Perché questo articolo potrebbe interessarti? La politica italiana nella regione asiatica sta prendendo forma. Roma sta rafforzando la cooperazione con Taiwan e ha avviato un’esercitazione militare congiunta con il Giappone. E sulla via della Seta il governo Meloni continua a rimandare la decisione finale. Con il rischio di far infuriare Cina e Stati Uniti.
Ha annunciato la volontà di andare in Cina per portare avanti un “dialogo costruttivo” con Pechino. Per farlo, però, Giorgia Meloni deve prima decidere se far uscire o meno l’Italia dall’accordo sulla via della Seta.
“Non abbiamo ancora deciso. Lo faremo entro dicembre”, ha dichiarato il premier italiano nel corso di un’intervista all’emittente statunitense Fox News. Insomma, l’incertezza nei corridoi di Palazzo Chigi regna sovrana. Ma non tanto in merito a cosa fare, quanto su come farlo.
L’esecutivo sembrerebbe infatti essere ormai orientato sul non rinnovare l’italica presenza nella Belt and Road Initiative di Xi Jinping. A maggior ragione dopo le rassicurazioni che hanno dimostrato di poter mettere sul tavolo Unione europea e Stati Uniti per attutire eventuali ritorsioni commerciali cinesi ai danni di Roma.
Eppure, sul governo Meloni pesa – e tantissimo – l’incognita della reazione della Cina. Una reazione che potrebbe esserci, a giudicare gli articoli e gli editoriali che stanno comparendo sui media cinesi. E che potrebbe colpire silenziosamente alcune aziende italiane attive oltre la Muraglia, se non limitare l’export in alcuni settori chiave del made in Italy.
Tra ambiguità ed equilibrio
È qui che l’Italia non dovrà farsi trovare impreparata. Sia nel caso in cui Roma decidesse – come è probabile – di uscire dalla via Seta, sia di restarci – magari a fronte di alcune modifiche – Meloni sarà chiamata a non far alterare Cina e Stati Uniti. Già, perché se Washington si aspetta l’ultimo “passo atlantico” del governo italiano, Pechino non ha alcuna intenzione di farsi ammaliare da promesse lontane dalla realtà.
“La scelta di aderire alla via della Seta fu un atto improvvisato e scellerato, fatto dal governo di Giuseppe Conte, che ha portato a un doppio risultato negativo”, ha, dal canto suo, affermato Guido Crosetto in un’intervista al Corriere della Sera. “Noi abbiamo esportato un carico di arance in Cina, loro hanno triplicato in tre anni le esportazioni in Italia”, ha quindi aggiunto Crosetto, portando l’esempio della Francia.
Con Parigi che, nei giorni nei quali l’Italia aderiva alla via della Seta, “vendette aerei a Pechino per decine di miliardi”, il tutto senza firmare alcun trattato. Il confronto di questa intervista con la chiacchierata di Meloni a Fox News è evidente.
L’avvertimento di Pechino
Se nella sua intervista Meloni ha pesato ogni parola, Crosetto è stato molto più esplicito. “Il tema è tornare sui nostri passi senza danneggiare i rapporti. Perché è vero che la Cina è un competitor, ma è anche un partner“, ha affermato Crosetto.
La risposta (verbale) di Pechino non si è fatta attendere. Il quotidiano cinese Global Times ha definito “molto imbarazzante” la dichiarazione di Crosetto. “In termini di cooperazione economica con la Cina, spesso sono i funzionari della sicurezza e della difesa ad avere l’atteggiamento più radicale. I funzionari che si occupano effettivamente dell’economia appaiono invece molto più moderati”, ha proseguito il giornale, sottolineando che “questo dimostra esattamente quanto siano seri gli Stati Uniti e l’Occidente a superare i problemi di sicurezza” e che “Crosetto è solo l’ultimo esempio”.
L’obiettivo di Meloni dovrà insomma essere quello di evitare che il gelo, fin qui soltanto mediatico, possa trasferirsi nelle relazioni diplomatiche tra Italia e Cina. “Ci auguriamo che l’Italia possa prendere una decisione razionale senza interferenze esterne. Questo è il momento di mettere alla prova la saggezza politica e l’autonomia diplomatica dell’Italia”, ha concluso il GT.
Le sponde dell’Italia con Taiwan e Giappone
Certo, alla Cina non fa piacere essere definita prima un rivale e poi un partner. Difficilmente, poi, Pechino accetterà di rafforzare la cooperazione economica con l’Italia se Roma si sfilerà dalla via della Seta. O almeno, è difficile che i desideri di Meloni possano avverarsi. In primis a causa del poco (e pessimo) lavoro diplomatico fatto negli ultimi decenni dai vari governi italiani nei confronti della Cina (Francia e Germania, per citare due esempi, sono molto più avvantaggiate dell’Italia).
In ogni caso, in attesa di sciogliere le riserve sulla Belt and Road, il governo italiano ha preso parte alle prime, storiche, esercitazioni aeree congiunte con il Giappone, in calendario dal 2 al 10 agosto, nei pressi della base di Komatsu. L’obiettivo appare evidente: potenziare lo scambio delle forze aeree dei due Paesi in un teatro, quello dell’indopacifico, caldissimo.
Allo stesso tempo, l’Italia ha rafforzato i legami anche con Taiwan. L’Enav, attraverso la propria controllata IDS AirNav – società leader a livello internazionale nei sistemi di gestione delle informazioni aeronautiche – ha siglato un contratto con il fornitore dei servizi alla navigazione aerea di Taiwan, Anws. Il contratto, come si legge in un comunicato della società, prevede la fornitura e l’assistenza di Cronos, un nuovo sistema di gestione delle informazioni aeronautiche.
Ricordiamo che l’Enav è controllata dal Mef, a sua volta guidato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Considerando il doppio avvicinamento dell’Italia a Taipei e Tokyo, la Cina inizia ad intravedere una timida partecipazione di Roma al contenimento di Pechino nella regione asiatica. Con eventuali, future, ripercussioni sui rapporti sino-italiani.