Baronessa Ottavia Penna, coniugata Buscemi. Chissà se a qualcuna delle firmatarie dell’appello lanciato dalla scrittrice Dacia Maraini perché il prossimo Presidente della Repubblica possa essere finalmente una donna (abbiamo avuto dodici capi dello Stato, tutti uomini, dal 1946 ad oggi), il nome della nobildonna siciliana dica qualcosa. Eppure Ottavia Penna Buscemi è stata la prima donna a essere votata in una elezione per la carica di Presidente della Repubblica (si sceglieva il Capo provvisorio dello Stato nella prima elezione dopo il referendum che aveva messo in soffitta la monarchia). E anche l’unica donna che ancora oggi potrebbe vantare di essere stata la terza più suffragata in una elezione presidenziale, quella che proclamò Enrico De Nicola primo Presidente. Ottavia Penna Buscemi, allora sedeva, unica donna eletta, sui banchi del Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini.
Una donna presidente: l’ultimo tabù da abbattere in politica
Bisognerà aspettare oltre trent’anni perché il nome di una donna torni ad affacciarsi nella corsa al Quirinale, un traguardo che non sarà mai raggiunto e che in molti ritengono l’ultimo tabù da abbattere in politica, insieme a quello di una donna Presidente del Consiglio dei ministri.
Nelle ipotesi quirinalizie che si fanno in questi giorni, spesso le due cariche sono collegate: se Draghi, per esempio, salisse al Colle, molti ritengono che a prendere il suo posto a Palazzo Chigi possa essere l’attuale ministro della Giustizia Marta Cartabia, che nell’attuale esecutivo è entrata come tecnica.
Se Draghi resta al suo posto, ipotesi Cartabia per il Quirinale
Allo stesso tempo, se Draghi prolungasse la sua permanenza a capo del governo e Mattarella fosse accontentato nel suo desiderio di non ripercorrere le orme del suo predecessore Napolitano con un incarico bis, per il Colle si fanno i nomi di alcune donne: dalla stessa Cartabia, all’attuale vicepresidente e assessore al Welfare della Regione Lombardia Letizia Moratti (vent’anni fa ministro dell’Istruzione nel governo Berlusconi), all’ex ministro della Giustizia nel governo Monti Paola Severino per la quale, però, potrebbero nascere conflitti di interesse. Il Presidente della Repubblica, infatti, presiede anche il Consiglio Superiore della Magistratura, ed essendo, la Severino, penalista, l’avvocato difensore di alcuni imputati in processi eccellenti, sui quali i giudici devono ancora pronunciarsi in vari gradi di giudizio (Eni-Nigeria, Processo a Giovanni Castellucci per le 43 vittime del Ponte Morandi, flussi di denaro alla fondazione Open, dove è legale di fiducia di Maria Elena Boschi), il vulnus, come evidenziato da un approfondito articolo di Giorgio Meletti sul “Domani“, è evidente.
Torna ad affacciarsi ancora una volta anche il nome di Emma Bonino, che è stato quello più spesso tirato in ballo in molte delle passate elezioni per il Capo dello Stato, tanto che nel 1999 si creò un movimento di opinione, poi sfociato in un vero e proprio comitato, “Emma for president”.
I quattro voti per Camilla Cederna nel 1978
Le prime donne i cui nomi uscirono dall’urna in cui i cosiddetti Grandi elettori depongono la loro scheda furono però nel 1978 la giornalista Camilla Cederna, la vedova di Aldo Moro, Eleonora “Noretta” Chiavarelli, e l’ex partigiana Ines Boffardi (Dc). Si procedeva all’elezione del successore di Giovanni Leone, che si era dimesso proprio a seguito di una furiosa campagna stampa, culminata nel libro “Giovanni Leone – La carriera di un presidente”, condotta dalla Cederna contro di lui dopo lo scandalo Lockeed, al quale – si scoprirà solo più tardi – il giurista napoletano era completamente estraneo (la giornalista fu condannata per diffamazione). Il cadavere di Aldo Moro era stato fatto ritrovare circa un mese e mezzo prima, il 9 maggio, in via Caetani a Roma dalle Brigate rosse, che lo avevano tenuto prigioniero per 55 giorni, dopo aver ucciso i cinque uomini della sua scorta in via Fani.
