Perché questo articolo potrebbe interessarti? Dopo la sconfitta alle elezioni politiche del 25 settembre e l’annuncio del nuovo congresso del Pd è tornato di attualità un tema che si ripropone ciclicamente, ovvero il rinnovamento della classe dirigente dei dem. Come accaduto in passato più volte, giornali e talk show parlano di nuovo della “rabbia” dei giovani del Pd. Una critica ai vertici del Nazareno che ora sta prendendo forma nel movimento “Coraggio Pd”, animato, tra gli altri, dal capogruppo Pd in Europa Brando Benifei, 36 anni. E, per l’ennesima volta, si affaccia una speranza per la leadership. Parliamo della 37enne Elly Schlein, in corsa per la segreteria. Ma troppo spesso le facce nuove del Pd si sono rivelate un ballon d’essai e sono svanite dalla scena politica.
L’unico che ce l’aveva fatta è uscito dal gruppo. Gli altri si sono accomodati su posizioni di seconda fila o sono spariti dai radar. Troppo difficile scalare la piramide del Pd per un trenta-quarantenne. Tanto che Matteo Renzi, partito come rottamatore ormai più di dieci anni fa, adesso si ritrova a fare il capo di un piccolo partito di centro, più a suo agio nelle vesti di guastatore che di leader dei progressisti italiani. Eppure, Renzi, era riuscito nell’impresa di conquistare il Nazareno partendo da sindaco di Firenze. Un percorso che cominciò a concretizzarsi dalla sfida delle primarie del 2012 contro Pierluigi Bersani. Un confronto perso, che però lo aveva portato, nel giro di due anni, a diventare segretario e poi presidente del Consiglio. Solo che la rottamazione è rimasta a metà e il renzismo ha assorbito più che rottamato la vecchia classe dirigente.
La parabola di Pippo Civati
Alla prima kermesse della Leopolda, nel 2010, al fianco di Renzi c’era un altro giovane rampante, Pippo Civati. Anche l’allora consigliere regionale della Lombardia aveva acceso gli entusiasmi di tanti giovani democratici. A differenza di Renzi, però, Civati rimane un outsider. Litiga con l’ex amico diventato leader, viene eletto deputato, lo sfida alle primarie del 2013 che consacrano il renzismo. Poi esce dal Pd e fonda il movimento Possibile. Ora è un meme da social più che un capo della sinistra.
I tre giovani di Bersani: Speranza, Moretti e Giuntella
Ma tra il 2012 e il 2013 anche l’ala sinistra più tradizionale aveva provato a esprimere dei volti nuovi. Alle primarie di dieci anni fa Bersani per fare concorrenza a Renzi aveva schierato in prima linea tre under 40: Roberto Speranza, Alessandra Moretti e Tommaso Giuntella. Speranza ha seguito il suo mentore in Articolo 1 ed ha fatto il ministro, ma non ha il carisma del leader. Moretti a un certo punto è diventata renziana e ora è europarlamentare dem. Giuntella fa il giornalista ad Agorà, su Rai3. A sinistra sembravano avere un futuro anche i Giovani Turchi di Matteo Orfini e Andrea Orlando. Ma ora, passati i quarant’anni, la corrente è divisa e Orfini e Orlando potrebbero correre l’uno contro l’altro al prossimo congresso, ma senza chances di vittoria.
Da Fassina a Santori
All’inizio con loro c’era Stefano Fassina, uscito dal Pd nel 2015, ha poi aderito a LeU con Speranza e Bersani, alle ultime elezioni ha dichiarato il suo voto per il M5s. E che dire di Federica Mogherini, giovane donna dem diventata addirittura ministro degli Esteri Ue nel 2014. Ora ha lasciato la politica ed è rettrice del prestigioso Collegio d’Europa. Infine i movimenti. Da Occupy Pd che occupava le sezioni nel 2013 al civismo delle Sardine. Tra il 2019 e il 2020 il capo dei pesciolini bolognesi, Mattia Santori, sembrava l’astro nascente in grado di svecchiare il partito a colpi di anti-salvinismo. Santori è entrato nel Pd è si è fatto eleggere consigliere comunale a Bologna a 34 anni, nel 2021. Ora si parla di lui per la sua proposta naif su uno stadio di frisbee da costruire nel capoluogo emiliano o per la sua confessione di coltivare cannabis in casa.