Gianfranco Fini e Italo Bocchino tornano sugli scudi? Lo riporta Dagospia sottolineando il quasi contemporaneo rilancio della presenza pubblica dei due “grandi vecchi” della destra sociale che Giorgia Meloni, dopo averli ascoltati a lungo nella fase dell’ascesa verso il potere, ha cercato di mettere ai margini una volta raggiunto Palazzo Chigi.
Il ritorno di Fini e Bocchino agita Meloni
La testata di Roberto D’Agostino segnala infatti che nella giornata del 13 marzo sarebbero andati in scena dei curiosi intrecci. Si riporta una passeggiata di Fini in Transatlantico in mezzo a una pattuglia di deputati di Fratelli d’Italia, che hanno sfidato la fatwa meloniana lanciata dopo la controversa intervista di Fini a Mezz’ora in più in cui l’ex ministro degli Esteri e presidente della Camera ha invitato il capo del governo a abbracciare l’antifascismo.
Ma non finisce qui. Italo Bocchino è dato da Dagospia come in ascesa verso un ruolo di peso. Ovvero quello di consigliere personale di Matteo Salvini, che da ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti e segretario della Lega, nonché da vicepremier, è primo alleato e primo rivale della Meloni in seno all’esecutivo. Per l’ex parlamentare e giornalista che definisce pubblicamente Meloni “la nuova Merkel” un modo per sfuggire al cono d’ombra a cui l’ascesa di Fdi al governo l’ha relegato.
Attorno Fdi c’è un passato che non passa. Lo ha scelto Giorgia Meloni, costruendo la narrativa degli hobbit, della generazione Atreju, della “Fiamma Magica” passata dalla militanza territoriale nella periferia di Roma al comando dello Stato (pardon, della Nazione).
Il peso dell’eredità storica per Meloni
Di recente Meloni ha candidato alle regionali prima Paolo Truzzu, suo compagno di militanza giovanile, in Sardegna e poi il presidente uscente Marco Marsilio, colui che aprì a “Io sono Giorgia” il circolo del Fronte della Gioventù di Colle Oppio, in Abruzzo. Lo stato maggiore meloniano è costituito dalla sorella Arianna, dal cognato-ministro Francesco Lollobrigida e dal nume tutelare della generazione Atreju, il sottosegretario di Stato Giovanbattista Fazzolari.
Scegliendo di promuovere il cerchio dei fedelissimi Meloni ha, implicitamente, ridato peso a quel mondo di Alleanza Nazionale che ai giovani di Atreju, tra fine Anni Novanta e primi Anni Duemila, ha dato visibilità e spazio. Permettendo loro di passare da Colle Oppio a Montecitorio e Palazzo Madama. Una generazione di notabili che ha in Fini soprattutto e in Bocchino poi due simboli. I simboli della mediazione tra il vecchio Movimento Sociale Italiano e il sistema istituzionale e democratico.
Ansia da prestazione e battitori liberi
Si crea in quest’ottica una strana procedura. Chi nell’Msi ha militato a alti livelli, o l’ha addirittura guidato come Fini, fa professione di moderazione. Chi è arrivato dopo, invece, o viene dalla militanza giovanile, riscopre la destra sociale contestataria e della destra vecchio stampo rivendica, maggiormente, l’eredità.
L’ansia da prestazione da “il domani appartiene a noi” sta portando, in un certo senso, a passi di lato su posizioni come l’accettazione della dinamica resistenziale da parte di esponenti di Fdi, la volontà di costruire una cultura politica di governo e la rivendicazione di una lotta quasi ontologica con le istanze della Sinistra a cui Meloni, al governo, aveva quasi dato idea di voler rinunciare.
La premier si trova in una posizione complessa. Deve governare e convivere con le istanze “movimentiste” del suo partito. Ma al contempo anche essere punto di riferimento per una destra di governo. E, en passant, fare i conti con i “grandi vecchi” e le loro pressioni.
Fini e Bocchino, battitori liberi, sono le memorie viventi, ormai esterne ai palazzi, della destra sociale che fu. Consiglieri interessati e sgraditi ora alla premier perché capaci di ricordarle la necessità di maturare per affrontare le sfide del governo.
L’ansia di controllo della premier
Ma al contempo figure che sfuggono al rapporto verticistico di controllo su cui Meloni sta costruendo, blindandola attorno alla “Fiamma magica”, l’azione di governo. Vederli muoversi autonomamente o, nel caso di Bocchino, “passare al nemico” sicuramente fa infuriare la premier. La quale vive da mesi in una situazione di stato d’assedio che trapela anche ogniqualvolta uno dei ministri con le spalle larghe, come Guido Crosetto o Carlo Nordio, si permette una sortita su temi che vanno dalla politica estera alla giustizia.
Mentre si analizza quanto possa guardare al futuro l’agenda Meloni dunque subisce l’inevitabile richiamo di un passato che non passa. E mostra quanto ancora debba maturare per espandersi come forza di governo una destra sociale in cui i rapporti personali, familiari, amicali vanno di pari passo con la cultura politica. Creando una commistione che può creare cortocircuiti e imbarazzi al presidente del Consiglio.