanità privata e non pubblica, perché rubano tutti.
Alcuni, come De Luca, sono arrivati a mettere in discussione lo stile di vita. Dissero: lavorano lavorano, e poi sono morti. Come se il problema delle nostre terre fosse il fatto che lavoriamo. Poi, pian piano, le verità arrivano. Arriva l’archiviazione sul Pio Albergo Trivulzio. Ma se lo dici, ti rispondono che però i magistrati hanno rilevato grandi responsabilità della Regione. Ma dai? E allora perché non hanno chiesto il processo? Niente, ci si avvita. Neanche le sentenze spengono il fuoco. L’altra sera Report ha fatto tutto un servizio sul fatto che il numero uno dell’assessorato alla sanità di Regione Lombardia implorava mezzo pianeta perché chiudessero la Lombardia, perché il governo non lo voleva fare.
Eppure, nella stessa trasmissione, la tesi è che il dirigente numero uno di Regione, Luigi Cajazzo, andava in giro a implorare la zona rossa non perché la Regione stava implorando la zona rossa (come possono testimoniare tutti i presidenti di Regione che partecipavano alle riunioni con Speranza), ma perché la Regione non voleva la zona rossa. Come se il direttore generale del Welfare agisse da solo, come eroe in un ente ostile. Mi rendo conto, è inutile spiegarlo. Tanto chi sta leggendo, o chi sta ascoltando questa rubrica radiofonica, ha già scelto da che parte stare. Come fu per le stragi, il Dc9 e tutti gli altri misteri italiani.