Dall’urna uscirono quattro voti per Camilla Cederna, tre per la vedova Moro, due per la Boffardi. Un magrissimo “bottino” quest’ultimo che suscitò l’ilarità di molti presenti, tanto che dovette intervenire il presidente della Camera che presiedeva i lavori per zittirli: “Colleghi, non c’è nulla da ridere, anche una donna può essere eletta!”. Era Sandro Pertini, che al sedicesimo scrutinio sarebbe passato da terza a prima carica dello Stato.
Il record di preferenze lo detiene ancora Nilde Iotti
Nelle elezioni successive, quelle del 1985 e del 1992 (nella prima Camilla Cederna raccolse ancora un volta tre voti) a farsi largo fu il nome della democristiana ed ex partigiana Tina Anselmi (prima donna ministro in Italia), ma non superò le 19 preferenze. Fu invece Nilde Iotti, indicata come candidata di bandiera dal Pds nel 1992 ad ottenere un massimo di 256 voti (non sufficienti a superare il quorum), che rimane ancora oggi il record di preferenze ottenuto da una donna in una elezione presidenziale. A essere eletto fu quella volta Oscar Luigi Scalfaro.
Nel 2006 ritorna il nome di Emma Bonino, insieme a quelli di Anna Finocchiaro e di Franca Rame, proposto dall’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Ma i voti racimolati sono poche decine.
I Cinque Stelle e la scommessa Gabanelli
Nel 2013 spunta il nome della giornalista Milena Gabanelli, che viene indicata dal Movimento Cinque Stelle dopo che alle “Quirinarie” lanciate sul blog la conduttrice di “Report” raccoglie 6mila preferenze. La giornalista ringrazia ma declina l’invito. I 5 Stelle punteranno le loro fiche su Stefano Rodotà, mentre nel centrosinistra si consuma il parricidio di Romano Prodi, impallinato dai famosi 101 franchi tiratori. Verrà rieletto Giorgio Napolitano.
Segre, Bindi, Finocchiaro: candidature di bandiera
Per le operazioni di voto che si apriranno il 24 gennaio prossimo sono stati fatti anche i nomi della senatrice Liliana Segre (una petizione è stata lanciata dal Fatto quotidiano, ma la 91enne ex deportata e testimone della Shoah, ringraziando, ha detto che non ha l’età per un compito così gravoso) e quelli di Rosy Bindi e, ancora una volta Anna Finocchiaro (che dopo 31 anni ininterrotti non siede più in Parlamento): per entrambi, però, nel caso si profila più una candidatura di bandiera o di disturbo che una vera competizione per ascendere al Quirinale.
Le uniche donne al Quirinale restano le “first lady”
A destra, in alternativa a quello di Silvio Berlusconi, salgono le quotazioni della presidente del Senato Casellati. Ma il sospetto è che, nonostante appelli e petizioni (ci hanno messo la firma, tra le tante, Liliana Cavani, Fiorella Mannoia, Edith Bruck, Luciana Littizzetto, Sabina Guzzanti) anche stavolta la partita si svolgerà tutta al maschile. Per cui negli annali della storia della Repubblica italiana, le uniche donne al Quirinale saranno state le “first lady” che vi hanno soggiornato negli anni di permanenza del consorte come Capo dello Stato.
Il ricordo di alcune di loro è rimasto impresso: si pensi a Franca Ciampi (oggi ha 101 anni), moglie di Carlo Azeglio, sempre presente in tutte le occasioni ufficiali. O all’elegante e affascinante “donna” Vittoria Leone, che sovrastava in altezza il marito. O, ancora, a Maria Clio Bittoni Napolitano che in Parlamento, riunito in seduta congiunta, assistette ai lavori con accanto la nipotina. L’unica che scelse di non abitare nelle stanze dell’ex palazzo papale fu Carla Voltolina, moglie di Sandro Pertini, che dichiarò: “Non ho nessuna intenzione di seguirlo al Quirinale bardata come una Madonna”. Mantenne la promessa. Per vederla insieme al marito era più facile incrociarla nelle strade di Roma a bordo di una Fiat Cinquecento rossa. Era “La Peppa”, l’auto con la quale Carla e Sandro giravano per le strade della capitale. Due settimane prima di morire, Carla Voltolina fece dono dell’auto al Museo dell’automobile di Torino, consegnandola personalmente.