Perché leggere questo articolo? Due premi in un giorno a due donne mettono paura al regime degli ayatollah. Da più di quarant’anni l’Iran è la mecca del patriarcato. Il report sulla condizione delle donne iraniane.
Una sedia vuota sopra cui campeggia la gigantografia di una donna senza velo. E’ l’immagine simbolo della cerimonia 2023 del Premio Nobel per la Pace. Il riconoscimento è stato vinto dall’attivista iraniana Narges Mohammadi, per “la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e la sua lotta per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti”. In Norvegia – quella per la Pace è l’unica cerimonia del Nobel che non si svolge in Svezia – Mohammadi non ci è potuta andare.
Iran, la Mecca del patriarcato mondiale
Dal 2019 si trova Evin, il carcere degli oppositori politici del regime degli ayatollah. A 51 anni, Mohammadi è alla quinta detenzione, con un cumulativo di oltre 31 anni di condanna e 154 frustate. E’ una donna fortunata: è ancora viva, a differenza degli oltre 600 attivisti uccisi dallo scoppio delle proteste dopo la morte di Mahsa Amini in Iran, il paese più patriarcale del mondo.
Non è sempre stato così. Si possono ancora trovare foto di donne iraniane senza velo o addirittura in bikini. Peccato solo siano in bianco e nero, su qualche libro di storia. Era prima della rivoluzione di Khomeini, che impiegò anni per imporre alle donne iraniane i dettami della sharia. Ricordate la memorabile intervista in cui Oriana Fallaci si tolse lo chador di fronte a Khomeini? Era il 26 settembre 1979, a quasi un anno dal trionfo della rivoluzione, in Iran il velo non era ancora imposto per legge.
“Donna, vita e libertà“. Non è un caso che la prima parola dello slogan che da più di un anno infiamma il fuoco delle rivolte in Iran sia “donna”. Due premi per due donne iraniane – il Nobel a Narges Mohammadi e il Sacharov ai familiari di Masha Amini – in un giorno solo, mettono paura al regime. Da più di quarant’anni l’Iran è la culla dell’oppressione delle donne, il santuario delle discriminazioni di genere, la Mecca del patriarcato mondiale. Adesso, le donne iraniane hanno deciso di ribellarsi.
L’oppressione delle donne
Le proteste in Iran sono riesplose (c’erano state ondate di ribellioni già nel 1999, nel 2008 e nel 2019-2020) il 16 settembre 2022, dopo l’uccisione di Mahsa Amini. La donna di origine curda era stata fermata dalla polizia religiosa perché non indossava correttamente il velo. La sua morte, causata probabilmente dalla violenza e dalle percosse della polizia, provocò enormi proteste e la feroce reazione del regime. In quattro mesi morirono non meno di 500 manifestanti, 20mila furono arrestati.
In Iran sembra tornata la cupa calma del controllo. Il portavoce della polizia ha annunciato il ritorno delle pattuglie di polizia per imporre il velo obbligatorio e ha minacciato azioni legali contro donne e ragazze che rifiutino l’obbligo di indossare il velo. Non ci sarà più tolleranza verso chi osa sfidare le leggi morali. Secondo fonti ufficiali, dal 15 aprile 2023 più di un milione di donne hanno ricevuto messaggi di avviso di confisca dell’auto se fotografate senza velo. Tante donne donne sono sospese o espulse dalle università, non hanno accesso ai servizi bancari e ai mezzi di trasporto pubblico. Centinaia di attività commerciali sono state forzatamente chiuse per non aver fatto rispettare l’obbligo del velo.
Il report sulla condizione femminile in Iran
In estate Amensty International ha pubblicato un report sulla condizione delle donne in Iran. L’unico paese al mondo – insieme all’Afghanistan dei talebani di ritorno – in cui il velo è obbligatorio per legge. Il codice penale islamico sancisce condanne e punizioni a chi trasgredisce la sharia. Le donne senza velo in Iran vengono imprigionate e frustate in pubblico. Molto spesso vengono obbligate a partecipare a sessioni di consulenza per “disturbo di personalità antisociale”, lavare cadaveri in una camera mortuaria o fare le pulizie in edifici governativi. Più di 2mila auto sono state confiscate da giugno, oltre 4mila “recidive” sono state segnalate alla magistratura. Il 21 maggio il governo ha presentato in parlamento una proposta di legge eloquente: “Disegno di legge per sostenere la cultura della castità e dell’hijab”. Oltre la coltre dell’oppressione, però, le donne iraniane continuano a resistere.