Appiattire Israele su Benjamin Netanyahu e le sue posizioni politiche è un errore, quando si parla della guerra a Gaza ma non solo. Come ogni Paese plurale e complesso, Israele vive una articolato sistema di equilibri e compromessi che si riflettono in una democrazia tanto vitale quanto fragile. E non per contesti legati a virate autoritarie, quanto proprio per la carenza di capacità della leadership di ricondurre a unità le diverse istanze del Paese. I continui cambi di governo e le elezioni a ripetizione degli ultimi anni lo testimoniano. Ma ci sono dei temi su cui sostanzialmente la maggior parte del sistema israeliano si compatta.
Netanyahu e la divisione nella democrazia israeliana
Su queste colonne abbiamo dato conto di come in seno al gabinetto di guerra israeliano si siano aperte divisioni sulla conduzione della guerra e di come Netanyahu sia considerato responsabile da parte della società per l’alto numero di vittime israeliane negli attacchi del 7 ottobre da un lato e per il prosieguo di un massacro senza obiettivi strategici chiari a Gaza. Tutto vero. A ciò bisogna aggiungere, però, che le basi dell’interesse nazionale israeliano sono trasversali.
Ad esempio, si può giustamente criticare il fatto che Potere Ebraico e altri alleati d’ultradestra impongano un’idea radicale per la soluzione del problema di Hamas. E che anche dentro al Likud ci siano voci estremistiche, come quella di May Golan, che si è detta “orgogliosa” delle macerie di Gaza. Ma al contempo non si può negare che la strategia di egemonia di Tel Aviv sul mondo palestinese sia condivisa anche da forze politiche distanti anni luce da Netanyahu.
La mozione bipartisan passa alla Knesset
Ieri, ad esempio, la Knesset, il Parlamento israeliano, ha votato a larga maggioranza, con 99 voti favorevoli su 120, per approvare una mozione che chiedeva al governo di respingere il riconoscimento dell’Autorità Nazionale Palestinese. La cui costituzione iniziò sostanzialmente nel 1993 con gli Accordi di Oslo. Tale processo non ha mai di fatto ottenuto il riconoscimento da Israele. Paese che per promuovere la nascita dell’Anp dovrebbe fare ciò che dal 1948 non ha mai voluto completare: il fattivo riconoscimento dei suoi confini geografici. Netanyahu ha ottenuto il sostegno anche del suo predecessore e leader dell’opposizione, Yair Lapid, e del leader del Partito di Unità Nazionale Benny Gantz, figura di destra moderata.
“Netanyahu ha portato il voto alla Knesset sulla scia delle notizie secondo cui gli Stati Uniti e diversi partner arabi stavano preparando un piano dettagliato per un accordo di pace globale tra Israele e palestinesi che include una “linea temporale ferma” per uno Stato palestinese”, nota il Times of Israel. Di fronte ai distinguo americani, “la posizione israeliana afferma che qualsiasi accordo permanente con i palestinesi deve essere raggiunto attraverso negoziati diretti tra le parti e non attraverso dettami internazionali”. Hanno votato con il Likud e la destra anche i partiti che, su altri dossier, sono scesi in campo contro Netanyahu, primi fra tutti i centristi e liberali ostili alla discussa riforma sulla giustizia.
Il caso Cassif
La Knesset ci ricorda che c’è un’Israele che non si può ridurre a Netanyahu e che l’imperfetta democrazia di Tel Aviv, spesso ostaggio del radicalismo, si esprime tramite consenso. E il consenso per l’idea di colpire e punire Hamas nel Paese è alto. Esprimendosi in voti compatti in sede di Knesset contro ogni tentativo di aprire la porta ai palestinesi. Questo va di pari passo, chiaramente, con una disamina critica della condotta del conflitto, ma appiattire tutto su “Bibi” è riduttivo.
Sempre al Knesset, ad esempio, nei giorni scorsi è fallito il tentativo di espellere il deputato Ofer Cassif per il suo dichiarato approccio ostile alla risposta israeliana a Gaza, accusata di produrre crimini di guerra. Servivano 90 voti a favore per espellere Cassif. Invece la mozione ha incassato 85 preferenze di deputati che hanno votato contro il deputato di estrema sinistra. La Knesset ha dunque bocciato la procedura “impeachment” e il suo promotore, Oded Forer, del partito di ultradestra Focolare Ebraico.
Cassif era stato messo sotto inchiesta in risposta al suo sostegno pubblico al caso del Sud Africa contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia. L’unico membro ebreo del partito Hadash-Ta’al a maggioranza araba è stato descritto come “traditore” dai suoi critici. Ma la mozione, sostenuta dal Likud di Netanyahu, non è andata a buon fine. Segno che c’è un Paese oltre “Bibi”, pro o contro le sue mosse che sia. Un dato di fatto che cozza con una narrazione troppo centrata sul primo ministro riguarda le sue strategie e la guerra a Gaza dominante nei media nostrani.