Perchè questo articolo dovrebbe interessarti? Come il tamarro di cui cantavano dagli Articoli 31, il frontaliere italiano non sarà forse mai di moda, ma è sempre in voga. Gli sviluppi del fenomeno dopo l’introduzione del protocollo tra Italia-Svizzera e il caso degli autisti di bus di Bolzano. E – sorpresa – cresce anche il trend opposto, quello dei “frontalieri al contrario” che vengono a vivere in Italia
Esiste un universo in cui una paga di oltre 2.400 euro mensili (lordi) per guidare un autobus sono troppo pochi. E’ l’universo dei frontalieri. Succede a Bolzano, dove l’azienda di trasporti Sasa ha visto in appena venti mesi ben 110 autisti decidere di dimettersi. Varie le ragioni: i conducenti lamentano turni poco sopportabili, mezzi in pessime condizioni e le sempre crescenti intemperanze dei passeggeri. Ma soprattutto, paghe troppo basse se confrontate con il settore privato o con quanto sono pagati i colleghi in Austria. Dando un’occhiata ai bilanci di Sasa, non si può dire che l’azienda non stia impegnando risorse per il proprio personale. Le paghe sono di 2.134 euro mensili lordi per i giovani professionisti e 2.467 euro per gli autisti esperti. Ed è stata anche offerta la patente gratuita ad aspiranti autisti previo vincolo quinquennale al posto di lavoro. Ma l’esodo non si arresta.
Il nuovo Protocollo sull’imposizione tra Italia e Svizzera
La tentazione del lavoro oltreconfine continua dunque ad essere forte per gli “italiani di frontiera”. Sudtirolesi, veneti, friulani verso l’Austria. E lombardi verso la Svizzera. Anche se questo 2023 è un anno storico, che potrebbe cambiare gli equilibri: due mesi fa è stato infatti firmato il protocollo che modifica la convenzione tra Svizzera e Italia sull’imposizione dei frontalieri. L’obiettivo è evitare le doppie imposizioni. Con il nuovo accordo, la Svizzera trattiene l’80% dell’imposta alla fonte regolarmente prelevata sul reddito dei nuovi frontalieri che lavoreranno in Svizzera. I nuovi lavoratori frontalieri saranno tassati in via ordinaria anche in Italia, con la concessione di un “credito di imposta”: le autorità italiane detraggono dalle imposte richieste la somma trattenuta alla fonte dalle autorità elvetiche. Sino a prima del nuovo accordo, il 100% del salario dei frontalieri italiani era tassato in Svizzera. Dialogando con la Tv Svizzera, Kathrin Egli Arginelli, vicedirettrice della Divisione delle contribuzioni del Canton Ticino ha fatto un esempio concreto: “Se il lavoratore guadagna in Svizzera 50mila franchi (equivalenti a 50mila euro), l’Italia tassa tutti questi 50mila euro, ovvero preleva 18.500 euro [aliquota Irpef al 37% per i redditi tra 28mila e 100mila euro, ndr.]. Da questi 18’500 euro viene poi detratto quanto già prelevato in Svizzera. Nel caso di una persona single, si tratta di circa 3mila euro”.
Un mercato svizzero del lavoro meno attrattivo?
Si viene a creare insomma una cesura tra vecchi e nuovi frontalieri. I secondi dovranno presentare una dichiarazione dei redditi in Italia, cosa che sui salari guadagnati in Svizzera i vecchi frontalieri non devono fare. “Da un punto di vista fiscale, è come se il nuovo frontaliere lavorasse in Italia. È presumibile, dunque, che il carico fiscale del nuovo frontaliere sia più alto. Questo dovrebbe teoricamente togliere parte dell’attrattività del mercato svizzero del lavoro“, annota Arginelli.
La ricerca italo-svizzera: il futuro del lavoro frontaliero
La fine di un’epoca? Si vedrà. Quello che appare è che sembra ormai appartenere solo ad una piccola parte della popolazione cantonese quello che era un tempo la diffusa malsopportazione verso i transfrontalieri italiani. Emblematiche restano le cicliche campagne dei partiti nazionalisti elvetici che rappresentavano gli italiani come topi intenti a rubare il formaggio (svizzero). Se è certo che molti lavoratori italiani sono allettati da un lavoro oltre la frontiera, è altrettanto vero che la Svizzera ha quanto mai bisogno di tali lavoratori. E’ emerso chiaramente dalle conclusioni del Masterplan Formazione Insubria 2030, documento di visione strategica pubblicato un anno fa, frutto di un lavoro pluriennale che ha visto quali partner del progetto LIUC – Università Carlo Cattaneo, PTSCLAS, Università dell’Insubria, SUPSI-Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana e Dipartimento dell’Educazione, della Cultura e dello Sport del Cantone Ticino. Quali le conclusioni? Oggi la manodopera italiana arriva fino al 40% in diverse aziende metalmeccaniche ticinesi, ma si registra (su entrambi i lati della frontiera, per la verità) una carenza di profili qualificati specialistici e digitali. I settori presi in esame sono quelli metalmeccanico, informatico, chimico-farmaceutico, bancario, edilizio. Come si esce dal disallineamento tra domanda e offerta di lavoro nella regione insubrica? La ricetta potrebbe essere un maggiore dialogo tra i due modelli scolastici: quello italiano più umanistico e generalista e quello ticinese più tecnico e d’impresa. Una ricerca che pare naturalmente dare per scontato un futuro in cui i movimenti alla frontiera non diminuiranno d’intensità.
E ci sono anche i frontalieri al contrario. A Varese lo hanno già capito…
Un altro studio significativo è quello condotto dall’Ufficio di Statistica del Canton Ticino sui… frontalieri al contrario. Ovvero sui cantonesi che scelgono di venire a vivere in Italia perchè il costo della vita in Svizzera è divenuto insostenibile. Un fenomeno in aumento, anche se di proporzioni ancora relativamente modeste: tra il 2013 ed il 2019 (periodo preso in esame dai ricercatori), da 800 il loro numero è salito a 1.200. Certamente ancora pochi rispetto ai 77mila frontalieri che dall’Italia vanno ogni giorno a lavorare in Svizzera. Ma la ratifica del nuovo protocollo apre a nuovi scenari. Lo ha capito ad esempio il sindaco di Varese Davide Galimberti, che ha prontamente lanciato già a inizio 2023 la campagna “Lavoro in Svizzera ma vivo a Varese”, per attirare nelle proprie mura cittadini dalle elevate capacità di spesa.