Perché questo articolo potrebbe interessarti? L’altro giorno il Quirinale ha smentito la notizia di un incontro che il Presidente della Repubblica Mattarella avrebbe avuto con l’ex premier Mario Draghi e il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni. Non è la prima volta che un Presidente viene “tirato per la giacca” in notizie che poi è costretto a smentire. I precedenti di Giorgio Napolitano e Oscar Luigi Scalfaro.
Con “divertito stupore”, il Quirinale ha smentito l’altro giorno la notizia, pubblicata da alcuni giornali, di un incontro del Presidente Sergio Mattarella con Mario Draghi e il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni.
“Al Quirinale si registra un divertito stupore per una ricostruzione decisamente fantasiosa fatta da diversi quotidiani sugli incontri del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei giorni scorsi”, ha scritto in una nota l’ufficio stampa.
Il divertito stupore del Quirinale
Non è la prima volta che il Quirinale è costretto a smentire alcune notizie riguardanti il Colle pubblicate dai giornali. E’ già accaduto in passato con altri Presidenti della Repubblica prima di Mattarella. Vediamo quali sono stati i casi più clamorosi nella storia recente.
Al predecessore di Mattarella, Giorgio Napolitano, nel 2014 era toccato smentire le voci che erano circolate di sue possibili dimissioni. La formula usata, in quella occasione, era stata quella classica e, diciamo anche un po’ sovietica, in linea col personaggio, del “Quirinale non conferma né smentisce”. Da Napolitano non ci si poteva certo aspettare un “divertito stupore”.
Quando il Quirinale “non conferma né smentisce”
“I giornali – si leggeva nella nota diramata dal Colle – hanno dato ampio spazio a ipotesi e previsioni relative alle eventuali dimissioni del presidente della Repubblica. La presidenza della Repubblica non ha pertanto né da smentire né da confermare nessuna libera trattazione dell’argomento sulla stampa. E restano esclusiva responsabilità del capo dello Stato il bilancio di questa fase di straordinario prolungamento. Di conseguenza le decisioni che riterrà di dover prendere. Delle quali come sempre offrirà ampia motivazione alle istituzioni, all’opinione pubblica, ai cittadini”.
Sul portale storico della Presidenza della Repubblica, alla data del 28 settembre 2013, si trova il comunicato di un’altra smentita alla quale Napolitano fu costretto. “Alcuni giornali hanno riferito che il Presidente della Repubblica avrebbe cercato al telefono il Senatore Berlusconi, il quale avrebbe preferito non rispondere. Si smentisce nel modo più assoluto questa notizia del tutto inventata di sana pianta”.
Napolitano e la presunta interferenza nelle nomine
Pochi mesi dopo, il 15 aprile 2014, Napolitano fu costretto a un’altra smentita, che riguardava una sua presunta interferenza nelle nomine ai vertici delle aziende partecipate dallo Stato: “Il Quirinale smentisce che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia interferito con le nomine ai vertici delle partecipate pubbliche annunciate ieri sera dal governo. Nel colloquio di ieri mattina tra il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio [Matteo Renzi] sono apparse sulla stampa ricostruzioni fantasiose. Che addirittura attribuivano in qualche caso al capo dello Stato interventi nel merito di specifiche ipotesi di nomine in aziende pubbliche”, si leggeva in una nota della presidenza della Repubblica. “Nessun intervento del genere si è verificato, in quanto le responsabilità di decisione proprie del governo sono state pienamente rispettate”, concludeva il comunicato.
La smentita sulla grazia a Berlusconi
Anche Napolitano, in una occasione, abbandonò i toni istituzionali. Accadde quando il Quirinale definì “ridicole panzane” i rumors su accordi segreti per la concessione della grazia a Silvio Berlusconi. Che era condannato per frode fiscale nel processo Mediaset e per il quale il Senato sarebbe a breve chiamato a esprimersi per la decadenza dalla carica di parlamentare in virtù della legge Severino. La notizia era stata pubblicata dal Fatto quotidiano allora diretto da Antonio Padellaro.
Quel famoso “Io non ci sto” di Scalfaro
Una smentita non passata per l’ufficio stampa del Quirinale, ma destinata a rimanere nella storia è quella del presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. È il 29 ottobre del 1993, Scalfaro è al Quirinale da 19 mesi e sui giornali compaiono le prime indiscrezioni che arrivano dall’ex direttore amministrativo del Sisde, Maurizio Broccoletti, fuggito all’estero dopo le prime accuse sull’uso disinvolto dei fondi del servizio, dichiarò che diversi ex ministri dell’Interno avevano ricevuto versamenti mensili di 100 milioni di lire utilizzati per fini “non sempre istituzionali”. E tra loro citò proprio Oscar Luigi Scalfaro. Che, dopo aver meditato seriamente le dimissioni, il 3 novembre del 1993, contrattaccò con un messaggio a reti unificate e in una diretta tv che fece epoca: “Io non ci sto… a questo gioco al massacro. Occorre rimanere saldi e sereni poiché prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso e infame degli scandali”.