Mario Draghi ha presentato nella giornata del 9 settembre il corposo rapporto sulla competitività europea commissionatogli dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. La conferenza stampa congiunta Draghi-von der Leyen ha aperto la strada a ampie discussioni sull’effettiva attuabilità di un’agenda di rottura che bisognerà capire in che misura sarà adottata, integralmente o parzialmente, come bussola per il secondo quinquennio dell’era von der Leyen.
I dubbi tedeschi sul piano-Draghi
Le richieste di Draghi sono ambiziose: 800 miliardi di euro di investimenti, rilancio della capacità europea in difesa, sicurezza, innovazione; politiche industriali comuni e scelte sulla concorrenza capaci di aprire la strada a colossi europei nei settori cruciali per l’economia globale; un rilancio dell’autonomia dell’Europa e delle capacità di approvvigionamento di materie prime in varie parti del mondo. A finanziare il tutto un progetto di riforma del bilancio europeo e l’idea di rilanciare gli strumenti di debito comune già promossi tramite la Recovery and Resilience Facility del 2020-2021.
A ben guardare, tali proposte appaiono strutturate politicamente per far sì che il principale ostacolo alla loro applicazione possa essere il Paese della stessa von der Leyen, la Germania. Il Paese che esprime la presidente della Commissione e il suo partito, l’Unione Cristiano-Democratica (Cdu) che punta al ritorno al potere a Berlino al voto del 2025 potrebbero avere nette contrarietà alla programmazione promossa dal report. Questo per quattro motivi fondamentali.
In primo luogo, il piano-Draghi nasce con la premessa di chiudere, una volta per tutte, la fase del rigore, dell’austerità, della depressione degli investimenti di taglio strategico. Una linea in contraddizione con le nuove proposte che il governo di Olaf Scholz, pressato dal falco liberale delle Finanze, Christian Lindner, ha promosso con la riforma del Patto di Stabilità.
L’ombra di Afd sull’appoggio tedesco a Draghi
Inoltre, il rifiuto di Berlino a nuove forme di messa in comune del debito è pressoché da dare per scontata visto che il leader della Cdu, Friedrich Merz, ha già ribadito che in caso di vittoria alle elezioni del 2025 l’esperienza del post-Covid non sarà ripetuta.
Questo, in secondo luogo, pone il tema dell’appuntamento elettorale del prossimo anno al centro del discorso. Anche alla luce del recente successo elettorale di Alternative fur Deutschland.
I populisti di destra tedeschi sono diversi, nella loro impostazione euroscettica, da partiti come la Lega o il Rassemblement National, che all’Europa chiedono soprattutto di evitare politiche eccessivamente repressive dal punto di vista fiscale. Afd chiede meno Europa per la Germania soprattutto nel senso di meno, presunta generosità fiscale da parte dei Paesi pro-austerità al resto del blocco. Ed essendo Draghi tutto fuorché una figura di ampia popolarità in Germania, assecondare la sua agenda sarebbe rischioso per qualsiasi politico dell’attuale maggioranza a guida socialdemocratica. E risulterebbe in benzina elettorale per l’ultradestra.
Ci sono, poi, dei motivi specificatamente concreti nel definire una possibile ostilità concreta della Germania all’agenda-Draghi. Questo a prescindere di contingenti dinamiche politico-elettorali.
Difesa e industria
Terzo punto, infatti, è il nodo dell’agenda industriale che Draghi chiede di plasmare tramite aggregazioni sovranazionali e fusioni tra attori comunitari in determinati comparti. Un’agenda politica che sembra più simile a quella della Francia di Emmanuel Macron e del commissario all’Industria Thierry Breton che alla concezione tedesca del governo della concorrenza tramite il minimo gradiente possibile di “mano” pubblica. Come del resto farà storcere il naso a molti nell’industria esportatrice tedesca la nozione di Draghi della priorità della sicurezza sui surplus commerciali visti invece come vitali a Berlino.
C’è, infine, il nodo della Difesa. Draghi chiede investimenti massicci per rendere sempre più centrato sul procurement europeo di mezzi il programma di riarmo del Vecchio Continente. Potrà, questo, soddisfare fino in fondo la Germania? Berlino ha un’ottima industria dei carri, ad esempio, ma il suo piano di un caccia congiunto con Parigi, il Fcas, non decolla. E nel frattempo su dossier come l’armamento anti-aereo Berlino persegue una linea non europeista. Spinge, infatti, per l’European Sky Shield Initiative (Essi) armato con missili americani Patriot. Insomma, non certamente quanto in linea con i desiderata di Draghi. Ultima, ma non per importanza, tra le tematiche che vedranno il report presentato a Bruxelles messo in discussione soprattutto a Berlino…