Perché questo articolo potrebbe interessarti? La distruzione della diga di Nova Kakhovka, nel Sud dell’Ucraina, potrebbe essere un’inondazione di guerra. Nel rimpallo di accuse tra Kiev e Mosca, emerge anche lo scenario per cui il disastro sarebbe stato provocato di proposito per rallentare la controffensiva ucraina. Un episodio che troverebbe un precedente nella storia italiana…
Non di sola geopolitica vivono le guerre. A dispetto di tecnologie sempre più innovative, di scenari intricati e di apparati misteriosi, la buona vecchia geografia continua ad avere un peso rilevante nelle operazioni belliche. Le guerre si combattono anche attraverso il territorio: a decidere gli esiti dei conflitti continuano a essere pianure, rilievi e l’acqua. Una dimostrazione pratica arriva in queste ore dalla martoriata Ucraina. La distruzione della diga di Nova Kakhovka potrebbe infatti essere un’inondazione di guerra. Probabilmente non ne avremo mai conferma, ma il disastro potrebbe essere stato una scelta deliberata dei russi per rallentare la controffensiva di Kiev. Non sarebbe la prima volta che una auto-inondazione cambia il corso di una guerra. C’è un precedente anche nella storia italiana.
L’inondazione auto-inflitta che ha salvato l’Italia
Nelle tre guerre che l’Italia ha condotto durante il Risorgimento i fiumi hanno giocato un ruolo decisivo. In particolar modo nella seconda guerra d’indipendenza, combattuta nella primavera-estate del 1859. Di fatto l’unica delle tre guerre in cui l’Italia ha ottenuto importanti successi militari contro l’Austria. Anche grazie a un potente alleato: la Francia di Napoleone III. E a una provvidenziale alluvione: l’allagamento auto-inflitto della intera provincia Vercellese.
In solo cinque giorni sono stati inondati 450 chilometri quadrati, allagati da 39 milioni di metri cubi d’acqua. Una decisione estrema e sofferta, come confermano le sedute del Parlamento del Regno di quegli anni. La piana del Vercellese è la terra per eccellenza del riso. Una sterminata pianura, ricca di corsi d’acqua, rigagnoli e canali.
Escalation e invasione
E’ la fine di aprile del 1859. Il Regno di Sardegna – ha assunto questo nome nel 1720, quando dopo la guerra di successione spagnola i Savoia hanno ceduto la Sicilia, in cambio dell’altra isola – è in guerra da poco. Il 28 aprile Vittorio Emanuele II ha rifiutato l’ultimatum dell’Austria, che dopo mesi di “escalation” chiedeva la completa smilitarizzazione del Piemonte. Nell’attesa che l’alleato francese col suo potente esercito raggiunga la linea del fronte, il comandante in capo dell’Impero austriaco, il Conte Gyulai – immortalato da una serie di canzonette risorgimentali – varca il confine del fiume Ticino. Poco dopo lo scoppio delle ostilità, la più importante guerra del nostro Risorgimento sembra mettersi male per gli italiani. L’Austria invade il Piemonte con oltre 120mila uomini.
Sono il doppio dell’esercito di Vittorio Emanuele II, che non può far altro che rimanere rintanato a sud del Po – l’altro grande fiume che separa il Piemonte dal Lombardo-Veneto austriaco – e attendere il provvidenziale soccorso di Napoleone III. Negli undici anni dalla prima guerra d’indipendenza del 1848 i trasporti hanno fatto enormi passi avanti. Ma treni e battelli a vapore non bastano per far arrivare in tempo i francesi. Ci vorrà almeno una settimana perchè l’esercito più potente del mondo, con le sue uniformi rosse e blu alla zuava raggiunga la linea del fronte. Ai piemontesi serve un miracolo, o un azzardo.
L’acqua di Noè
Per nostra fortuna, a fare da contrappeso alla guida grossolana dell’esercito di Vittorio Emanuele c’è il più grade statista italiano di tutti i tempi: Camillo Benso conte di Cavour, da sette anni Primo ministro del Regno. Cavour è stato tra i principali promotori del conflitto e ha l’uomo giusto – anche a giudicare dal nome – da incaricare per la disperata inondazione: l’ingegner Carlo Noè.
Noè è responsabile dei Regi canali demaniali e dopo la guerra diventerà il direttore della più importante opera d’irrigazione della storia italiana: il Canale Cavour, un canale artificiale di oltre 80 km per supportare l’agricoltura del Nord Italia. In soli cinque giorni – tra il 25 e il 29 aprile del 1859 – realizza il piano di allagamento. Con l’aiuto dell’Associazione d’Irrigazione dell’Agro Sesia, il Vercellese viene trasformato in un lago artificiale.
Un’inondazione per vincere la guerra
La volontaria “rottura” di tutti i canali e le dighe rende il territorio impercorribile per cavalli, treni e cannoni. Gli austriaci devono cambiare percorso, con l’inondazione che ha rallentato la marcia verso Torino. Quel tanto che basta perchè i francesi arrivino in soccorso dei piemontesi. A metà maggio arriva finalmente l’Armée d’Italie. Col supporto dei francesi, i piemontesi possono finalmente passare al contrattacco. Gli alleati vincono a Montebello, Palestro, Magenta e Turbigo – località a cui sono intitolate “vie” in Italia, ma anche “rue” in Francia. Gli austriaci devono ritirarsi oltre il Ticino, fino alla decisiva battaglia di Solferino e San Martino del 24 giugno del 1859. Dopo due settimane di settimane di sospensione delle ostilità, si arriva all’armistizio di Villafranca. E’ il 12 luglio. In meno di tre mesi la guerra è vinta, anche grazie all’inondazione volontaria. Fine dei parallelismi tra il nostro Risorgimento e la guerra russa in Ucraina.