di Francesco Floris
Giornalisti intercettati. Nel caso di Nancy Porsia, giornalista d’inchiesta che da anni si occupa di Libia e immigrazione realizzando scoop importanti, addirittura per sei mesi. Anche mentre parla con il suo avvocato, Alessandra Ballerini, che è inoltre la legale della famiglia Regeni. Sta facendo discutere lo scoop di Andrea Palladino su Domani dove viene rivelato che nell’ambito delle inchieste sulle organizzazioni non governative e i soccorsi in mare condotte dalla Procura di Trapani diversi giornalisti sono stati intercettati. Mentre parlano fra di loro, con altri colleghi o con le loro fonti. Senza mai essere stati coinvolti nelle indagini.
Nell’elenco figurano la già citata Nancy Porsia ma anche Francesca Mannocchi (freelance che lavora per l’Espresso e numerose testate internazionali), Antonio Massari de Il Fatto Quotidiano, Fausto Biloslavo de Il Giornale, Sergio Scandura di Radio Radicale, Claudia Di Pasquale di Report e Nello Scavo di Avvenire. La ministra della Giustizia Marta Cartabia ha annunciato di volerci vedere chiaro e forse ci sono all’orizzonte ispezioni da parte del Ministero. Ma di chi è la responsabilità? Chi ha autorizzato quelle intercettazioni e nell’ambito di quale delle numerose inchieste che si sono succedute – per ora senza un nulla di fatto – sulle ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo?
La bufera sta coinvolgendo l’ex Ministro dell’Interno Marco Minniti, che ha preferito non commentare la vicenda, perché pare che il primo ordine di indagare sulle ong sia partito proprio dal Viminale il 12 dicembre 2016, subito dopo l’avvicendamento con Angelino Alfano. Ma nel mirino c’è anche l’intera Procura di Trapani oggi guidata dal Procuratore Maurizio Agnello.
Agnello ha subito voluto specificare come, all’epoca dei fatti – dall’estate 2017 in poi – lui non fosse nemmeno in servizio presso quell’ufficio giudiziario dove si è insediato come facente funzioni solo nel 2020. L’uomo che teneva le fila è invece il magistrato Alfredo Morvillo. Pensionato dal Csm nel 2020 per sopraggiunti limiti di età, Morvillo è il fratello di Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone morta insieme al giudice anti mafia e agli uomini della scorta durante la strage di Capaci. É Morvillo che, insieme al pm Andrea Tarondo che all’epoca coordinava il gruppo specializzato che si occupa dei reati relativi all’immigrazione clandestina, di cui facevano parte tre sostituti procuratori, cioè la metà della forza lavoro presso la procura di Trapani, ha disposto le intercettazioni sui giornalisti? E nel caso: perché utilizzare metodi così spinti e al limite, anche della legge? La domanda è legittima visto che il predecessore di Morvillo a Trapani fino al 9 agosto 2017, il giudice Ambrogio Cartosio (oggi in servizio a Termini Imerese), che pure aveva aperto la prima inchiesta sulla ong tedesca Jugend Rettet portando al sequestro preventivo della nave Juventa il 3 agosto 2017, pochi giorni prima di lasciare l’incarico, aveva idee parecchio differenti sui metodi da utilizzare per contrastare l’immigrazione illegale via mare.
“L’imperativo quasi unico, direi totalizzante, di una Ong è salvare vite umane” dice il giudice Cartosio il 17 maggio 2017 davanti ai parlamentari del Comitato Schengen, anticipando di avere un fascicolo aperto ma senza specificare su quale Ong. “Questo comporta inevitabilmente che i componenti dell’Ong hanno necessità di non collaborare molto disinvoltamente con le autorità di polizia dei luoghi in cui vengono a operare, perché questo potrebbe implicare sanzioni per le persone che loro aiutano non conformi al loro dettato morale” spiegava Cartosio facendo un esempio.
“Su questo voglio essere chiaro: non compete sicuramente a noi magistrati entrare negli aspetti morali della questione, ma negli aspetti giuridici sì. Consideriamo che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina comporta anche in qualche caso che, se un ragazzo, ad esempio, somalo il quale è stato detenuto in un campo di concentramento in Libia e poi è stato stipato dai trafficanti in un’imbarcazione a un certo momento nel corso della navigazione ritiene di mettersi alla guida di quell’imbarcazione, questo ragazzo per la legislazione italiana ha commesso il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, quindi va incontro a una pena che, se non ricordo male, può andare fino a quindici anni di carcere. Siccome il problema mi è stato posto più volte, mi rendo conto della difficoltà che ha un appartenente a un’Ong a collaborare con le autorità di polizia locali, esponendo un soggetto di questo tipo a questo livello di sanzione”. E ancora dice Ambrogio Cartosio: “Naturalmente, se emergeranno elementi probatori o indiziari in base ai quali, per il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, fossimo costretti a contestare questo reato anche a un soggetto che svolge un’azione umanitaria, noi saremmo obbligati a muovere anche questo tipo di accusa, ma non è lo scopo principale dell’indagine della Procura di Trapani”.
Come del resto il Procuratore mostra in quei giorni di non avere particolarmente fede nella giustizia penale o nella repressione come strumento per risolvere nodi politici, come è quello dell’immigrazione. “Personalmente – dice Cartosio a verbale – per come lo conosco e lo sto conoscendo di giorno in giorno soprattutto vivendo la realtà drammatica di Trapani, sono convinto che il fenomeno in questione non può essere contrastato sul piano giudiziario e poliziesco. È un’illusione. Il piano, a mio avviso, deve essere un altro, quello politico e sovranazionale. […] Credo che, per quanto possiamo potenziare sotto l’aspetto giudiziario e poliziesco il contrasto al fenomeno, si tratta di un esodo epocale che ha necessità di essere contrastato su un’altra piattaforma completamente diversa”.
Parole nette e chiare. Pronunciate – va ribadito – dal primo magistrato che ha notificato avvisi di garanzia e iscrizioni sul registro degli indagati a componenti delle organizzazioni umanitarie. E che lo ha fatto mentre diversi dei suoi colleghi nelle procure del sud Italia, da Carmelo Zuccaro (capo procuratore a Catania) a Nicola Gratteri, si limitavano a lanciare sospetti a mezzo stampa nelle interviste senza mai notificare un atto che fosse uno. Parole di fronte alle quali rimane una domanda: qual è il senso di intercettare i giornalisti che parlano con le loro fonti, magari dentro le Ong? O ancora: cosa ne penserebbe Giovanni Falcone – magistrato sì anti mafia ma noto garantista, proprio per questo apprezzato da morto ma non da vivo dai colleghi siciliani – del comportamento tenuto dal cognato Alfredo Morvillo in quei mesi?