Perché leggere questo articolo? Le parole di Ignazio La Russa sul necessario “ridimensionamento” dei poteri del Capo dello Stato e l’arrivo del ddl sul premierato in Commissione a Palazzo Madama hanno ravvivato il dibattito sulle riforme costituzionali. Ma, dietro le polemiche tra maggioranza e opposizione, si studiano possibili convergenze.
Per capire come andrà a finire questo nuovo capitolo della storia delle riforme costituzionali bisogna scovare i parlamentari più esperti. Quelli scafati, in grado di riuscire a vedere oltre i duelli all’arma bianca che in questi giorni stanno animando le fila della maggioranza e dell’opposizione. Al netto delle polemiche sulle frasi del presidente del Senato Ignazio La Russa sul “ridimensionamento” dei poteri del Capo dello Stato e le conseguenti repliche indignate delle opposizioni, nel sottobosco del Parlamento emergono ipotesi, si tratteggiano scenari, infine si scommette su un passo indietro della premier Giorgia Meloni.
L’obiettivo? Una riforma condivisa
La tesi, che trova sempre più sostenitori tra i corridoi dei Palazzi della politica, è che alla fine la bozza definitiva delle riforme istituzionali sarà molto differente rispetto a quella arrivata due giorni fa in Commissione Affari Costituzionali al Senato. La convinzione è che il “vero testo” arriverà tra qualche mese sul tavolo dei leader dei vari partiti. Il che, secondo i rumors, è anche l’obiettivo del Quirinale. Una riforma sì, ma approvata con la massima condivisione possibile. Quindi senza ricorrere a un voto referendario che, in fondo, rappresenta un’incognita soprattutto per la premier Meloni e per tutto il centrodestra.
Lo scenario: il sì di Renzi e Calenda alla riforma
Ecco lo scenario che sta prendendo piede, sotto la superficie delle polemiche tra Fratelli d’Italia da un lato e Cinque Stelle e Pd dall’altro. Una bozza diversa, come dicevamo. Con maggiori contrappesi parlamentari e per il Capo dello Stato rispetto a ciò di cui si sta discutendo in questi giorni. E poi un nuovo perimetro politico per le riforme. Con alcuni ritocchi che permetteranno a Matteo Renzi e a Carlo Calenda di appoggiare il nuovo testo, tagliando fuori il Pd di Elly Schlein, sempre se la segretaria riuscirà a mantenersi al timone del Nazareno dopo il voto per le elezioni europee. Un allargamento della maggioranza pro-riforme che permetterebbe a Meloni di schivare il test al buio del referendum popolare.
Balboni (Fdi): “Allargare il confronto”
A dimostrazione di ciò c’è la notizia di nuove audizioni in Commissione Affari Costituzionali in Senato. Il 9 gennaio saranno ascoltati anche esperti francesi e tedeschi. E Alberto Balboni, presidente della Commissione, di Fratelli d’Italia, usa la carota con le opposizioni: “Non c’è alcuna volontà di comprimere il confronto, anzi c’è la volontà di allargarlo il più possibile”.
Tabacci: “No a questa riforma, ma sì alla sfiducia costruttiva”
Dietro la ruvidezza delle frasi, tra le righe lascia qualche spiraglio il deputato Bruno Tabacci, esperto navigatore del Palazzo. “Il modello che hanno presentato ora, che è quello dell’elezione dei presidenti di Regione, è un disastro”, esordisce Tabacci parlando con True-News.it. “Con il Titolo V sono stati fatti disastri inenarrabili”, prosegue l’ex democristiano. Che però aggiunge: “Io sono radicalmente contrario alla riforma così come è impostata, ma la sfiducia costruttiva sul modello tedesco è una cosa che si potrebbe fare. Solo che al momento la maggioranza mi pare che voglia andare avanti così”. Per il momento, appunto.